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«E sei un grande capitano… se vorrai dimenticare questa follia di una guerra di un solo uomo contro la nera magia di Creta,» ammise Cirone. «Questo becco di bronzo che tu hai montato sulla galera ha già affondato per noi una dozzina di navi.»

Con aria cupa, Teseo scosse il capo.

«Ho inventato questo ariete per distruggere il potere di Minosse,» disse, lentamente. «Ma, da solo, non basta. La grande isola, dicono, e perfino lo stesso palazzo di Cnosso, non possiedono mura difensive. Ma quel prete cretese mi confessò… prima che gli tagliassi quella sua gola mendace… che il potere di Minosse è guardato da tre mura.

«Per prima c’è la flotta, che essi chiamano la muraglia di legno. E poi, ha detto il prete, esiste un gigante di bronzo vivo, chiamato Talos… è lui la seconda muraglia da superare.»

Cirone si accarezzò la barba, nervosamente.

«Ho sentito parlare di Talos,» ammise, «è grande due volte un uomo, e così veloce che può percorrere tutta Creta in un solo giorno, correndo. Schiaccia i suoi nemici con la forza delle braccia, e li arrostisce contro il metallo rovente del suo corpo. Io non toccherò mai quell’isola del male!»

«A meno che i cretesi non ti portino là, per nutrire il loro Oscuro!» sogghignò Teseo. «Poi c’è un’altra barriera intorno al potere di Minosse, che è chiamata la terza muraglia.» Guardò le lontane vele nere. «L’ariete potrà sfondare la muraglia di legno, forse. Ma ce ne sono sempre altre due da passare.»

Cirone si avvolse nel mantello purpureo, con aria difensiva.

«Tutte le muraglie di Creta,» dichiarò, con fermezza, «è meglio lasciarle stare!»

«Vedremo.» Teseo sorrise di nuovo, e passò il pollice sulla lama della sua spada. «Farai meglio a sfoderare tutto il tuo coraggio, Volpemaestra, e ad affilare le zanne. I cretesi si stanno preparando ad affrontarci!»

Teseo si diresse a poppa, impartendo ordini e sorridendo con aria incoraggiante agli arcieri che si arrampicavano sulla fiancata di maestra, facendo segni d’intesa al gruppo d’abbordaggio che aspettava con i grappini infilati alla cintura, sorridendo anche ai frombolieri, e al cuoco guercio, Vorkos, che tossiva sui suoi paioli di zolfo bollente. Avvertiva il disagio che gelava quegli uomini, come un vento freddo di settentrione.

«State pronti, uomini!» gridò. «Avete forse paura dei brontolii di un vecchio? C’è una magia, nel sangue caldo e nel buon bronzo, che è più forte di tutte le stregonerie di Minosse. Il nostro becco affonderebbe perfino la galera dell’ammiraglio Phaistro!» Roteò la spada al di sopra del suo capo. «E la Stella Cadente ha un incantesimo più forte di quello dell’Oscuro. È stata forgiata da un metallo caduto dal cielo. L’avete vista fendere come carne molte spade di bronzo. Se temete i maghi e gli stregoni, siete già vinti. Se non li temete, i loro poteri non potranno toccarvi! Ora, volete seguirmi?»

Aspettò, nascondendo la sua ansia.

«Sì, capitan Fuoco!» Il grido sgorgò da cinquanta gole. «Ti seguiremo!»

Ma udì il dubbio, il terrore, che si univano a quel grido. Sapeva che questi pirati, benché fossero gli uomini più audaci di una dozzina di coste settentrionali, condividevano ancora il timore di Cirone per la stregoneria di Creta. Lo avrebbero seguito… ma non fino in fondo.

Teseo si rese conto che lui si ergeva, completamente solo, contro gli dei di Creta. E anche nel suo cuore c’era un po’ di timore, freddo e insidioso. Perché lui aveva già conosciuto dei maghi e degli stregoni, e sapeva che essi possedevano dei poteri innegabili.

Fu lieto perciò quando le navi giunsero a distanza di combattimento. Cantando una canzone selvaggia, i marinai abbassarono rapidamente la grande vela rossa, liberando l’albero. La prima salve di frecce partì dagli arcieri cretesi, e cadde nell’acqua, a poca distanza dalla nave pirata.

