— Oh, mia signora, il peggio si è dunque abbattuto sul tuo clan?
— È così. Volete darci rifugio?
— Con piacere, ma non so come fare con questo ragazzo che vi accompagna.
— Sono soltanto io, con indosso gli abiti di mio fratello — intervenne Gweniver. — Ho pensato fosse meglio fingere che con noi ci fosse un uomo.
— Benissimo, allora — replicò la sacerdotessa, con una risata nervosa, — affrettatevi ad entrare.
Scuro e ombroso sotto la luce della luna, il vasto complesso del tempio era cosparso di edifici, alcuni di pietra altri costruiti più affrettatamente in legno. Parecchie sacerdotesse con il mantello gettato sulla camicia da notte si affollarono intorno alle profughe e aiutarono le donne più anziane a smontare di sella, continuando a parlare in tono sommesso e confortante. Alcune di esse condussero poi i cavalli nelle stalle, altre accompagnarono le fuggiasche nella lunga costruzione di legno riservata agli ospiti. Quello che un tempo era stato un elegante edificio dove alloggiare le nobildonne in visita era adesso affollato di brande e di cassapanche, perché in esso avevano trovato rifugio donne di ogni classe sociale: la sanguinosa faida che aveva ridotto il clan del Lupo a tre sole donne era infatti soltanto uno dei fili che componevano l’orribile arazzo della guerra civile.
Alla luce di una candela, le sacerdotesse trovarono alle nuove arrivate alcune brande vuote in un angolo; in mezzo ai sussurri e alla confusione, Gweniver si distese sulla più vicina e si addormentò senza neppure togliersi la spada o gli stivali.
Al risveglio si trovò in un dormitorio silenzioso e vuoto, inondato dalla luce che penetrava dalle strette finestre poste vicino al tetto. Era venuta tanto spesso in visita al tempio che per un momento rimase confusa, chiedendosi se era lì per pregare di vedere con chiarezza quale fosse la sua vocazione o per rappresentare il suo clan nei riti del raccolto. Poi i ricordi l’assalirono, violenti come un colpo di spada.
— Avoic! — sussurrò. — Oh, Avoic!
I suoi occhi non versarono però neppure una lacrima, e d’un tratto si accorse di avere fame. Sentendosi tutta indolenzita, si stiracchiò e si alzò in piedi, oltrepassando una soglia all’estremità del dormitorio da cui si accedeva al refettorio, una stretta stanza piena di tavoli per i numerosi e disperati ospiti. Una neofita che portava un abito bianco e una sopragonna verde lanciò un acuto strillo.
— Chiedo scusa, Gwen — disse poi, ridendo. — Per un momento ho pensato che fossi un ragazzo. Siediti, e ti porterò un po’ di porridge.
Gweniver si slacciò la cintura con la spada e la posò sul tavolo accanto prima di sedersi, lasciando scorrere un dito sul fodero che era appartenuto ad Avoic, in cuoio rivestito di argento brunito decorato con spirali e sagome intrecciate di lupi. Secondo tutti i canoni della legge, adesso lei era il capo del clan del Lupo, ma dubitava che avrebbe mai potuto reclamare quel suo diritto: per poter ottenere che la successione andasse alla linea femminile di discendenza avrebbe infatti dovuto sormontare ostacoli ben maggiori di quello costituito dal Tieryn Burcan del clan del Cinghiale.
Entro pochi minuti Ardda, la somma sacerdotessa del tempio, si venne a sedere accanto a lei; anche se era prossima alla sessantina, con i capelli grigi e una ragnatela di rughe intorno agli occhi, Ardda aveva ancora un passo e un portamento lievi come quelli di una ragazza.
— Dunque, Gwen — esordì la donna. — Per anni mi hai ripetuto che volevi diventare una sacerdotessa. Il tuo momento è giunto oppure no?
— Non lo so, mia signora. Sai che ho sempre nutrito dei dubbi in merito alla mia vocazione… ecco, ammesso che mi resti qualche scelta al riguardo.
