Aveva studiato il piccolo oggetto, quel pomeriggio. Era soltanto un cilindro, apparentemente, di steatite nera, con lunghe scanalature laterali. Il suo disegno, inciso con una perfezione squisita, mostrava un gigante dalla testa di toro, seduto su un trono, con uomini e donne in ginocchio davanti a lui.
Si trattava davvero del muro della magia? La sua mente aveva indugiato sull’enigma. Arianna aveva detto la verità, parlando dei suoi poteri? Poteva veramente dargli Cnosso? Se l’Oscuro non esisteva, quale potere poteva esistere in un semplice disegno?
La bellezza di Arianna aveva ossessionato Teseo, durante il viaggio negli oscuri meandri del Labirinto. Non poteva prendere una decisione, su di lei. Era stata una nemica sprezzante… eppure aveva rischiato molto, dandogli la Stella Cadente, che gli aveva salvato la vita.
Ricettacolo di Cibele, doveva conoscere le illusioni dell’amore. Nei suoi mille anni di vita, doveva avere amato troppi uomini, perché uno di loro potesse contare davvero tanto, per lei. Era una dea dello strano pantheon di Creta, e sapeva che lui intendeva distruggere il suo mondo. Era pura follia, lo sapeva, sperare in qualche aiuto, da parte di Arianna.
Eppure il talismano gli pendeva al collo, e il ricordo della sua bellezza gli sorrideva. C’era qualcosa di ironico, nel sorriso di lei. Teseo cercò di dimenticarla, e mormorò ai suoi sessanta uomini, sotto l’ombra di Cnosso:
«Dobbiamo distruggere Minosse, tutti i suoi preti e i suoi stregoni, e il gigante di bronzo. Dedalo deve morire… è il più terribile dei maghi! Ma risparmiate gli schiavi, gli artigiani, e tutta la gente comune… liberateli, dicendo loro che non esiste l’Oscuro!»
«Sì, capitan Fuoco!» mormorò il cuoco di Tirinto.
«Ci sono altri due che dovete risparmiare,» ordinò Teseo. «Una di loro è Arianna, la figlia di Minosse, sacro ricettacolo di Cibele… lei mi ha dato la Stella Cadente, per uccidere l’Oscuro.
«L’altro che deve essere salvato… se per caso lo troviamo… è un piccolo mago babilonese, chiamato Snish, il ciabattino… perché è mio amico.»
I pirati erano esperti nei trucchi delle incursioni notturne. I sessanta salirono per la collina silenziosi come ombre, e raggiunsero l’entrata degli artigiani. Ci fu una breve, selvaggia battaglia con gli etruschi della guarnigione, ma quasi tutti i mercenari stranieri morirono nel sonno. Prendendo delle nuove armi dall’arsenale degli etruschi, si aprirono la strada, e raggiunsero il primo corridoio.
«Non esiste l’Oscuro!» Il grido di battaglia risuonò tra le antiche mura. «Teseo, detto capitan Fuoco, lo ha distrutto! Unitevi a noi, per prendere i tesori di Cnosso! Perché gli dei sono condannati!»
Uomini e donne attoniti uscirono nei corridoi, e fuggirono. Alcuni artigiani di palazzo si unirono a Teseo, ma la maggior parte di essi era troppo sbalordita per fare qualcosa. Gli etruschi e i sacerdoti neri, sorpresi e assonnati, si radunarono in fretta nei punti strategici da difendere.
Alto cinque piani, ampio sei acri, con il suo intrico di corti e di pozzi e di corridoi e di scale e di magazzini, costruito nel corso di mille anni, Cnosso era un secondo Labirinto, ingannevole come le oscure gallerie del tempio sotterraneo.
Teseo si trovò perduto. Ma gli artigiani, e gli schiavi che avevano servito nel palazzo imperiale, gli indicarono la strada per gli appartamenti di Minosse. I sessanta audaci schiacciarono la resistenza dei sacerdoti e degli etruschi, avanzarono come furie lungo i corridoi, lasciando una scia di morti e di fumo alle loro spalle.
Il rapido successo dell’incursione cominciò ad apparire vagamente minaccioso, a Teseo. Non incontrò barriere magiche, non vide alcuna traccia del bronzeo Talos. E ben presto arrivarono davanti alle stanze di Minosse.
