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Teseo pulì la sua lama, e si guardò intorno. I vittoriosi superstiti della rivolta… circa duecento tra uomini e donne, schiavi e guardie ribelli… stavano indietreggiando dalle fiamme ruggenti delle baracche.

Delle grida di agonia e un tremendo, disperato gorgoglio, giunsero dall’enorme paiolo nero.

«Gothung!» gridò Teseo. «È ancora… vivo!»

Si diresse verso il paiolo. Ma Vorkos, il guercio cuoco tirintiano, stava rinfocolando i tizzoni del fuoco, sotto il paiolo. Indicò una cosa bruna e informe, vicino al fuoco.

«Quello è il nostro compagno,» disse «Ora c’è Amur nel paiolo… e non ho mai attizzato il mio fuoco con maggior piacere!»

Teseo camminò tra i sopravvissuti, salutando coloro che erano stati con lui sulla galera pirata. Poi montò su una catasta di stracci, vicino al fuoco dove Amur urlava e ululava di agonia, e disse:

«Uomini e donne! Siete stati schiavi… ma avete combattuto, e ora siete liberi. La cosa che vi ha liberati è una verità che Volpemaestra e io abbiamo portato indietro dal Labirinto. Non dimenticate…

«Non esiste l’Oscuro!»

Un grido di trionfo giunse dai ribelli, in risposta:

«Non esiste l’Oscuro!»

Teseo levò in alto la Stella Cadente.

«Eravate schiavi, e ora siete liberi, ma la vostra libertà è ancora in pericolo. Perché avete degli altri padroni… degli altri nemici. Ricordate… il loro solo potere è la menzogna dell’Oscuro!

«Minosse verrà contro di noi, ora, con i suoi mercenari etruschi. Egli ci attaccherà, con tutti i trucchi della sua falsa magia. Ma non esiste l’Oscuro… questa è la verità che distruggerà gli stregoni.

«Ora curate le vostre ferite. Toglietevi le catene. Armatevi, con le armi degli uomini che avete ucciso. Ma non dimenticate che la vostra arma migliore è questa verità… non esiste l’Oscuro!»

Un canto di vittoria si levò nella notte fumosa:

«Non esiste l’Oscuro!»

Teseo scese dalla pila di stracci, davanti al paiolo urlante, e Cirone gli afferrò il braccio. Rauca, per le grida della battaglia, la voce del pirata era piena di una nuova apprensione.

«Capitan Fuoco!» ansimò. «Le fiamme devono avere avvertito gli stregoni! Perché le vedette che abbiamo mandato in avanscoperta sono già di ritorno. Dicono che gli etruschi stanno già marciando in questa direzione, da Cnosso… forti di quattrocento uomini, e armati fino ai denti… per spazzarci via!»

CAPITOLO XX

«E gli etruschi,» continuò Cirone, ansiosamente, «non possono essere sconfitti dalla semplice verità sull’Oscuro, perché a loro non importa nulla che esso esista o meno… Combattono per denaro, e Minosse permette loro di adorare i loro perversi dei, senza curarsi dell’Oscuro.»

Gli occhi di Teseo fissarono l’alta palizzata, il rosso letto di tizzoni che fumava là dove c’erano state le baracche, i ribelli stanchi per la battaglia. Drizzò le spalle, e strinse forte l’elsa della Stella Cadente.

«Se gli etruschi combattono per denaro,» disse, «combatteranno per noi, quando avremo preso il tesoro di Cnosso.»

Cirone spalancò gli occhi, e grugnì dubbioso.

«Cento uomini,» gli disse Teseo, «possono tenere la palizzata fino all’alba, anche contro mille nemici. Lascerò te a presidiarla. Io prenderò sessanta uomini, passerò oltre le linee degli etruschi, e attaccherò il palazzo stanotte.»

«Stanotte?» ansimò Cirone.

Cirone studiò il viso dell’acheo, alla luce dei fuochi, e fissò dubbioso il buio, nella direzione di Cnosso.

«Cento uomini,» disse, «possono tenere il recinto… contro gli etruschi. Ma Minosse può mandare dei fulmini, per incendiare la palizzata! O l’uomo di bronzo ad abbatterla!»

«Non devi temere questo,» gli promise cupamente Teseo. «Io terrò occupato Minosse, con tutte le sue magie, a Cnosso.»

Ma il peloso pirata gli strinse di nuovo il braccio.

