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Quell’incredibile simbolo naturale dell’Oscuro si trovava in un’ampia cavità, che si apriva in una lunga, interminabile galleria. Teseo lanciò avanti un frammento di pietra. Esso rimbalzò con rumore cupo in un abisso invisibile, e l’eco lo riportò, stranamente ingigantito… il rumore pareva un muggito, il terribile muggito di un toro mostruoso.

La caverna era un tempio naturale. Se veramente, pensò Teseo, lui era destinato a incontrare l’Oscuro, avrebbe dovuto incontrarlo laggiù. Tremava, in preda a un inesplicabile terrore soprannaturale. Ma nulla di tangibile lo affrontò.

Alla fine trovò un varco, e proseguì.

Per un tempo interminabile, Teseo vagò per interminabili passaggi. Superò delle fessure che gli strapparono lembi di pelle viva. Scavalcò con balzi poderosi degli invisibili crepacci. Per molto tempo ebbe fame, poi la fame passò, lasciando solo uno stordimento che gli annebbiava i sensi. Quando si addormentò, si ritrovò, al risveglio, rigido e tremante. La sete lo torturava, così bevve l’acqua amara di una pozza che gli sbarrò la strada.

Andò sempre avanti.

Poi colpì col piede un sasso, sull’orlo di un precipizio, e il sasso rotolò in basso, e l’eco riportò il suono di un feroce ruggito. Trovò una strana familiarità nei contorni della roccia, sotto i suoi piedi. E le sue dita protese trovarono la strana roccia dalle forme umane, che aveva la testa e le corna di un toro colossale.

Col cuore stretto da una gelida morsa, tremando per un terrore insopprimibile, capì allora che tutto il suo cammino gli aveva fatto percorrere un circolo vizioso, e che adesso era ritornato davanti a quel tempio oscuro, che era più antico della stirpe dell’uomo.

Era stato l’Oscuro a guidarlo?

Un cuore forte e la Stella Cadente potevano prevalere contro il legno, il bronzo, e perfino contro la magia… ma non contro quell’ombra senza nome, senza forma e senza nome, contro quella forza che vagava in quell’oscurità senza fine.

Teseo, disperato, stava pensando a questo, quando una voce spaventosa gli parlò. Rimbalzò contro pareti invisibili, ingigantita fino a parere il muggito di un toro colossale, ma le parole che pronunciava erano comprensibili: «Benvenuto, mortale, nella mia tana immortale! Ti ho aspettato a lungo. Perché la mia fame è divoratrice, e ardo di sete del sangue di un uomo!»

Teseo rimase immobile, paralizzato. Quella voce soprannaturale aveva un’incredibile familiarità. Qualcosa si muoveva, nel buio. Si avvicinò, prima che lui potesse collegare quella voce a qualcosa di conosciuto. Avanzò verso di lui, come una furia.

In un cieco, istintivo tentativo di difesa, il braccio inerte di Teseo sollevò la Stella Cadente. La lama batté contro qualcosa di duro. Una cosa levigata, rotonda e puntuta passò accanto alla spada e al braccio, e lo colpì al fianco.

Pareva un enorme corno di toro.

CAPITOLO XVIII

Quel terribile corno ferì la sua carne nuda, e cercò di colpirlo di nuovo. Ma Teseo, automaticamente, parò il secondo colpo con la lama della Stella Cadente. Perché il corno veniva contro di lui come una lancia, e l’istinto sviluppato in centinaia di battaglie gli aveva insegnato a sostenere simili attacchi, anche nell’oscurità più profonda.

L’Oscuro combatteva come un uomo. Anche il breve grugnito che accompagnò il terzo colpo del corno, aveva un suono stranamente umano… finché l’eco delle pareti invisibili non lo amplificò, trasformandolo in un lontano muggito.

La fiducia si impadronì nuovamente di Teseo. Un dio che combatteva come un uomo poteva essere ucciso come un uomo. Impugnò la spada d’acciaio, lasciò che la punta del corno gli passasse accanto un’altra volta, e cercò di colpire là dove avrebbe dovuto trovarsi un uomo.

Ma, al momento di colpire, il suo piede scivolò in un crepaccio invisibile. Cadde in avanti. La mano che stringeva la spada colpì un aguzzo dente di roccia, e la spada cadde a terra, con un cupo clangore metallico.

Il dolore al fianco era terribile. Riuscì a mettersi in ginocchio, cercando disperatamente la spada. Trovò soltanto delle fredde lame di pietra. Il terrore lo paralizzò, quando udì dei passi venire verso di lui, sentì l’aria mossa dal terribile corno.

