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La struttura lignea e rotonda del tempio sorgeva al centro del complesso, con la porta fiancheggiata ai due lati da due contorti cipressi simili a fiamme verdi, importati fin dal Bardek e curati amorevolmente per più di un duro inverno; quando passò in mezzo ad essi, Gweniver avvertì un’ondata di potere, quasi avesse oltrepassato la soglia che dava accesso ad un altro mondo. Dopo aver bussato nove volte alla porta di quercia, attese fino a sentire nove soffocati colpi di risposta provenienti dall’interno, poi aprì il battente e passò nell’anticamera, fiocamente illuminata da una sola candela. Là trovò ad attenderla una sacerdotessa vestita di nero.

— Puoi indossare quei vestiti nel tempio e portare con te la tua spada. Così ha ordinato la somma sacerdotessa.

Nel santuario interno, le lucide pareti di legno splendevano al bagliore delle nove lampade ad olio, e il pavimento era cosparso di canne fresche. A ridosso della parete più lontana c’era l’altare, un masso lasciato grezzo tranne che per la sommità, che era stata levigata fino a trasformarla in una sorta di tavolo. Dietro l’altare era appeso un enorme specchio circolare, la sola immagine di sé che la Dea tollerasse nei suoi templi. Vestita di nero, Ardda attendeva a sinistra dell’altare.

— Sfodera la spada e posala sull’altare — ordinò.

Dopo aver indirizzato un inchino allo specchio, Gweniver fece come le era stato detto, e in quel momento tre anziane sacerdotesse emersero in silenzio da una porta laterale per presenziare alla formulazione dei voti in veste di testimoni.

— Siamo riunite per istruire e ricevere fra noi una donna che vorrebbe servire la Dea della Luna — affermò allora Ardda. — Gweniver del Lupo è nota a tutte noi. Ci sono obiezioni alla sua candidatura?

— Nessuna — risposero all’unisono le tre sacerdotesse. — Ci è nota come una donna benedetta dalla Nostra Signora.

— Benissimo, allora. — La somma sacerdotessa si girò verso Gweniver. — Giuri di servire la Dea in tutti i giorni e tutte le notti della tua vita?

— Lo giuro, mia signora.

— E giuri di non conoscere mai uomo?

— Lo giuro, mia signora.

— Giuri di non tradire mai il segreto del suo santo nome?

— Lo giuro, mia signora.

Ardda sollevò le mani e le batté tre volte, poi altre tre e infine ancora tre volte, scandendo il numero sacro nelle giuste proporzioni, e Gweniver si sentì pervadere da una pace solenne e al tempo stesso meravigliosa, mentre una dolcezza simile a quella del sidro le inondava il corpo. Finalmente si era decisa e aveva pronunciato il suo voto.

— Fra tutti gli dèi — proseguì Ardda, — soltanto la Nostra Signora ha un nome ignoto alla gente comune. Noi sentiamo parlare di Epona, sentiamo parlare di Sirona, sentiamo parlare di Aranrhodda, ma sempre la Nostra Signora è soltanto la Dea della Luna. — Ardda s’interruppe e si girò verso le tre testimoni, chiedendo: — Perché una cosa del genere?

— Il suo nome è un segreto.

— È un mistero.

— È un enigma.

— E tuttavia — riprese Ardda, dopo quelle risposte, — è un enigma facile da risolvere. Qual è il nome della Dea?

— Epona.

— Sirona.

— Aranrhodda.

— E — aggiunsero le tre, all’unisono, — tutti gli altri.

— Avete detto il vero — scandì Ardda, rivolgendosi a Gweniver. — Questa è la risposta all’enigma. Tutte le dee sono una sola dea, che risponde a tutti i nomi e a nessuno, perché lei è Una.

Gweniver prese a tremare per la gioia.

