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Ma, mentre correva verso il fiume, i dubbi tornarono ad assalirlo. Arianna aveva tradito suo padre… oppure lui? «No!» mormorò tra sé, ansioso. «Non può essere vero!»

Ricordò il contatto del suo corpo morbido, la calda magia dei suoi baci. Sì, aveva creduto che lei lo amasse davvero. Ma, se lui aveva uno scopo più importante dell’amore, perché la stessa cosa non avrebbe potuto essere valida anche per lui? Le aveva chiesto una prova d’amore, e per quale motivo quelle parole che lui aveva pronunciato non avrebbero potuto essere giuste e valide anche per l’orgogliosa Cibele? Non era stato lui stesso a darle un motivo, una giustificazione, quando le aveva detto quelle parole? Una dea ben difficilmente avrebbe tradito il suo olimpo. Dopotutto, era sicuramente cinquanta volte più vecchia di quanto dimostrasse… ed era anche il ricettacolo di Cibele! Un uomo non poteva significare tanto, per lei!

Fece una pausa, per riprendere fiato, in una macchia di arbusti… e bruscamente tutte le speranze di fuga furono annientate. Perché un profondo richiamo dalle vibrazioni bronzee si levò a dominare e sommergere le grida degli inseguitori. Vide una torcia che si muoveva in alto, all’altezza delle cime degli alberi. I suoi raggi traevano sinistri bagliori corruschi dal gigantesco corpo metallico di Talos.

L’uomo di bronzo scese tuonando dal pendio della collina. La fiamma gialla dei suoi occhi era luminosa quanto la luce della torcia. Teseo si nascose tra gli arbusti. Per un istante, trattenendo il respiro, coltivò la folle speranza di passare inosservato, pensò che forse Talos gli sarebbe passato accanto senza vederlo. Ma il fragore e il tremito della terra si interruppero di colpo, e il gigante torreggiò su di lui come un colosso di metallo.

«Capitan Fuoco,» ruggì quella voce poderosa, «tu sei stato catturato di nuovo per essere offerto all’Oscuro. Probabilmente credi di essere furbo. Ma non mi sfuggirai… malgrado tutti i tuoi trucchi e tutte le tue maschere. Perché Talos non è uno stupido!»

In quell’istante il suolo argilloso cedette, sotto il peso del gigante. Talos si trovò ingloriosamente seduto nella polvere. Teseo balzò in piedi, e corse verso il fiume.

Ma Talos, che si muoveva, malgrado la sua massa, a una velocità poderosa, si rimise in piedi. Con tre passi incredibili, superò Teseo, gli afferrò il braccio, con la grande mano di metallo che bruciava fino a far male, per l’attrito della corsa.

«No, capitan Fuoco,» ruggì il gigante. «Questa volta incontrerai di sicuro l’Oscuro. Talos te lo può promettere, questo. E potrai scoprire, dopotutto, che sei tu lo stupido!»

Quella mano irresistibile e ardente trattenne Teseo, finché l’ammiraglio e i suoi uomini non arrivarono, nella livida luce dell’alba. Phaistro tremò d’ira, vedendo i suoi abiti indosso a Teseo… strappati e rovinati dalla fuga nel bosco. I suoi marinai spogliarono Teseo.

«Non importa se sei nudo, cane di un pirata!» sputò l’ammiraglio. «Gli uomini non hanno bisogno di vestiti, nel Labirinto!»

Teseo fu condotto in città. Gli sterpi e i sassi aguzzi gli torturarono i piedi… perché Phaistro si era ripreso anche i sandali. Intorno a lui, formando un quadrato, marciavano i marinai, che lo pungolavano con i tridenti. Talos era alle loro spalle, e lo sorvegliava attentamente.

Con un guizzo di speranza, Teseo si domandò cosa fosse accaduto a Snish. Pareva che il piccolo mago fosse riuscito a evitare la trappola. Forse le sue arti, che Snish cercava sempre di minimizzare, l’avevano salvato ancora una volta. Ma era poco probabile, pensò Teseo, che Snish venisse deliberatamente ad aiutarlo… ed era ancor meno probabile che i suoi poteri magici potessero sconfiggere i grandi stregoni di Creta, anche se lo avesse tentato.

Il sole era già sorto, quando dopo aver attraversato boschi e vigneti giunsero in vista della possente e antica massa di Cnosso. L’ammiraglio, trasportato sul palanchino in testa alla colonna dei marinai, gridò a Teseo:

«Guarda bene il sole, pirata… perché non lo vedrai più. Gli uomini non tornano indietro, dalla giustizia dell’Oscuro.»

