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«Noi abbiamo la Stella Cadente!» mormorò Teseo. «E, là dentro, abbiamo almeno un alleato… il guercio, legato a quel palo, è il nostro cuoco tirintiano, Vorkos. E abbiamo anche un grido di battaglia… Non esiste l’Oscuro!» Fece per alzarsi. «Andiamo, al cancello!»

Ma il pirata gli afferrò il braccio, e lo fermò.

«Aspetta, capitan Fuoco!» mormorò, raucamente. «Stanno arrivando dei guerrieri!»

Puntò il dito, e Teseo vide fiammeggiare delle torce, sulla strada di Ekoros. La luce veniva riflessa dalla punta di molte lance. Un corno d’argento squillò. Teseo e il dorico si nascosero di nuovo tra gli arbusti, per sorvegliare la strada.

La fiaccolata si arrestò davanti al cancello del recinto. Un plotone di guerrieri, che portavano le insegne gialle di Amur, era in testa al gruppo. Dietro di loro, quattro schiavi portavano il palanchino dalle tende dorate dell’ittita. Dietro il palanchino marciava un gruppo di neri sacerdoti minoici, che impugnavano delle lance.

La voce di Amur apostrofò le guardie del cancello:

«Ho promesso un dono agli dei. Tre giovani forti e tre belle fanciulle. Saranno allenati per i prossimi salti del toro, e se qualcuno di loro sopravviverà, andrà a nutrire l’Oscuro. Perché gli dei mi hanno favorito. Il mio nemico, Phaistro, è andato nel Labirinto, per alto tradimento. E io sono il nuovo ammiraglio di Creta!»

La sua voce era un rauco mormorio di trionfo:

«Presto, ufficiale! Accendi le torce, e prendi i giovani più forti e le fanciulle più belle… quelli che sono giunti con l’ultima nave del nord… affinché i sacerdoti di Minosse possano compiere la loro scelta!»

Nell’ombra, Teseo toccò il braccio del pirata Cirone.

«Aspetta,» mormorò, «che siano portati gli schiavi.»

«Aspetterò,» rabbrividì il dorico, «anche più a lungo!»

Delle torce si mossero, dietro i pali appuntiti del recinto. Le guardie spinsero dei gruppi di schiavi fuori delle baracche, li fecero fermare in lunghe file. E ancora, a intervalli, un lungo grido di agonia usciva dal nero paiolo.

Teseo udì la voce sprezzante di Amur.

«Il Normanno vive ancora, dopo un giorno e una notte nel paiolo? Questi pirati sono dei rami duri da spezzare. Ma il destino di Gothung sarà una lezione per coloro che non saltano, quando schiocca la frusta!»

Cirone tremò di collera.

«Gothung!» alitò, selvaggiamente. «Il mio fido timoniere, il mio amico! Vieni, capitan Fuoco… abbiamo atteso abbastanza!»

«Ma piano,» mormorò Teseo. «Finché non avremo raggiunto il cancello.»

Con il barbuto pirata dorico al suo fianco, Teseo raggiunse il cancello del recinto. L’alto cancello di legno non era stato chiuso, dopo l’arrivo di Amur. Sei guardie erano intorno al loro fuoco di guardia, appena oltre la soglia. C’erano cento passi per raggiungere l’apertura centrale, dove il paiolo bolliva con il suo macabro contenuto, producendo gorgoglii sinistri, e i sacerdoti neri stavano scegliendo le loro vittime.

Quando furono all’interno del recinto, dove le fiamme livide del fuoco di guardia li illuminavano, Teseo si fermò, e fece fermare Girone. Impugnò la Stella Cadente, in modo che i bagliori corruschi del fuoco facessero risplendere di luce sanguigna la sua lama d’acciaio, e gridò:

«Ferma! Non c’è bisogno di mandare altri giovani e altre fanciulle a morire nei giochi dell’Oscuro… non c’è bisogno di mandarli nel Labirinto, per nutrirlo. Perché l’Oscuro è morto!»

Un silenzio incredulo, sgomento, di totale, infinito sbalordimento, cadde sul recinto. Schiavi e guardie si fermarono insieme a guardare, increduli. Teseo si fece avanti, con Cirone al suo fianco, in modo da essere illuminato dalle fiamme tremanti dei fuochi.

«Io sono capitan Fuoco!»

