«Una volta, a Babilonia,» singhiozzò Snish, con la sua voce nasale, «io ero un onesto ciabattino. Avevo una moglie che mi era fedele, tranne che quando era ubriaca… e questo accadeva raramente, perché eravamo molto poveri.»
Inciampò su un basso scalino di pietra, ritrovò l’equilibrio in tempo.
«Cnosso mi ucciderà!» ansimò, in tono angustiato. «E io ero felice a Babilonia… se solo l’avessi saputo, che erano tempi felici, quelli!… ma non l’ho capito, e mi angustiavo, finché quel mago non mi ha portato le sue scarpe da riparare. Oh, vorrei non aver mai sentito parlare della magia!»
Si fermò, su un pianerottolo, e i suoi grandi occhi gialli brillarono alla luce della torcia.
«Padrone,» gracchiò, cupamente, «hai pensato a ciò che stai facendo? Quest’uomo di bronzo non ha umanità. Non conosce pietà. Può schiacciarmi solo per averti permesso di disturbarlo. E ti distruggerà di sicuro, capitan Fuoco. In mille anni, non è mai stato vinto.»
Le sue mani tremanti fecero un gesto supplichevole.
«Sai ciò che si dice, tra i sacerdoti neri?» mormorò. «L’uomo di bronzo è stato creato dagli dei. Si dice che gli dei siano discesi, mille anni or sono, da un luogo lontano, nel cielo. Hanno varcato le vie nere della notte, e si sono trovati qui. Per mille anni hanno vissuto, padrone! Perché non dimentichi la tua follia, padrone? Perché vuoi lasciare che le tue ossa marciscano nei pozzi di Cnosso… quando c’è una dea che ti aspetta?»
Teseo si avvicinò a lui, stringendo la torcia e la spada.
«Sono venuto a Creta per raggiungere uno scopo.» La sua voce era secca e decisa. «Non è stato ancora raggiunto. Andiamo avanti.»
«Ma sei sicuro che il tuo scopo sia buono?» domandò Snish, facendosi ancora più verde in viso. «Sei sicuro che gli dei non possano giovare al popolo? Guarda questo impero possente, padrone! Chi, se non gli dei, avrebbe potuto unire il mondo? E l’arte prodigiosa del grande Dedalo… doveva essere distrutta?»
«Ho un compito,» ribatté Teseo, senza pensare neppure alle parole di Snish. «Lo devo finire.»
Con passi incerti, Snish continuò a guidarlo. Teseo cominciò a trovare strano il fatto che essi non giungessero in nessuno spazio aperto, che non vedessero alcuna luce, che non trovassero nessun essere umano. Strano, e spaventoso. Solo una volta, per un attimo, udirono dei suoni… delle grida lontane, e il clangore soffocato delle armi.
«Di che si tratta?» domandò Teseo.
Snish si fermò, e si mise ad ascoltare, e parve che i suoi enormi occhi gialli stessero fissando qualcosa, al di là delle nere pareti umide. Annuì lentamente.
«Si tratta del tuo compagno, Cirone la Volpemaestra,» disse, «È venuto a raggiungere i tuoi uomini, e stanno inseguendo gli ultimi sacerdoti minoici nei loro rifugi, stanandoli uno per uno. Questa notte segna veramente la fine della magia, a Creta!»
«Cirone?» Teseo fissò dubbioso Snish. «Ma l’ho lasciato a difendere il recinto degli schiavi!»
Snish ascoltò di nuovo, fissando le pareti nere.
«Volpemaestra sta dicendo al tuo cuoco guercio quello che è accaduto. Ha lasciato tre donne a custodire i fuochi di guardia, sulla palizzata, e ha teso un’imboscata agli etruschi, sulla strada di Ekoros. Così li ha convinti del fatto che il popolo si è sollevato contro di loro. Gli etruschi hanno occupato il recinto, e si sono rinchiusi là dentro, per aspettare il giorno.»
«Buon vecchio Volpemaestra! È sempre degno del suo nome!» sorrise Teseo, e poi la sua espressione ritornò cupa. «Andiamo avanti, mago!»
Seguì Snish, e i deboli suoni cessarono. Discesero in un mondo umido e immobile, che Teseo ben conosceva, da quando era stato rinchiuso nelle segrete. Vi regnavano il silenzio e il fetore della morte.
