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«O grandi dei di Cnosso, distruggete questi vermi che molestano i vostri fedeli schiavi!

«Spada lucente di Minosse, colpisci.»

Il sacerdote nero sollevò il vaso che ancora stillava gocce rosse.

E dalle corna d’argento uscì una lama di fuoco azzurrino. Si udì un tuono assordante. E Cirone, con la spada e lo scudo che gli sfuggivano con cupo clangore dalle mani senza vita, cadde all’indietro, sul ponte della galera pirata.

CAPITOLO II

La battaglia si era arrestata, in attesa dell’apice della invocazione del sacerdote nero. Ci fu un silenzio ansioso, e poi Teseo udì il grido di trionfo dei cretesi. Udì il mugolio di vergogna e di terrore che correva tra i pirati, li vide arretrare, davanti alla rapida adunata dei marinai di Creta. Trattenne il respiro, e sollevò la lucente spada di acciaio.

«Seguitemi!» gridò. «Seguite la Stella Cadente… e fermate la vile stregoneria di Minosse!»

Gettò via il pesante scudo a forma di otto, troppo pesante per un’azione rapida. Il suo corpo di bronzo, nudo a eccezione del perizoma, corse attraverso il ponte della galera pirata. Una freccia gli sibilò sopra i capelli, e una pietra lo colpì al braccio. La spada lucente parò il colpo di un’altra freccia, e Teseo balzò dal ponte.

I suoi piedi sfiorarono la balaustra. Balzò di nuovo, dal tetto di scudi che copriva una squadra di lancieri in attesa, e si fermò sul ponte di comando. La sua spada nuda minacciò il nero sacerdote minoico, e la sua voce sibilò:

«Dov’è adesso la nera magia di Minosse?»

Osservò che negli occhi acquosi del prete l’esaltazione selvaggia cedeva il posto al più abietto terrore. Vide un lampo astuto passare per un istante in quegli occhi, e con un rapido movimento del capo vide che le mani del prete schiacciavano gli occhi del vaso a forma di testa di toro che stringeva in pugno.

La sua spada lampeggiò. Udì una specie di schiocco, e vide un lampo azzurrino, e avvertì un odore sgradevole. Ma il vaso dalle gocce rosse sfuggì dalle mani del prete morente, e cadde in mare. Mozzata di netto, la testa del sacerdote lo seguì.

«Avanti!» gridò Teseo. «Seguite la Stella Cadente!»

Scese dal ponte di comando, con un balzo, e fu alle spalle dei marinai cretesi che si preparavano all’abbordaggio. L’acciaio della spada parò il colpo di una freccia, e tagliò la gola dell’arciere. Strappò uno scudo di cuoio a un arciere morente, e la sua spada affondò fino all’elsa in un altro.

«Avanti!» gridò con voce profonda. «Perché il prete dell’Oscuro è morto!»

Sotto l’unico occhio del cuoco tirintiano, quattro uomini gettarono una pentola di zolfo fuso, servendosi di una rete. Si levò una nube di fumo soffocante. I cretesi indietreggiarono, alcuni gridarono in preda agli spasimi dell’agonia. E i pirati sciamarono sulla nave nemica, ricacciarono i cretesi là dove la spada roteante di Teseo li stava aspettando.

La galera era stata presa… ma per breve tempo, perché le inestinguibili fiamme sulfuree la rivendicarono in breve tempo. I pirati si ritirarono da quella fornace incandescente, portando tutte le armi e il bottino che riuscirono a prendere. Teseo ordinò di speronare la galera, per porre fine all’agonia terribile degli schiavi incatenati, che attendevano urlando che le fiamme li cuocessero lentamente, prima di raggiungerli; poi ordinò di inseguire la nave gialla dei mercanti.

Ora, dopo la fine della battaglia, si rese conto improvvisamente del sottile margine che lo aveva separato dalla morte, quand’essa gli era passato accanto. Il suo braccio sanguinava, dove la pietra l’aveva colpito, e trovò un lungo segno rosso tra le costole, dove qualche arma appuntita era riuscita ad arrivare.

E la Stella Cadente tremava nelle sue mani, quando egli ebbe tempo per ricordare lo strano lampo che aveva abbattuto Cirone. Con un certo disagio, ricordò quello che dicevano le voci popolari, e cioè che Minosse regnava anche sui fulmini. La sua paura personale della magia di Cnosso non era stata del tutto vinta.

«Povero vecchio Volpemaestra!» mormorò. «Forse avevi ragione. Forse un uomo non può sfidare gli dei.»

