Gli occhi azzurri di Teseo si strinsero, scrutando l’orizzonte. «È un cielo molto strano!» disse. «Ma io non sto scherzando, capitan Volpemaestra… perché sei tu, ora, il capitano. Impartisci i tuoi ordini, e porta a bordo i tuoi uomini e il tuo bottino. Che gli uomini si spartiscano la mia parte… e tu potrai avere il tesoro che conservo nella mia cabina. Lasciami solo lo scafo del mercantile, perché io andrò verso Cnosso.» Studiò di nuovo il cielo, a settentrione. «Credo che il vento sia abbastanza favorevole.»
«Capitan Fuoco,» protestò il dorico, «vorrei che tu non…»
Teseo si voltò, e interruppe il pirata, puntando bruscamente il braccio. Molto lontano, a sud-ovest, oltre il liscio mare azzurro, si stendeva una lunga linea di minuscoli puntini neri.
«Ci siamo,» disse Teseo. «Ecco che viene la flotta dalle vele nere di Minosse.» Studiò ancora il cielo, meditabondo. «E viaggia veloce, sulle ali del vento che sta cambiando. Io partirò per andarle incontro. E, se tu speri di distanzare la magia di Cnosso, capitan Volpemaestra, farai meglio a prendere la tua donna gialla e ad alzare la vela!»
CAPITOLO III
Teseo ritornò a bordo della nave pirata per prendere la piccola borsa di cuoio che conteneva i suoi effetti personali. Ritornando a bordo del vascello catturato, scoprì che i preparativi per abbandonarlo si erano interrotti. Una dozzina di pirati, carichi di bottino, erano in piedi intorno all’albero maestro. E Vorkos, il cuoco guercio di Tirinto, era in ginocchio, per aumentare il suo fuoco, che riscaldava la punta di una lunga lancia di bronzo.
Teseo entrò nel circolo dei pirati. Trovò Cirone che torreggiava, rabbioso, su di un ometto giallo-bruno, che era legato all’albero maestro. Il prigioniero stava squittendo di terrore, cercando di evitare la punta di un’altra lancia arroventata che l’infuriato pirata stava dirigendo contro di lui.
«Tenta adesso la tua stregoneria!» grugnì Cirone. «Contro il bronzo rovente!»
Teseo guardò sbalordito il prigioniero. Era quasi un nano. Con la bocca larga, simile a un rospo, il suo volto grinzoso era notevolmente brutto. Il terrore gli aveva dato un vago colore verdastro. Aveva il cranio completamente calvo, ma aveva delle folte sopracciglia bianche. Gialli, enormi e cerchiati di bianco, i suoi occhi quasi uscivano dalle orbite, per la paura.
«Da dove è sbucato costui, capitan Volpemaestra?» domandò Teseo.
Cirone borbottò qualcosa, incoerentemente. Teseo guardò di nuovo, con aria meditabonda, il prigioniero che continuava a squittire. Vide con sorpresa che l’uomo indossava una veste cremisi, stracciata e lacera, e che il collo e le braccia erano coperti d’oro e di giada.
Teseo strinse il braccio del rabbioso dorico.
«La flotta cretese sta arrivando,» lo avvertì. «E la tempesta si sta addensando rapidamente a nord. Se speri di andartene, Volpemaestra, è tempo di muoverti!»
Cirone lasciò cadere la lancia rovente sul ponte, e tentò di calmarsi. Guardò con aria apprensiva la lontana linea di punti neri, a sud, e gridò al cuoco di ravvivare la fiamma.
«Andremo subito, capitan Fuoco!» disse. «Ma prima voglio bruciare gli occhi di questo piccolo stregone.»
«Da dove è saltato fuori uno stregone?» domandò Teseo. «E che ne è stato della tua donna gialla?»
Cirone cercò di parlare, annaspò, e diede un calcio al piccolo individuo legato all’albero.
«Non c’è mai stata una donna gialla,» brontolò. «C’era soltanto questo piccolo stregone maligno.» Si lamentò con violenza perché, scalciando lo stegone, aveva colpito l’albero maestro. «Aveva preso le sembianze della donna, per salvare dalla morte la sua miserabile carcassa.»
Sputò contro il piccolo stregone.
«Ho cercato di baciare la donna dorata, e lei è cambiata nelle mie braccia, trasformandosi in… questo affare!» Tremò per la rabbia. «E pensare che ho dato tutta la mia parte del bottino, e i miei gioielli, e perfino il mio mantello purpureo… per comprare una scimmia ghignante!»
