«Tutte le siccità, io lo sapevo, erano alla fine terminate con la pioggia… e alcuni maghi abbastanza audaci e con sufficiente faccia tosta erano riusciti a stabilirsi una solida reputazione, prendendone tutto il merito. Perciò, costruii una torretta di fango nei campi, e bruciai delle erbe in cima a essa, e sacrificai un bambino, e vegliai sotto le stelle, e aspettai, come gli agricoltori, che venisse la pioggia.
«Ma non c’era mai stata una siccità simile a Babilonia. Il cielo di giorno era una tazza rovente di rame, e le stelle di notte brillavano come gioielli. I germogli del grano avvizzivano e venivano portati via dal vento, e il bestiame moriva per la fame, e i portatori si facevano una fortuna, vendendo tazze d’acqua fangosa per le strade della grande Babilonia.
«I miei clienti cominciarono a perdere la pazienza. Invano discussi con loro delle fenomenali difficoltà che si ergevano di fronte alla mia impresa, e triplicai le mie tariffe. Finalmente, essi domandarono la restituzione di tutto quello che mi avevano pagato. Il denaro, sfortunatamente, era già stato speso. Ma i miei clienti partirono, senza di esso, e sottoposero il loro problema a un altro mago.
«Quest’altro mago era uno straniero, giunto a Babilonia solo di recente… quasi nel giorno, in realtà, in cui era iniziata la siccità. Si sapeva ben poco di lui. Ma una voce improvvisa si era diffusa per la città, e diceva che egli veniva da Creta, e aveva studiato le arti di Dedalo e Minosse.
«Lo straniero offrì, per una cifra favolosa, di dare la pioggia in quella stessa notte. I miei vecchi clienti erano disperati. Si recarono dagli usurai ittiti, offrirono le loro terre, i loro schaivi e il loro bestiame, e perfino le loro mogli, come pegno, e riuscirono a pagare la somma chiesta dallo straniero.
«Quella notte cominciò a piovere.
«Capii allora che lo straniero possedeva realmente i poteri che io avevo affermato di avere, e che le sue arti superiori dovevano essere state, in realtà, responsabili del mio insuccesso. Andai a cercarlo, deciso a chiedergli di diventare il suo apprendista. Ma scoprii che era già partito. Nessuno sapeva come e dove se ne fosse andato, ma un enorme uccello, di specie a tutti sconosciuta, era stato visto volare tra le nubi tempestose.
«Ritornando per le strade fangose alla mia dimora, trovai alcuni dei miei furibondi clienti, che erano venuti a chiedere la restituzione di ciò che mi avevano pagato. Trovai perciò più conveniente assumere le forme di una donna, e di lasciare Babilonia, a bordo di una nave.»
Il pirata dorico fece un gesto impaziente, con la sua lancia fumante. Il piccolo stregone tremò, dibattendosi tra le corde che lo stringevano all’albero maestro, e Teseo sollevò la mano, per trattenere il furibondo Cirone.
«Aspetta di conoscere la mia grande sfortuna,» lo supplicò Snish. «Lo straniero di Cnosso deve avermi gettato contro un incantesimo molto potente, che ha dimenticato di sciogliere quando è partito. Perché tutte le questioni che riguardano il tempo restano per me molto disgraziate.
«I miei viaggi, da quando ho lasciato Babilonia, sono stati lunghi e spiacevoli, quasi quanto le mie vicissitudini. Fui sbarcato nelle vicinanze di Troia, alcune lune or sono, da un capitano egizio che aveva cominciato a sospettare che la mia presenza a bordo avesse qualcosa a che vedere con i venti avversi.»
Cirone ritornò, con un’altra lancia rovente che aveva raccolto dal fuoco:
«Lasciamelo, capitan Fuoco!» supplicò. «La flotta di Creta si sta avvicinando… e questo piccolo stregone menzognero cerca di trattenerci, con le sue inutili chiacchiere, per farci cadere negli artigli della morte. Lascia che gli bruci gli occhi, e poi finalmente ce ne potremo andare.»
«Aspetta, Volpemaestra.» Teseo lo fermò, e si rivolse al piccolo stregone tremante. «Se hai tanti motivi per temere gli stregoni di Cnosso,» disse, «farai bene a spiegarci perché stavi viaggiando verso Creta! E parla in fretta!»
