L’avvoltoio emise un grido rauco e allucinante, e il suo sguardo sinistro li seguì, attraverso la lunga sala polverosa. La torcia illuminò una stretta rampa di scale, e Snish avanzò di nuovo. Salirono su un tetto cintato da un grande parapetto, che si stendeva sotto la luna, e una fredda ventata spense la torcia.
Teseo guardò davanti a sé, incapace di parlare.
Davanti a loro, splendente sotto la luna, c’era una cosa quale lui non aveva mai visto né immaginato. Somigliava vagamente a una nave, perché c’erano delle ampie vele di bianco lino, e degli alberi sottili di legno levigato, e corde di filo sottile e rilucente. Ma le vele erano orizzontali. La cosa poggiava su ruote che parevano di seta. Non c’era uno scafo vero e proprio, ma solo una piccola cabina, al centro della tela di ragno di legno, stoffa e metallo. Una porta si aprì, nella cabina.
«Capitan Fuoco!»
Era la voce di Arianna, chiara e dorata, eppure stranamente velata da un inesplicabile brivido.
«Sei arrivato… lo sapevo che saresti venuto!»
Scese dei gradini quasi trasparenti. La luna piena illuminò il rosso splendore dei suoi capelli. Il suo corpo alto e slanciato era bello come sempre, e indossava una veste verde, rivelatrice e stupenda. La cintura serpentina si attorceva intorno alla sua vita esile, e gli occhi di rubino scintillavano, maligni.
La dea si avvicinò a Teseo. Le sue braccia nude lo circondarono, lo attirarono a lei. Alzò il viso, candido e seducente sotto la luna d’argento. Teseo la baciò… ma continuò a impugnare, con mano ferma, l’elsa della Stella Cadente.
Le labbra rosse di lei si staccarono dalle sue. Gli strinse il braccio che impugnava la spada, lo attirò verso quella fantastica nave argentea ed eterea.
«Sono così felice, capitano!» mormorò, raucamente. «Ti ho aspettato… e ho aspettato Keke, la mia povera colomba bianca, che si è spaventata per il combattimento, ed è volata via. Ma lascerò qui Keke.»
Lo strinse forte, e le sue braccia erano vive e vibranti, si aggrappavano a lui con un’intensità alla quale era difficile resistere.
«Sapevo che saresti venuto da me, quando il tuo lavoro a Creta fosse stato compiuto. Perché me l’hai promesso. E io sono pronta, capitano. Saremo in Egitto prima dell’alba!»
Teseo rimase fermo.
«Che cos’è questo… questo oggetto?»
«Questo è il frutto più prodigioso di tutta la magia di Creta,» gli disse Arianna. «È una macchina, che vola come un uccello. L’ha costruita Dedalo… ed è più sicura della prima, fragile macchina, quella che ha ucciso suo figlio. È mossa da un motore… dalla forza del fuoco,» aggiunse, vedendo che Teseo non capiva. «E può portarci sicuramente oltre il mare, in Egitto, veloce come le ali degli avvoltoi.»
La sua mano calda lo strinse di nuovo.
«Vieni, capitano!»
«Ma perché dobbiamo andare in Egitto?» domandò Teseo. «Stanotte?»
«Ma non capisci?» La sua voce dorata era supplichevole, ansiosa. «È per quello che tu hai fatto. Tu hai distrutto l’Oscuro. Hai ucciso Minosse. Hai sollevato il popolo, contro tutti i maghi e gli dei.»
Il suo corpo caldo rabbrividì, contro il suo, e lui sentì la fredda presenza sinuosa della cintura serpentina.
«Non capisci?» Si strinse a lui. «Devo andare, per salvare la mia vita. Il popolo mi brucerà viva, nel tempio di Cibele.» Le sue labbra tremanti lo baciarono. «Ma io ho aspettato te, capitano.»
Teseo strinse forte quel corpo alto e slanciato, la baciò sulle labbra, fino a quando entrambi non furono storditi, come inebriati da un vino dolcissimo. Ma Teseo riuscì a mantenere il dominio di sé… e con la coda dell’occhio, egli continuò a sorvegliare Snish, che si era ritirato in un angolo, e la sua mano impugnò con forza l’elsa della Stella Cadente.
«Vieni, mio capitano,» lo supplicò Arianna. «La macchina è carica dei miei gioielli, e di tutto l’argento che essa può trasportare. Se non sarai felice in Egitto, potremo volare lontano, proseguire il nostro viaggio fino ai confini del mondo.»