La spada si levò di nuovo, e la voce di Teseo vibrò nell’aria:

«Qui, con me, c’è Cirone, la Volpemaestra. Voi tutti sapete che siamo stati gettati entrambi nel Labirinto, ad affrontare ciò che i vostri preti menzogneri chiamano la giustizia dell’Oscuro. Ebbene, invece, è stato l’Oscuro a incontrare la giustizia ateniese!»

La spada splendeva di luce rossa.

«Non esiste l’Oscuro… e non è mai esistito! Tutto il potere e la magia dei vostri padroni sono basati su una menzogna. Sollevatevi, schiavi! Unitevi a noi, soldati!» La sua voce era poderosa come un corno di guerra. «Compagni pirati, vendicate Gothung! A morte Minosse! Liberiamo gli uomini dalla tirannide menzognera della magia!»

Questa sfida riscosse Amur e i sacerdoti neri dalla paralisi che li aveva presi. Delle voci furibonde gracchiarono. Gli otto sacerdoti, con le lance puntate, si buttarono contro il cancello. E Amur gridò alle guardie di prendere gli intrusi.

Le guardie esitarono, però, evidentemente colpite dalla sfida di Teseo. Solo il loro capitano, quando gli uomini non obbedirono al suo comando, si gettò contro Teseo, levando in alto la sua spada. L’acciaio incontrò il bronzo, e l’antica gioia della battaglia trasformò l’acciaio in una folgore. Il capitano cadde, e Teseo gridò di nuovo:

«Non esiste l’Oscuro!»

«Questo è un sacrilegio!» gridò il capo dei sacerdoti. «L’Oscuro lo incenerirà… adesso!»

Ma Teseo non cadde. Andò avanti, invece, per affrontare i sacerdoti neri. E Cirone, strappando la spada e lo scudo al capitano caduto, lo seguì.

«Sollevatevi, compagni!» gridò il pirata. «Ricordate la sorte di Gothung! Non esiste l’Oscuro!»

Raucamente, in qualche punto delle baracche, il grido fu ripetuto. Corse tra le linee di schiavi in attesa. Echeggiò ovunque. Crebbe, diventò un urlo di furiosa rivolta. Gli schiavi si avventarono sulle guardie, usando come armi le stesse catene che li stringevano.

Teseo e Cirone affrontarono i neri lancieri. Due contro otto. Ma il primo colpo della Stella Cadente spezzò di netto l’asta di legno di una lancia, lasciò un inutile bastone nelle mani del prete. Cirone tagliò la gola a un altro sacerdote. Poi, alle spalle dei preti, le guardie arrivarono di corsa, gridando con una nuova luce negli occhi:

«Non esiste l’Oscuro!»

Il grido di guerra percorse la folle confusione che regnava nel recinto. Si levò al di sopra delle grida, e dei lamenti, e dei secchi comandi, e del cozzo furioso delle armi. Solo la metà delle guardie, solo la metà degli schiavi, si unirono alla rivolta e spezzarono le loro catene, e per un periodo interminabile le sorti della battaglia furono in dubbio. Teseo combatteva in un mondo di fuoco e di sangue zampillante e di calore e di fumo e di buio e di stanchezza e di grida di dolore… e l’esaltazione selvaggia della lotta trasformò la Stella Cadente in una creatura viva e terribile, tra le sue mani rosse di sangue.

«Date fuoco alle baracche!» gridò Amur, quando le sorti della battaglia si mostrarono sfavorevoli ai suoi fedeli. «Che arrostiscano… per la gloria dell’Oscuro!»

Le guardie di Amur corsero, impugnando le torce, tra le baracche misere degli schiavi, nelle quali una buona metà degli infelici era ancora avvinta in catene, e le trasformarono in ruggenti colonne di morte gialla. L’ira più selvaggia splendeva negli occhi di Amur, ed egli gridò, dal suo palanchino giallo:

«Gettateli tutti nel fuoco… l’Oscuro li troverà là!»

Ma i ribelli avevano trovato una nuova fiammata di forza e di valore, in quel rogo che avrebbe dovuto distruggerli! Anche gli schiavi nelle baracche brucianti ruppero le loro catene, oppure sollevarono i pali ai quali erano attaccate le loro catene, e uscirono a combattere, urlando.

La Stella Cadente tagliò la gola di un lanciere nero. E Teseo scoprì che la battaglia era finita. I sacerdoti minoici erano morti, e così pure tutte le guardie che non si erano unite ai ribelli.

Cirone gli afferrò il braccio.

«Riposati, capitan Fuoco!» ansimò il pirata, rosso di sangue nemico. «Te lo sei guadagnato!»