Snish roteò i suoi occhi sporgenti.
«Stavo appunto giungendo a questo,» pigolò ansiosamente. «Mi sono trovato senza amici, a Troia. A Babilonia, prima che così poco saggiamente cambiassi il mio mestiere, ero stato un ciabattino. Ho cercato impiego nelle botteghe di Troia, ma non riuscii a trovare niente, e dopo qualche tempo la fame mi costrinse a guadagnarmi da vivere con quelle misere arti che possedevo. Cominciai a fare certe profezie ai clienti che venivano da me… con risultati che si dimostrarono disgraziati.»
Snish scosse la testa calva con aria di rimpianto, e i suoi occhi guardarono Cirone, che stava fissando il mare, a sud-ovest, e agitava la lancia fumante con impazienza crescente.
«Vedi, anche Troia è stata costretta a pagare un tributo a Minosse, e molti volevano sapere qualcosa sul futuro di Creta. Ora, qualsiasi cosa uno possa leggere nel futuro… e si dice che gli stregoni di Creta possano indagarne i segreti con considerevole certezza… è quasi sempre una buona politica, per il veggente, ignorare le sue vere scoperte, e dire ai suoi clienti solo quello che essi vogliono credere.
«Ho assicurato ai Troiani, perciò, che Minosse è condannato, e che tutto lo splendore di Creta sarà un giorno dimenticato, e che Troia sarà un giorno la padrona del mondo… ho ignorato certe gravi indicazioni lette nelle stelle sul destino della stessa Troia, limitandomi ad avvertire i troiani di guardarsi dai cavalli.
«Non ebbi rivali a Troia, perché si tratta solo di una piccola città, e per qualche tempo riscossi un grande successo. Un successo troppo grande, in realtà, perché la mia fama giunse alle orecchie del governatore di Creta. Fui denunciato a un sacerdote cretese, e il sacerdote mi fece arrestare.»
Snish rabbrividì.
«A quanto sembra,» disse, «tutte le pratiche magiche nei territori di Minosse sono organizzate in una corporazione compatta e gelosa. Nessun mago, al di fuori della corporazione, ha il permesso di praticare l’arte magica. Senza volerlo, avevo infranto la legge. Venivo condotto a Cnosso, per affrontare quella che viene chiamata la giustizia dell’Oscuro.»
Il piccolo babilonese tremò, e divenne ancor più verdastro.
«Forse avete sentito parlare della giustizia dell’Oscuro,» ansimò. «È il destino più spaventoso che possa toccare in sorte a un essere umano. Perché la vittima viene posta al di là della giustizia degli uomini. È gettata nel nero Labirinto, sotto il palazzo di Minosse, che è la residenza dell’Oscuro. E questa malvagia divinità, così si dice, divora sia il corpo sia l’anima di coloro che entrano nel suo tenebroso dominio.»
Snish represse un altro brivido, e batté le palpebre, guardando Teseo con occhi colmi di speranza:
«Avevo indotto il capitano ittita a prendermi come sua preda,» disse in fretta. «E speravo di convincerlo a fuggire stanotte, salpando per l’Egitto. Ma questo avrebbe attirato tutta la magia di Cnosso sul mio capo.»
Gli occhi gialli di Snish seguirono i movimenti della lancia fumante di Cirone.
«È stata una grande fortuna per me, capitan Fuoco, che tu abbia preso questa nave,» gemette, immediatamente. «Cioè, lo è stata se riuscirai a dissuadere questo pirata dai suoi malvagi propositi contro il più piccolo, il più amabile, e il più insignificante degli stregoni. Salvami, capitan Fuoco!» Cominciò a squittire. «Lascia che la mia umile e misera magia venga posta al tuo onorato servizio!»
Cirone tirò il braccio di Teseo, e le sue dita tremavano.
«Lasciami questo stregone,» supplicò, con voce rauca. «Perché la flotta sta arrivando in fretta, e il cielo, a nord, ha un aspetto maligno.»
«Aspetta, Volpemaestra,» disse Teseo. «Forse potrò servirmi delle sue arti magiche.»
Snish si dibatté, speranzoso, tra le corde.