Gli etruschi si erano radunati davanti all’ingresso, per opporre un’ultima, disperata resistenza. Ma l’esaltazione della vittoria aveva trasformato la Stella Cadente in una balenante fiamma di morte, e i pirati la seguivano, come avevano fatto durante cento battaglie. L’ultimo etrusco cadde, e Teseo guidò i suoi uomini nella splendida sala, e nella camera da letto di Minosse.
Lo sbalordito sovrano era seduto, sul suo magnifico letto. Tremante e pallido, si copriva con le lenzuola di lino egizio, come se con esse potesse nascondersi davanti alla spada insanguinata di Teseo.
Il volto fanciullesco era molto pallido, e ora non sorrideva. I piccoli occhi azzurri non scintillavano più, e il terrore li aveva invasi. Sottile e tremante, la sua voce femminea squittì:
«Risparmiami, capitan Fuoco! Risparmiami la vita, e tutto ciò che possiedo sarà tuo. Il mio tesoro, la mia flotta, il mio impero! Solo purché tu mi risparmi la vita!»
Teseo trattenne la spada sollevata. Era venuto per uccidere uno stregone. Ora trovava solo un vecchio grasso, che tremava per la paura. L’ira gli incrinò la voce:
«Cerca un’arma! Combatti per il tuo trono!»
Ma Minosse era muto per il terrore. Come una massa di gelatina tremante, cadde dal letto e si inginocchiò, singhiozzando e squittendo, sul tappeto. Teseo trattenne ancora la spada.
«Così è questo il divino Minosse?» Il disprezzo lo soffocava. «Lo stregone che ha regnato per mille anni, la cui doppia ascia è temuta in Egitto e nel remoto Catai!» La Stella Cadente tremò, tra le sue mani. «Sono venuto qui per ucciderti, Minosse… per porre fine al regno della magia. Ma io non ho mai colpito un uomo in ginocchio.»
«Ma io sì, capitan Fuoco!» Vorkos, il cuoco guercio di Tirinto, si fece avanti. «Prestami la tua spada!»
Prese la Stella Cadente. La lama si abbatté, sibilando. Tagliata di netto, la testa canuta di Minosse rotolò, lontana dal grasso corpo tremante, si fermò a terra, guardò gli invasori con occhi vitrei.
Testa e corpo cambiarono!
Il tirintiano lasciò cadere la Stella Cadente, e indietreggiò barcollando. Spaventati e tremanti, i pirati cominciarono a indietreggiare verso la porta. Teseo raccolse la spada. Strappò una torcia da una mano tremante, e si chinò a esaminare la cosa che era stata Minosse.
Corpo e testa erano ingialliti, cerulei, prosciugati, ridotti quasi a pelle e ossa. Il corpo era stato quasi esangue… solo poche gocce nere uscirono dalle arterie e dalle vene recise. Solo la magia, capì Teseo, poteva avere mantenuto la scintilla della vita in quel rottame.
E il cadavere… questa era la cosa più incredibile… era quello di una donna!
Teseo combatté contro la strisciante paura che quella orribile vista aveva suscitato in lui. Cercò di stringere con fermezza la spada, ma aveva la gola secca.
«Guardate!» disse, ai suoi apprensivi seguaci. «Minosse è morto!» Indicò il cadavere con la punta della spada. «E non era un dio. Non era neppure un uomo. Era soltanto una vecchia, vecchia donna!»
Indicò la porta, con la torcia.
«Abbiamo sconfitto gli dei di Creta!» Strinse le labbra aride, inghiottì di nuovo. «Abbiamo guadagnato il bottino di Cnosso!»
«No, capitan Fuoco!» La voce del cuoco guercio era un rantolo di terrore. «La vittoria non è ancora nostra! Perché c’è ancora il gigante di bronzo, i cui grandi piedi possono schiacciarci come vermi. C’è ancora il mago Dedalo, il cui sguardo può da solo avvelenare gli uomini. E c’è ancora la figlia di Minosse, che è una dea e un’incantatrice!»
Teseo distolse lo sguardo dal vecchio cadavere avvizzito che era stato Minosse.
«Arianna è mia amica… e mi ama!» mormorò, raucamente. «Una volta mi ha salvato la vita. Ora dobbiamo trovarla… perché la sua magia può aiutarci, contro l’uomo di bronzo e contro il mago Dedalo, che ancora vivono!» Pulì la lama della Stella Cadente sulle lenzuola di lino, e guidò il suo gruppo di uomini, spaventati e tremanti, fuori della splendida camera da letto di Minosse.