Tirò il naso dell’ometto.
«Comunque, avrò il piacere di bruciargli gli occhi… e ho intenzione di godermelo!»
Il prigioniero emise un altro squittio, e si dibatté disperatamente, stretto com’era dalle corde. Gli occhi parvero schizzargli dalle orbite, poi, finalmente, egli fissò Teseo.
«Oh… capitan Fuoco,» La sua voce era nasale e pigolante. «O grandissimo, eccelso tra i pirati, il cui onore e l’audacia sono leggendari anche nella mia remota Babilonia! Oh, ti supplico e ti scongiuro, eccelso comandante, valoroso guerriero… lasciami salva la vita, abbi pietà!»
Teseo si infilò i pollici nella cintura, e scosse il capo.
«Gli stregoni non mi piacciono.»
Gli occhi gialli lo studiarono, speranzosi.
«Ma io sono il più insignificante e meschino degli stregoni,» si lamentò. «I miei incantesimi sono soltanto i più deboli e i più inutili. Nessuno di loro può far male a un uomo. Se possedessi i poteri degli stregoni di Cnosso, sarei forse qui, legato, torturato?»
Gli occhi gialli fissarono con terrore Cirone, e Teseo fece un passo avanti.
«Così eri tu la principessa dorata?»
«Sì, è vero,» pigolò l’ometto. «Quell’incantesimo è il più grande dei miei poteri, e anch’esso è debole e inutile. Perché ogni tocco lo indebolisce, e un bacio lo spezza.» Stava guardando Cirone, e la sua voce si fece ancora più affannosa. «Non volevo fare alcun male, capitan Fuoco. Mi sono servito del travestimento solo per salvare la mia miserabile esistenza. Aiutami, grande capitano, e sarò il tuo umile schiavo. Potrai comandare la mia misera magia. Ti prego solo di salvar…»
Cirone ritornò vicino, con la lancia arroventata, e la sua voce era stridula per la collera.
«Te la farò vedere io, miserabile!» gridò, furioso. «Non perdiamo tempo in chiacchiere, adesso!»
Teseo fece segno al rabbioso pirata di tirarsi indietro.
«Aspetta, capitan Volpemaestra,» disse. «Lasciami parlare a questo piccolo stregone. Si dice che la magia si combatta meglio con la magia. E io combatto contro la magia di Creta.»
Cirone agitò la lancia arroventata, con gesto impaziente.
«Ma io ho comprato questo stregone,» brontolò. «E certamente i suoi occhi sono miei, per bruciarli quando e come mi pare. E probabilmente i suoi incantesimi saranno altrettanto utili, anche se sarà cieco.»
L’ometto pigolò flebilmente.
«Tutto il tesoro della mia cabina è tuo, Volpemaestra,» disse Teseo. «Puoi comprarti una delle schiave bionde.»
«Non sono come la principessa dorata,» brontolò Cirone. «Ma tu puoi parlargli, prima che io goda del piccolo piacere che mi rimane, dopo i suoi trucchi magici.»
Teseo si avvicinò al prigioniero pigolante, e chiese:
«Chi sei, e come sei venuto a bordo?»
«Il mio nome è Snish,» pigolò l’ometto bruno, ansiosamente. «Sono nato nella remota Babilonia. Ci sono molti maghi, stregoni e incantatori, a Babilonia. Ma nessuno di loro è grande come il più debole stregone di Creta. E io ero il più piccolo e il più debole di tutti, nel mio lontano paese.»
«In questo caso,» volle sapere Teseo, «perché stavi andando a Creta?»
«È una disgraziata faccenda di clima,» gli disse Snish.
«Di clima?»
Il piccolo stregone guardò ansiosamente il barbuto Cirone.
«Solo gli stregoni più dotati e progrediti sono effettivamente in grado di governare gli elementi,» spiegò, con un certo disagio. «I maghi minori, però, sono a volte riusciti a fondare una notevole reputazione sulle naturali incertezze del tempo, giovandosi solo di coincidenze fortunate.
«Ora, si trattava di un’estate molto calda e arida, quando io affrontai la mia carriera di mago a Babilonia. I campi erano bruciati, intorno alla città, i canali erano asciutti, e il fiume era in secca, e non permetteva l’irrigazione. In queste circostanze, era sicuramente poco saggio sottoscrivere un contratto per portare la pioggia.