«Ora, mortale di Creta!» Quello strano ruggito era ancora familiare, una familiarità quasi allucinante. «Muori, per nutrire il tuo dio!»

Teseo si gettò a terra, lateralmente, evitando il colpo della strana arma.

«Io non sono di Creta,» ansimò, «e noi greci abbiamo una diversa regola di ospitalità… è l’ospite che deve essere nutrito!» La sua voce si abbassò, divenne un mormorio, una preghiera. «Qui, Stella Cadente!»

L’eco svani nel silenzio, e il silenzio riempì la caverna, un silenzio pieno di stupore. Poi…

«Greco?» ansimò la voce dell’altro. «Stella Cadente?» Il mormorio era umano, umanissimo, ora, e pareva ansioso, attonito. «Tu… tu non sarai… non puoi essere… capitan Fuoco?»

Improvvisamente, Teseo riconobbe quella voce e capì il perché della familiarità che vi aveva ravvisato.

«Cirone!» gridò. «Volpemaestra… sei tu!»

Quel lungo corno pesante cadde sulle rocce… e si spezzò, e Teseo capì che si trattava di una stalattite staccata dalla volta di roccia… e il pirata dorico lo sollevò in aria, in un abbraccio peloso.

«È meraviglioso ritrovarti, capitano,» singhiozzò Volpemaestra, «anche se mi sei costato un pasto!»

«È stato ancora meglio per me,» rispose Teseo, «perché ho pensato… ho quasi creduto… che tu fossi davvero l’Oscuro!»

«Ho deciso di farlo credere a tutti coloro che venivano mandati quaggiù,» mormorò Cirone. «Questo stratagemma è l’unica cosa che mi ha tenuto in vita, per i lunghi anni che sono passati da quando il gigante di metallo mi ha gettato nell’antro… quanti anni sono passati, capitano, da quando la mia galera è stata catturata dall’ammiraglio?»

«Non sono passati degli anni,» gli disse Teseo. «Saranno poco più di due lune, da quando sono salpato a bordo della nave catturata, per affrontare la flotta cretese, in compagnia di quel piccolo mago babilonese… lo ricordi?»

«Due lune!» ansimò Volpemaestra. «Non più di due lune? Capitan Fuoco, io sono rimasto qui, perduto in questa spaventosa tenebra, per metà della mia vita, ne sono certo. Il freddo e l’umidità di questa maledetta caverna oscura mi ha trasformato in un vecchio cadente. Altrimenti, il corno dell’Oscuro ti avrebbe sgozzato al primo colpo!»

«E non hai incontrato nessun Oscuro?» mormorò Teseo. «All’infuori di te?»

«Ero già mezzo morto per il terrore,» disse Cirone, «quando quel mostro metallico mi ha buttato nel Labirinto. Tutti gli stregoni mi avevano promesso che il loro dio mi avrebbe divorato subito. Ma in tutti questi anni… o in queste due lune, se può essere davvero un periodo così breve come tu dici!… l’unico dio delle tenebre sono stato io. Ho giocato all’Oscuro solo perché, perfino qui, un uomo deve pure mangiare!»

Teseo aveva ritrovato la Stella Cadente. Le sue dita carezzarono l’elsa istoriata, che conosceva così bene, e la fredda lama d’acciaio. A bassa voce disse al suo vecchio amico:

«Allora l’Oscuro non esiste?»

«Non qui, capitan Fuoco,» disse Cirone. «Benché io abbia camminato, strisciato e saltato per queste maledette gallerie per più di una vita… così mi è sembrato… prima che riuscissi a rendermene conto.»

Le sue dita stavano toccando le braccia e le spalle e il viso di Teseo, come quelle di un cieco.

«È magnifico ritrovarti, capitano!» mormorò.

«Così l’Oscuro non esiste!» mormorò Teseo, in tono assorto.

«L’acqua, cadendo sulla pietra, per gli imperscrutabili accidenti del destino, deve avere prodotto questa specie di immagine di un uomo dalla testa di toro,» disse Cirone, «e qualche antico cretese, perduto in queste caverne, l’ha trovata. Sarà stato già spaventato, così nel buio, in questo luogo orribile, e il suo grido involontario di paura è riecheggiato contro la volta, producendo un suono che era come un muggito di un toro infuriato. Così è nato l’Oscuro! O per lo meno, dopo questo lunghissimo tempo passato nelle tenebre, mi sembra questa la verità!»