— Non ti dimenticare che adesso hai come dote le terre del clan. Quando la notizia si diffonderà, sono pronta a scommettere che fra gli alleati di tuo padre ci sarà più di un giovane disposto a venire a tirarti fuori di qui.
— Oh, per gli dèi, non ho mai desiderato sposarmi!
Con un piccolo sospiro, Ardda sollevò inconsciamente una mano a toccarsi la guancia destra, su cui spiccava il tatuaggio azzurro della luna crescente. Qualsiasi uomo che osasse toccare con desiderio una donna che portava quel simbolo veniva immediatamente messo a morte: non soltanto i nobili, ma anche qualsiasi uomo libero di qualunque ceto sarebbe stato pronto ad uccidere il colpevole, perché se la Dea si fosse adirata i raccolti non avrebbero prosperato e nessun uomo avrebbe più generato dei figli.
— Per poter conservare le terre del Lupo ti dovrai sposare — osservò poi.
— Non è che io voglia le terre, voglio soltanto tenere vivo il clan, e c’è sempre mia sorella. Se io mi votassi alla Dea, allora Maccy erediterebbe di diritto, e lei ha sempre avuto una quantità di corteggiatori, anche quando aveva soltanto una piccola dote.
— Ma sarebbe in grado di governare il clan?
— Certamente no, ma se le scegliessi il marito giusto… oh, ma senti cosa dico! Come farò ad arrivare dal re per presentargli la mia petizione? Sono pronta a scommettere che in questo preciso momento gli uomini del Cinghiale stanno venendo qui per accertarsi di tenerci rinchiuse nel tempio come maiali in un recinto.
Quella predizione si rivelò esatta appena un’ora più tardi. Gweniver stava passeggiando con irrequietezza nel cortile quando sentì il rumore degli zoccoli di molti cavalli che venivano da quella parte. Imitata da altre sacerdotesse, spiccò subito la corsa verso le porte, gridando alle custodi di sprangarle. Gweniver le stava aiutando a calare al suo posto la sbarra di ferro quando i cavalieri sopraggiunsero fra un tintinnare di cotte di maglia e un tamburellare di zoccoli. Ardda era intanto già salita sulla passerella che correva al di sopra delle porte, e Gweniver la raggiunse, tremando per la rabbia.
In basso, ferma alla rispettosa distanza di venti metri, c’era la banda di guerra del Cinghiale al completo, composta da settanta uomini. Burcan in persona, un uomo sul finire della trentina, con i capelli e i baffi neri abbondantemente striati di bianco, si staccò dal resto dei guerrieri e venne insolentemente avanti fino alle porte. Nel protendersi dai bastioni, Gweniver sentì di odiare quell’uomo, che aveva sterminato il suo clan.
— Che cosa volete? — gridò Ardda. — Avvicinarsi alla Santa Luna in equipaggiamento di guerra è un insulto alla Dea.
— Non intendiamo nessun insulto, Vostra Santità — gridò di rimando Burcan, con la sua voce cupa e sepolcrale. — Il nostro equipaggiamento è dovuto soltanto al fatto che siamo venuti qui in tutta fretta. Vedo che Lady Gweniver è al sicuro presso di voi.
— E al sicuro rimarrà, a meno che tu non voglia che la maledizione della Dea renda sterili le vostre terre.
— Credi che io sia uomo da violare un sacro santuario? Sono venuto qui per offrire a Lady Gweniver una proposta di pace. — Burcan si girò sulla sella e guardò verso Gweniver. — Più di una faida sanguinosa si è conclusa con un matrimonio, mia signora. Prendi come marito il mio secondo figlio e governa le terre del Lupo in nome dei Cinghiale.
— Non permetterei mai ad un tuo figlio di posare un solo sporco dito su di me, bastardo! — urlò Gweniver, con quanto fiato aveva. — E poi, cosa ti aspetti che faccia, che segua quel falso re che tu servi?