Passarono accanto alle solenni guardie etrusche, immobili all’ingresso, ed entrarono nell’incredibile groviglio dei corridoi del palazzo. La notte piombò di nuovo intorno a loro, perché il sole non era abbastanza alto nel cielo da penetrare, con i suoi raggi, nelle finestre del palazzo. Le lampade erano ancora accese nei corridoi tenebrosi.

Un gruppo di sacerdoti minoici, dalle vesti nere, venne loro incontro; i preti erano armati, brandivano minacciosamente delle lunghe lance dalla punta di bronzo. Il loro capo apostrofò Talos:

«Minosse è pronto a sedere in giudizio immediatamente. Il prigioniero non avrà certo un’altra possibilità di fuga. Deve essere portato immediatamente nell’antro dell’Oscuro.»

Non entrarono in nessuno dei corridoi e delle sale che Teseo aveva già visitato nelle precedenti occasioni. I sacerdoti presero delle torce, dalle nicchie che trovarono lungo la strada, e le accesero servendosi di una fiaccola che mandava cupi bagliori rossigni. I sacerdoti formavano un altro quadrato, mentre i marinai erano scomparsi, come inghiottiti dal nulla. Talos era sempre alle loro spalle. Delle svolte sconosciute li portarono in lunghi passaggi, che scendevano continuamente. Non c’erano finestre, e l’aria aveva il sapore umido e freddo dell’oscurità perpetua.

Finalmente giunsero davanti a una massiccia porta di bronzo. Era ornata di grandi teste taurine, dello stesso metallo, ed era verdastra, coperta dalla patina dei secoli. Talos superò i preti, e il suo pugno metallico rimbombò cupamente sui battenti.

Finalmente la porta si aprì silenziosamente, e le lance dei sacerdoti spinsero Teseo in un’enorme sala lunga e stretta. Le sue pareti erano massicci blocchi di basalto egizio, e l’unica luce veniva dalle fiamme fumiganti e dai colori cangianti di un braciere montato su un alto tripode.

Su di un palco, davanti al braciere, c’erano tre sedili di pietra nera. Dedalo, con la sua veste nera, la mano e la voce dell’Oscuro, sedeva al centro. Minosse, con la veste bianca e un bonario sorriso sul volto roseo, sedeva alla destra del mago. Alla sinistra di Dedalo, vestita di verde, sedeva Arianna… immobile.

Alla luce incerta del braciere, montato sul grande tripode, Teseo fissò la dea. Sedeva diritta e fiera sul suo trono di basalto. Il suo bianco volto perfetto aveva una espressione serena. Gli occhi erano freddi e smeraldini, nella luce danzante delle fiamme, e la dea parve ignorare totalmente il prigioniero.

La bianca colomba era immobile sulla sua spalla, e il suo occhio nero parevano fissarlo. La cintura serpentina splendeva, contorcendosi lentamente, e gli occhi della testa piatta d’argento erano punte cremisi, che mandavano sinistri bagliori.

Teseo rabbrividì. Cercò di abbassare lo sguardo, per non vedere l’enigmatico ricettacolo di Cibele. Era difficile credere che la stessa creatura gli avesse concesso i suoi baci, nell’antico tempio.

Mentre una parte dei sacerdoti neri restava a sorvegliarlo, con le lance puntate, gli altri si inginocchiarono, e iniziarono una lenta, solenne cantilena. Il rumore di un immenso gong di bronzo… profondo come il muggito di un enorme toro… fece tremare la cupa sala.

Teseo rimase immobile, rigido e tremante, finché, con un’ultima vibrazione, il gong tacque. Allora i tre dei si alzarono, sul loro palco. Il viso roseo di Minosse gli sorrise.

«Noi, gli dei minori, abbiamo udito le accuse contro questo noto criminale, il pirata acheo, che si fa chiamare capitan Fuoco.» La voce femminea era dolce; gli occhi azzurri scintillavano, allegramente. «Per noi è chiaro che il peso dei suoi immensi crimini richiede il pronto giudizio dell’Oscuro.»

Sorrise giovialmente, fissando l’alto corpo nudo di Teseo, e si accarezzò il mento roseo, con la mano paffuta.

«Perciò,» ridacchiò, piano, «noi ora inviamo il prigioniero nel Labirinto che è la dimora dell’Oscuro, perché là egli sia sottoposto alla sua giustizia eterna.»