L’ampio volto di Burcan si tinse di rosso per l’ira.
— Allora pronuncerò un voto — ringhiò di rimando. — Se non potrà averti mio figlio, non ti avrà nessun altro uomo, e questo vale anche per tua sorella. Se sarò costretto, reclamerò le vostre terre in base al diritto che viene dalla vittoria di una faida di sangue.
— Dimentichi dove ti trovi, mio signore! — scattò Ardda. — Ti proibisco di rimanere per un altro minuto sulle terre del tempio. Prendi i tuoi uomini e vattene senza formulare altre minacce contro chi adora la Dea.
Burcan esitò per un momento, poi scrollò le spalle e girò il cavallo. Gridando una serie di ordini raccolse i suoi uomini e si ritirò sulla pubblica strada ai piedi della collina. Gweniver serrò i pugni fino a farli dolere nel vedere gli uomini della banda di guerra che si sparpagliavano sul prato sul lato opposto della strada, da un punto di vista tecnico fuori dalle terre che fornivano sostentamento al tempio, ma comunque in ottima posizione per sorvegliarlo.
— Non potranno restare là per sempre — osservò Ardda. — Presto si dovranno recare a Dun Deverry per adempiere ai doveri che hanno nei confronti del loro re.
— Hai ragione, ma scommetto che resteranno qui il più a lungo possibile.
Ardda sospirò, appoggiandosi ai bastioni, e di colpo parve molto vecchia e molto stanca.
La guerra civile aveva avuto origine ventiquattro anni prima, quando il Sommo Re era morto senza un erede maschio e sua figlia, una ragazzina dalla salute cagionevole, era morta a sua volta poco tempo dopo. Ciascuna delle tre sorelle del re aveva però avuto dei figli da un marito di rango elevato. Le tre donne erano rispettivamente sposate al Gwerbret di Cerrmor, al Gwerbret di Cantrae e al Principe del Regno di Eldidd. Secondo la legge, il trono sarebbe dovuto passare al figlio primogenito della sorella più anziana, sposata al Gwerbret di Cantrae, che però era fortemente sospettato di aver avvelenato tanto il re quanto la principessa per poter reclamare il trono per suo figlio. Il Gwerbret di Cerrmor aveva ingigantito quei sospetti al fine di garantire il trono al proprio erede e a quel punto il Principe di Eldidd aveva avanzato a sua volta delle pretese sul trono, basandole sul fatto che suo figlio era doppiamente di sangue reale. Dal momento che il padre di Gweniver non si sarebbe mai schierato con uno straniero di Eldidd, il clan del Lupo aveva fatto la sua scelta quando l’odiato clan del Cinghiale si era schierato con Cantrae.
Anno dopo anno, i combattimenti erano infuriati intorno alla preda più ambita, la città di Dun Deverry, presa da una fazione un’estate soltanto per essere conquistata da un’altra qualche anno più tardi. Dopo tanti assedi, Gweniver dubitava che della Città Santa rimanesse ancora qualcosa che valesse la pena di essere reclamato, ma il suo possesso era di importanza vitale per chi voleva conservare la sovranità. Per tutto l’inverno la città era rimasta nelle mani di Cantrae, ma adesso era giunta la primavera e dovunque nel regno devastato dalla guerra i pretendenti stavano radunando i vassalli e consolidando le alleanze, e Gweniver era certa che ormai gli alleati del suo clan si trovassero già tutti a Cerrmor.
— Ascolta, Maccy — disse quindi alla sorella. — Può darsi che noi si sia costrette a rimanere qui per tutta l’estate, ma prima o poi qualcuno arriverà con la sua banda di guerra a tirarci fuori.
Macla annuì con espressione infelice. Le due ragazze erano sedute nei giardini del tempio, su una piccola panca posta fra file di carote e di cavoli. Macla, che aveva sedici anni, era di solito una ragazza graziosa, ma quel giorno i suoi capelli biondi erano raccolti in un nodo arruffato e i suoi occhi erano rossi e gonfi per il pianto.
— Spero che tu abbia ragione — replicò infine. — Ma se nessuno pensasse che le nostre terre valgono qualcosa? Chiunque ti sposasse dovrebbe poi però sempre combattere contro il dannato vecchio Cinghiale, e dal momento che adesso tu non ti puoi più permettere di darmi una dote, probabilmente marcirò in quest’orribile vecchio tempio per il resto della mia vita.
— Non dire assurdità del genere! Se io pronunciassi i voti sacri, allora tu avresti per la tua dote più terra di quanta qualsiasi donna possa mai pensare di ereditare.
— Oh. — La speranza tornò ad affiorare negli occhi di Macla. — Tu hai sempre parlato di diventare una sacerdotessa.