— Indipendentemente da come gli uomini o le donne la possono chiamare, lei è Una — proseguì Ardda. — Esiste soltanto un ordine sacerdotale che la serve. Lei è come la pura luce del sole che colpisce il cielo pieno di pioggia e lo trasforma in un arcobaleno… molti colori ma solo Una fonte.

— Lo pensavo da tempo — sussurrò Gweniver. — Ora lo so.

Di nuovo la somma sacerdotessa scandì i nove colpi, poi si girò verso le testimoni.

— C’è un interrogativo riguardo a come Gweniver, ora non più nobile dama ma sacerdotessa, dovrà servire la Dea. Che la novizia s’inginocchi e presenti la sua petizione davanti all’altare.

Gweniver si lasciò cadere in ginocchio davanti ad esso; nello specchio poteva vedere la propria immagine resa ombrosa dalla tremolante luce delle lampade, ma stentò a riconoscersi con i capelli corti, la bocca incupita e gli occhi che ardevano per la bramosia di vendetta.

Aiutami, o Signora dei Cieli, pregò, io voglio sangue e vendetta, non lacrime e lutto.

— Guarda nello specchio — sussurrò Ardda, — e prega la Dea di venire a te.

Gweniver adagiò le mani sull’altare e iniziò la sua veglia. In un primo tempo non vide nulla tranne il proprio volto e il tempio che si allargava alle sue spalle, poi Ardda prese a intonare un canto acuto e lamentoso nella lingua antica e parve che la luce delle lampade si mettesse a ondeggiare all’unisono con i ritmi lenti e oscillanti del canto che si diffondeva nel tempio come il soffio freddo del vento del nord. Nello specchio la luce cambiò, si attenuò e divenne oscurità, un’oscurità che tremava come un freddo cielo senza stelle. Mentre il suono lamentoso e antico del canto continuava a levarsi, Gweniver sentì i capelli che le si rizzavano sulla nuca allorché nell’oscurità dello specchio apparvero le stelle, che iniziarono la loro interminabile danza nell’infinità celeste. Poi fra di esse si formò l’immagine di Un’Altra.

La figura torreggiò fra le stelle con il volto cupo e assetato di sangue, scuotendo il capo fino ad allargare la vasta chioma nera che coprì il cielo. Gweniver quasi smise di respirare quando gli occhi neri la fissarono. Quella era la Dea del Tempo Oscuro, la Dea che aveva il cuore trafitto di spade e che esigeva lo stesso da quanti l’adoravano.

— Mia signora — sussurrò Gweniver, — accettami come sacrificio. Ti servirò sempre.

Gli occhi la fissarono per un lungo momento, intensi, luminosi, pervasi da un’assoluta freddezza, e Gweniver avvertì la presenza della dea tutt’intorno, come se essa si fosse trovata non soltanto davanti a lei ma anche al suo fianco e alle sue spalle.

— Prendimi — disse. — Non sarò altro che una spada nella tua mano.

Sull’altare, la sua spada fiammeggiò di una luce sanguigna, proiettando verso l’alto un bagliore che tinse di rosso lo specchio. Il canto lamentoso s’interruppe: Ardda aveva visto il presagio.

— Giurale fedeltà — ingiunse la sacerdotessa, con voce tremante. — Giura che la servirai nella vita… e nella morte — concluse, affranta.

— Lo giuro, dal profondo del mio cuore.

Nello specchio, gli occhi della Dea emanarono gioia. La luce sulla spada si levò verso l’alto come una lingua di fiamma, poi ricadde fino a svanire e lo specchio si scurì, mostrando dapprima le stelle e poi soltanto il nulla.

— È fatto! — esclamò Ardda, battendo le mani con un colpo che echeggiò nel tempio.

Adesso lo specchio rifletteva il volto pallido e sudato di Gweniver.

— Lei è venuta a te — disse la somma sacerdotessa, — e ti ha elargito una benedizione che molti considererebbero una maledizione. Sei stata scelta e hai giurato: servila bene, altrimenti la morte sarà la minore delle tue preoccupazioni.