Andando avanti, Teseo cominciò a tossire, per l’acre sentore di decomposizione che aleggiava nell’aria. Sobbalzò, nell’udire l’eco profonda e cupa dei loro passi. D’un tratto, pensò che era strano che Snish, arrivato da così poco tempo da Babilonia, conoscesse così bene quel labirinto. Si fermò, sull’ingresso di un vasto e cupo androne.
«Dove mi stai portando?» mormorò raucamente, in preda a un nuovo timore. «Dov’è Talos?»
Snish indicò la grande sala, nella quale si levavano delle poderose colonne.
«Possiamo aspettare qui, padrone.» Roteava gli occhi gialli, e la sua voce era un mormorio di terrore. «Se sei sempre deciso a morire. Perché Talos verrà da questa parte.»
Teseo guardò ansiosamente quel viale oscuro di grandi colonne quadrate, ma nulla si muoveva tra di esse. Ascoltò, ma udì soltanto il crepitio della torcia e il battito del suo cuore.
«Aspetteremo,» disse, «ma come fai a sapere che Talos verrà?»
Gli occhi gialli di Snish lo fissarono, con espressione grave.
«Io sono un mago,» pigolò il piccolo babilonese. «Anche se di infimo ordine.» Si avvicinò a Teseo, e il suo viso largo, brutto e dalla grande bocca da rospo apparve pallido e teso, alla luce della torcia. «Io conosco un altro piccolo trucco, padrone,» pigolò, «che potrà servirti, quando arriverà Talos!»
Teseo fece un passo indietro, diffidente.
«Di che si tratta?»
Snish allungò una mano tremante.
«Dammi la tua spada, padrone,» disse la sua voce nasale. «Le mie arti insignificanti possono renderla invisibile, in modo che parrà a Talos di affrontarti con tutti i vantaggi, vedendoti a mani vuote e disarmato. Questo piccolo vantaggio potrebbe decidere le sorti della lotta!»
Ma Teseo strinse la spada, e la puntò contro lo stomaco del mago.
«La Stella Cadente mi ha servito bene,» sibilò. «E mi servirà ancora… com’è!»
La fiamma gialla della torcia si riflesse negli occhi di Snish. Gli occhi parvero espandersi. Il loro splendore, per un istante, fu quasi terribile. Quegli occhi ricordarono a Teseo… Ma Snish, improvvisamente, divenne verdastro, tremò, e ansimò.
«P… p… padrone!» balbettò, debolmente. «È T… T… T… Talos!» Il suo braccio tremante indicò un punto alle spalle di Teseo, nel silenzio cupo delle colonne nere. «L’uomo di b… b… bronzo, sta arrivando…»
Stringendo la spada, Teseo si girò, pronto a scattare. C’era solo l’oscurità tra le due file di colonne. Mosse la torcia, e ombre silenziose e mostruose balzarono tra le colonne. Ma non ci fu alcun bagliore di metallo, né il rumore dei piedi poderosi. Rapidamente, si voltò di nuovo.
Snish era scomparso. E là, dove era stato il piccolo mago di Babilonia, ora si ergeva, bronzeo e temibile…
Talos!
CAPITOLO XXIII
Il gigante di bronzo si stava piegando. La torcia trasse riverberi di bronzo dalla sua pelle, e i suoi occhi gialli erano enormi lampade fiammeggianti. Gli splendidi muscoli vibravano nel suo corpo colossale, e i tendini vibravano come le corde di una lira. Il pugno di Talos, chiuso in un’enorme mazza di bronzo, stava scendendo, in un colpo rapido e mortale.
Teseo si gettò di lato. Agitò la Stella Cadente, mettendo tutte le sue forze in un rapido colpo istintivo. Il pugno poderoso gli sfiorò la spalla. E l’acciaio incise il braccio possente del mostro di metallo.
Teseo indietreggiò.
«Tu…» mormorò. «Talos!»
La sua pronta difesa era stata completamente automatica. Ora, con un momento di ritardo, il terrore cadde su di lui come un muro poderoso. Un sudore freddo gli copri il corpo, e la sua mano allentò la stretta sull’elsa della Stella Cadente.
Talos si abbassò, lanciando un terribile grido di dolore e di rabbia. Era come il grido di qualche mostruosa belva. Lente gocce di fiamma liquida scendevano dal suo polso ferito. Caddero sul pavimento, formando piccole pozze lucenti.