Il miceneo bestemmiò, e la sua frusta nera schioccò nell’aria, e un sudore rosso scese lungo la schiena degli schiavi curvi sui remi. Teseo impartì un breve, secco ordine a Gothung, l’alto e biondo timoniere. E la nave pirata si diresse verso i cretesi.

Gli ufficiali di Creta seguirono le tattiche convenzionali. Avanzarono verso la nave pirata, prendendola di tre quarti. Poi, all’ultimo momento, gli schiavi sollevarono la fila esposta di remi.

Lo scopo della manovra era di far entrare in collisione le due navi, con la forza dei remi sollevati, per annientare i rematori nemici, e poi cercare subito l’abbordaggio.

Ma Teseo lanciò un rapido ordine al miceneo e al gigantesco timoniere del nord. La nave pirata si allontanò dalla rotta seguita dalle navi cretesi, e descrisse una velocissima curva, del tutto imprevista.

Le due navi di Creta, per un momento indifese, con i remi sollevati, si scontrarono. Prima che gli schiavi, urlando sotto l’incalzare della frusta, riuscissero a separarle di nuovo, la nave pirata si diresse a tutta velocità contro la fiancata della più vicina. L’ariete di bronzo squarciò il legno, al di sotto della linea di galleggiamento.

Gli arcieri cretesi lanciarono una tempesta di frecce. Delle pietre sibilarono nell’aria, lo zolfo bollente produsse un fetore insopportabile. Un gruppo di marinai di Creta lanciò i grappini d’abbordaggio, poi gli uomini si prepararono a salire a bordo della nave nemica, tenendo pronte le reti e i tridenti.

Ma la tettoia eretta grazie agli scudi protesse i pirati. Delle asce recisero i grappini d’abbordaggio, e gli schiavi, con uno sforzo sovrumano, fecero rinculare la galera.

Il becco di bronzo si ritirò, e l’acqua si riversò nella galera cretese. La galera vorticò intorno al gorgo, per pochi minuti, poi, inarrestabile, un’ondata si riversò su di essa, sommergendola con il suo carico di schiavi incatenati, che urlavano supplicando pietà. I guerrieri ricoperti dalle pesanti armature cercarono di dibattersi per qualche istante, poi furono inghiottiti anch’essi dalle acque.

L’altra galera cretese, nel frattempo, aveva di nuovo affondato nel mare i suoi remi. Prima che la galera pirata potesse avanzare di nuovo, le due lunghe galere entrarono in collisione. Teseo gridò un ordine agli schiavi del lato esposto, i quali ritirarono i loro remi un attimo prima dello scontro.

Gli scafi si scontrarono.

I grappini di abbordaggio colpirono, e le corde si tesero. Gli archi vibrarono e le pietre sibilarono nell’aria, e gli scudi pararono i colpi, mentre ovunque si udivano dei tonfi sordi. I fumi di zolfo, le corde e i corpi umani, tutto si confondeva in un odore di bruciato nauseabondo e dolciastro.

«Abbordatela!» gridò Teseo. «Sessanta sicli d’argento al primo uomo che salirà a bordo!»

«Sì, capitan Fuoco!»

Cirone, il dorico dalla barba nera, stringendo la spada e lo scudo, balzò sulla bassa balaustra della nave pirata. Per un istante vi restò immobile, lanciando un alto grido di battaglia. Poi, bruscamente, il grido si interruppe. Cirone rimase immobile, come paralizzato.

Sul piccolo ponte di comando della nave cretese, era apparso improvvisamente uno scuro sacerdote minoico, avvolto nella sua lunga veste nera sacerdotale. Sopra il ruggito e il tumulto della battaglia, la sua voce si levò in una cantilena lamentosa.

Dapprima usò la lingua segreta dei sacerdoti, mentre le sue mani alzavano un vaso d’argento, che aveva la forma di una testa di toro, e ne versavano il contenuto, rosso e fumante, nelle acque del mare.

Poi parlò nella comune lingua cretese, che Teseo aveva appreso tanto tempo prima dai mercanti che erano giunti ad Atene.

«O grande Minosse!» salmodiò il sacerdote, «I cui anni sono venti generazioni, che è dio di tutto il mondo!

«O grande Cibele, madre della Terra e di Minosse e degli Uomini, tu che ora dimori nella bellissima Arianna!

«O grande Oscuro, il cui nome non deve essere pronunciato, tu che racchiudi in te il toro e l’uomo e il dio!