— Proprio così. Non ti preoccupare, riusciremo a trovarti un marito.
Macla sorrise, rasserenata, ma il suo flusso di lamentele aveva intanto avuto l’effetto di far insorgere dei dubbi nella mente di sua sorella. E se davvero nessuno si fosse mostrato disposto ad accettare in dote le terre del Lupo a causa della faida legata ad esse? Avendo ascoltato per tutta la vita discorsi di guerra, Gweniver ne sapeva in proposito qualcosa di più dell’innocente Macla: le terre del Lupo si trovavano in una brutta posizione strategica, proprio sul confine con Cantrae e così ad est di Cerrmor che era assai difficile difenderle. E se il re, che risiedeva a Cerrmor, avesse deciso di modificare i confini per consolidarli?
Lasciata sola Maccy nel giardino, Gweniver prese a passeggiare con irrequietezza: se soltanto fosse riuscita ad arrivare fino dal re per presentargli la sua petizione! Secondo tutto ciò che aveva sentito dire sul suo conto, il sovrano era un uomo scrupolosamente onorevole e avrebbe potuto benissimo darle ascolto, sempre che avesse trovato il modo di raggiungerlo. Salita sulla passerella sovrastante le porte, Gweniver guardò all’esterno… anche se erano trascorsi tre giorni, Burcan e i suoi erano ancora accampati sul prato.
— Quanto tempo intendete restare lì, bastardi? — borbottò fra sé.
Risultò però ben presto che il Cinghiale non era intenzionato a fermarsi ancora per molto. Il mattino successivo, allorché salì sui bastioni subito dopo l’alba, Gweniver vide infatti che i membri della banda di guerra stavano sellando i cavalli e caricando i carri dei viveri. Quando se ne andarono, però, gli uomini del Cinghiale lasciarono sul posto quattro soldati e un carro fornito di provviste sufficienti a rimanere là di guardia per mesi.
Gweniver esplose in una serie di invettive, pronunciando ogni immonda imprecazione che le era mai capitato di sentire fino a ritrovarsi ansante e senza fiato. Alla fine, dovette riconoscere con se stessa che non si sarebbe dovuta aspettare qualcosa di diverso e sentì all’improvviso svanire la speranza, perché anche se Burcan avesse preso con sé tutti gli uomini lei non avrebbe comunque potuto percorrere da sola i duecentottanta chilometri che la separavano da Cerrmor.
— A meno di viaggiare nei panni di una sacerdotessa — commentò poi ad alta voce, rivolta a se stessa.
Una volta che avesse avuto sulla guancia il tatuaggio azzurro sarebbe stata al sicuro da qualsiasi violazione, come se si fosse trovata al centro di un esercito. Sarebbe allora potuta andare dal re e fare leva sui voti sacri appena pronunciati per implorarlo di mantenere in vita il suo clan, di trovare un uomo disposto a sposare Maccy e a tenere vivo il nome del Lupo. Fatto questo sarebbe potuta tornare a vivere nel tempio. Girandosi, si appoggiò con le spalle ai bastioni e abbassò lo sguardo sul cortile sottostante, dove le neofite e le sacerdotesse di rango inferiore erano già intente a lavorare nei giardini o a trasportare la legna da ardere nelle cucine, mentre altre sacerdotesse stavano passeggiando in meditazione intorno all’edificio del tempio vero e proprio. Nonostante tutta quella attività, però, il silenzio era assoluto sotto il caldo sole primaverile, perché nessuno parlava a meno che non fosse strettamente necessario, e anche allora lo faceva con voce assai sommessa. Per un momento, Gweniver ebbe l’impressione di non riuscire quasi a respirare per il senso di soffocamento che le derivava dall’immaginare il proprio futuro in quel luogo.
All’improvviso, fu assalita da una furia cieca e irrazionale: era intrappolata come un lupo in gabbia che mordesse invano le sbarre. Il suo odio per Burcan divenne una bramosia intensa e assoluta, crescendo fino a riversarsi anche sul re che si trovava a Cerrmor. Era intrappolata fra quei due uomini, costretta a implorare uno di lasciarle ciò che era suo di diritto e l’altro di ottenere vendetta in sua vece. Come una folle, prese a tremare e a scuotere con violenza il capo, quasi in un gesto di rifiuto nei confronti dell’intero universo, assalita da una sensazione che esulava dalla sua comprensione perché gettava le sue radici in un lontano passato e in un’altra vita, in cui già una volta lei si era venuta suo malgrado a trovare intrappolata fra due uomini. Naturalmente, non conservava più nessun ricordo al riguardo, ma permaneva in lei il nucleo di quel sentimento, duro e tagliente come una scheggia di vetro conficcata in gola.