«Vorrei che tu non mi lasciassi, capitan Fuoco.» La sua voce era tremante, soffocata. «Siamo stati compagni in molti pericoli.» Inghiottì. «Prendiamo… prendiamo tutti coloro che vogliono seguirci, e apriamoci la strada verso il porto. Saremo in mare all’alba, sulle migliori galere di Creta!»

«Avrai quelle navi, Cirone… quando avremo preso Cnosso,» promise Teseo. «Ora ho intenzione di chiamare sessanta volontari, per assalire Cnosso e porre fine al regno della magia.»

Salì di nuovo sulla pila di stracci, e domandò ai volontari di farsi avanti, e aspettò. Nessuno si fece avanti.

«Possiamo combattere gli uomini,» brontolò il guercio cuoco tirintiano. «Ma tu ci chiedi di muovere guerra ai maghi, agli dei e al gigante di bronzo!»

La Stella Cadente mandò lampi rossi, alla luce dei fuochi.

«Ed essi possono essere distrutti!» gridò Teseo. «L’Oscuro era il più grande dio di Creta… e l’Oscuro era una menzogna! La cieca paura è la spada e lo scudo della magia… ed è la paura dei trucchi e delle menzogne!»

Sospirò, e aggiunse:

«Seguitemi… e ricordate che non esiste l’Oscuro! Gli stregoni e gli dei cadranno davanti a noi. Anche l’uomo di bronzo non può resistere a questa verità. Ora, chi viene con me a prendere il bottino di Cnosso?»

Dopo una breve pausa, carica di disagio, il cuoco guercio si fece avanti, da solo:

«Io vengo con te, capitan Fuoco!» mormorò Vorkos. «Dobbiamo distruggere gli stregoni, come tu dici… o saremo distrutti!»

Teseo indicò il grande paiolo nero.

«È una legge di Minosse,» disse, «che gli schiavi i quali uccidono i loro padroni muoiano per lenta tortura. Il paiolo tace, adesso. Dobbiamo uccidere Minosse stanotte!»

Questo sinistro ragionamento fece muovere un buon gruppo di uomini, decisamente. Si fecero avanti quasi tutti i pirati sopravvissuti, e anche alcune delle guardie ribelli. Sei delle bionde schiave nordiche si fecero avanti con gli uomini. Dapprima Teseo pensò di fermare le donne. Ma quando vide l’espressione dei loro volti, e la maniera in cui tenevano le loro armi, cambiò idea e le accettò.

Quando i sessanta furono radunati, li guidò al cancello, e si voltò, per promettere al pirata dorico:

«Quando vedrai delle fiamme su Cnosso, potrai dire ai mercenari etruschi che essi hanno cambiato padrone!»

Il pirata dorico si avvicinò, battendo le palpebre, per nascondere la commozione che provava in quel momento, e lo abbracciò. Poi il cancello si chiuse cigolando cupamente alle loro spalle. Teseo guidò i suoi sessanta uomini lungo la discesa, una stretta fenditura rischiarata dalla luce argentea della luna, in fila verso il fiume Kairatos.

Rimasero nascosti nel buio, mentre le torce degli etruschi rischiaravano la notte, sfilando su una collina a poca distanza da loro. Poi, silenziosamente… i pirati erano esperti in quelle incursioni notturne sulla terraferma… attraversarono dei campi deserti e dei boschi tenebrosi e le vigne immerse nel buio.

Una delle guardie cretesi… che si era unita a loro perché Amur aveva dato una schiava che lui amava ai preti minoici… fece tacere i cani che abbaiavano, con un lancio esperto di frecce. Non fu dato l’allarme, e alla fine la cupa massa di Cnosso si stagliò davanti a loro, sullo sfondo del cielo rischiarato dai raggi argentei della luna.

Il palazzo non era una fortezza. Non era munito di impervi bastioni, né di fossati difensivi, né di torri di guardia inaccessibili. Delle sue triplici mura di cui si era tanto favoleggiato, la prima era costituita dalla flotta che ora stava ancorata nella rada, a tre miglia di distanza. La seconda muraglia del palazzo era il gigante Talos, che ancora non si era fatto vedere (e Teseo aveva cominciato, con una certa inquietudine, a domandarsene il perché…). E la terza muraglia… se davvero Teseo poteva credere alle parole di Arianna… si trovava racchiusa nel talismano che ora egli aveva al collo, appeso alla sottile catenella, quel talismano che il ricettacolo di Cibele gli aveva dato quella notte, nel tempio silenzioso, dove crescevano gli ulivi.