Ma Teseo aspettò, vigile.
«Forse è come tu dici. Ma vedi, io non sono sicuro,» mormorò, «che il mio compito a Creta sia finito.»
Il corpo snello di lei si tese.
«Tu hai ucciso Minosse,» protestò, in fretta. «Hai sollevato il popolo contro i maghi, e infranto il potere dell’Oscuro. Cos’altro ti rimane da fare?»
Teseo guardò, e vide una bianca colomba che veniva, battendo lentamente le ali, su dalla scala tenebrosa. La colomba si posò sui capelli profumati di Arianna. Lei sollevò la mano, strinse la colomba, la baciò sulla piccola testa bianca.
«Mia piccola, adorata Keke!» mormorò. «Mia povera, bianca colomba. Ti sei perduta? Hai paura? Vuoi volare con noi, con le ali del mago, vuoi venire in Egitto?»
Tubando piano, la colomba si posò sulla sua spalla. Piegò il capo, e i suoi occhi intelligenti fissarono Teseo. Quegli occhi brillarono, alla luce della luna. C’era qualcosa di familiare in quegli occhi neri, qualcosa di… spaventoso!
Arianna cercò la mano di Teseo.
«Ora, capitano,» disse con ansia la sua voce dorata, «Keke è tornata. Andiamo… prima che il popolo invada la torre, o le dia fuoco!»
Ma Teseo era indietreggiato, in fretta. La Stella Cadente era pronta, nella sua mano. Come una cosa viva, la lama lampeggiò nella luce della luna, e recise il capo della colomba bianca.
L’uccello cadde dalla spalla di Arianna. Rotolò al suolo, e giacque immobile. La voce dorata di Arianna risuonò, secca, piena di dolore e di collera.
«Che cosa hai fatto?» singhiozzò. «La mia bella Keke!»
Ma Teseo rimase immobile, guardando attentamente il bianco uccello decapitato. Lo vide cambiare sotto la luna, i suoi lineamenti si confusero, ingigantirono. Diventò il corpo di un uomo, nudo, curvo, peloso, raggrinzito dagli anni. Era decapitato, come l’uccello, e un fiotto di sangue nero usciva dal collo mozzato.
Teseo trovò la testa nera, sanguinante, vicino ai piedi di Arianna. La mosse col piede, in modo da poter vedere il volto. Orribile nella morte, con una smorfia inumana sulle labbra, vide il viso nero, scheletrico di Dedalo.
Pallida e immobile, Arianna emise un rumore soffocato.
«Non, non sono pronto a venire con te in Egitto,» le disse Teseo, in tono grave e lento. «Credo di avere un altro compito da ultimare. Se mi vorrai aspettare, tornerò da te quando tutto sarà finito.»
Si rivolse a Snish.
«Vieni con me,» disse al piccolo mago, che tremava, con gli occhi sbarrati. «Trovami l’uomo di bronzo, Talos, Voglio vedere qual è il suo aspetto… morto!»
Il viso pallido di Arianna era una maschera di terrore.
«Non puoi,» mormorò, ansiosamente. «Capitano, tu non sai cosa ti aspetta. Tu non capisci che gli dei non sono… di questa terra. Non sono come te, e la loro…»
Socchiuse le labbra. Un’espressione di terrore le gelò il viso. Si portò la mano alla gola, in un gesto disperato. Sollevò gli occhi al cielo, come se volesse invocare un aiuto misterioso, come se le stelle che brillavano negli spazi siderali potessero salvarla da un orribile destino. Poi, parve che qualcosa l’avesse paralizzata. Non finì la frase, ma mormorò qualcosa, e fu come un grido di dolore soffocato.
«Aspetterò,» disse.
E Teseo seguì il piccolo mago tremante, giù per la scala tenebrosa che portava nell’oscuro laboratorio di Dedalo.
CAPITOLO XXII
Teseo si mise alle calcagna di Snish, e scesero insieme nel polveroso laboratorio dello stregone morto. Il piccolo mago, con mano tremante, accese una nuova torcia, servendosi di un braciere che risplendeva rossastro, e Teseo vide che il nero avvoltoio non era più appollaiato sulla sfera d’argento.
Il viso di Snish era verde per la paura, e la torcia gli cadde dalle dita tremanti. Teseo la raccolse, e seguì il mago, e scesero la stretta scala tortuosa che portava nel labirinto di Cnosso. I denti di Snish battevano rumorosamente.