Si inginocchiò accanto al corpo del barbuto dorico. Vide il fumo sottile che saliva da una chiazza bruciata dello splendido mantello di Cirone; rintracciò la lunga bruciatura rossa, che si ramificava come un albero, percorrendo il braccio con il quale il pirata aveva impugnato la spada.

«Gli stregoni hanno uno strano potere,» brontolò. «Ma tu sarai vendicato, Volpemaestra.» Il suo viso si indurì. «Perché io andrò avanti fino alla morte… o finché gli dei di Creta non saranno caduti!»

«Fermati, capitan Fuoco!» Cirone respirò profondamente, e aprì gli occhi. Si mise a sede faticosamente sul ponte, e le sue dita tremanti strinsero disperatamente il braccio di Teseo. Ma Teseo gli stava guardando gli occhi. Erano pieni di orrore.

«Dimentica la tua folle ambizione, capitan Fuoco!» supplicò la voce soffocata di Cirone. «Perché io ho provato la magia di Minosse, e adesso conosco la potenza dell’Oscuro… ed è una potenza terribile!»

«So che è terribile,» disse gravemente Teseo. «Per questo motivo deve essere distrutta.» Sorrise, e aiutò Cirone a rimettersi in piedi. «Sei molto coriaceo, Volpemaestra! Credevo che tu fossi morto.»

«Quasi quasi,» mormorò il pirata, «preferirei essere davvero morto!»

Il mercantile era un grande vascello, sovraccarico, con sette remi soltanto per fiancata, ad aiutare la sua grande vela quadrata. La nave pirata, con la vela issata e turgida nella brezza, e i remi che battevano velocemente l’acqua, rapidamente lo raggiunse.

Una bordata di frecce partì in direzione della galera pirata. Ma il mercantile non portava più di una dozzina di marinai, uomini liberi che si occupavano delle armi e della vela. Quando Teseo promise di sbarcare tutto l’equipaggio, in vita e con buone provviste, sulla costa più vicina, il capitano del mercantile si arrese.

«Ti sei procurato uno strano nome, capitan Fuoco!» commentò Cirone. «In queste acque non c’è mai stato un altro pirata, la cui parola potesse prendere una nave!»

«Non odio gli uomini,» gli disse Teseo. «Odio gli stregoni e gli dei del male. Lasceremo il capitano e i suoi uomini a terra, sul promontorio, e daremo loro cibo e armi.»

«Uno strano pirata, davvero!» grugnì Cirone.

Come aveva indicato la vela gialla, il mercantile apparteneva alla flotta di Amur l’Ittita, la cui casata era diventata grande e potente grazie alla protezione di Minosse. Il capitano della nave era un nipote dello stesso Amur, ed era un uomo dalle guance scavate e dal naso aquilino. Teseo ebbe l’impressione che egli avesse accettato la cattura con un’indifferenza curiosa e quasi allarmante.

La nave si dimostrò una ricca ricompensa per la loro impresa. Era carica d’oro e di stagno, che venivano dalle miniere dei lontani fiumi del nord, e di ambra, di pelli conciate e di favolose pellicce. In una piccola stalla, nella stiva, c’erano tre poderosi tori selvaggi delle pianure della Tessaglia. E nelle cabine, prigionieri, c’erano dodici giovani robusti, e dodici fanciulle alte e graziose, tutti biondi figli del nord.

Oltre alle schiave, trovarono un’altra donna nella cabina del capitano, e questa non era in catene… una donna quale nessuno dei pirati aveva mai visto. La sua pelle era del colore dell’oro, e i suoi occhi neri e ardenti erano a forma di mandorla, stranamente allungati.

Fu trascinata sul ponte con le altre, ad attendere il suo turno nella spartizione del bottino. Mentre i fabbri dei pirati le facevano tenere le mani dietro la schiena, e le assicuravano ai polsi i ferri degli schiavi, lei rimase eretta, alta quasi quanto un uomo, e fissò i suoi catturatori con orgoglioso disprezzo.

«È una regina!» mormorò Cirone. «Non ho mai visto una donna simile!»

Si unì ai pirati che la circondavano, ansiosi, e la guardò con un’ammirazione che non tentò neppure di dissimulare. I capelli della donna, acconciati sul suo capo con squisita eleganza, erano neri e lucenti. La sua gola dorata e le sue braccia splendevano di gioielli di giada verde. Un vestito strappato, di seta cremisi, celava ben poco delle curve del suo corpo alto e slanciato.