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— Non la tradirò mai. Come potrei, ora che ho guardato negli occhi della Notte?

Mentre Ardda scandiva altri nove colpi, divisi in gruppi di tre, Gweniver si rialzò in piedi, ancora tremante, e recuperò la spada dall’altare.

— Non pensavo proprio che lei ti avrebbe accettata — osservò Ardda, prossima a scoppiare in pianto, — ma adesso tutto quello che posso fare è pregare per te.

— Le tue preghiere mi saranno preziose, per quanto lontano io possa andare.

Intanto altre due sacerdotesse erano entrate nel tempio, una con una ciotola d’argento piena di una fine polvere azzurra e l’altra con un paio di sottili aghi dello stesso metallo. Quando videro la spada nelle mani di Gweniver, le due donne si scambiarono uno sguardo colmo di sorpresa.

— Apponetele il marchio sulla guancia sinistra — disse Ardda. — Lei serve la Nostra Signora dell’Oscurità.

Grazie alle provviste sottratte agli uomini del Cinghiale, Ricyn e i suoi compagni si poterono concedere la prima abbondante colazione calda da alcuni giorni a quella parte, a base di porridge di orzo e di pancetta salata, e la mangiarono lentamente, assaporando ogni boccone e godendo ancor di più della temporanea sicurezza offerta dal tempio.

Stavano finendo quando Ricyn sentì qualcuno avvicinarsi alla capanna con un cavallo e subito balzò in piedi con la spada sguainata, nell’eventualità che si trattasse di una spia del Cinghiale. Era però soltanto Gweniver, vestita con gli abiti del fratello, che si tirava dietro per la cavezza un grosso cavallo da guerra grigio; sotto il sole del mattino la sua guancia sinistra appariva come bruciata da quanto era rossa e gonfia, e al centro di quel gonfiore spiccava la sagoma azzurra di una luna crescente. I tre uomini fissarono in silenzio la ragazza, che sorrise imparzialmente a tutti e tre.

— Mia signora? — chiese infine Dagwyn. — Intendi dunque rimanere al tempio?

— No. Oggi stesso partiremo per Cerrmor. Caricate sui cavalli catturati tutte le provviste che possono portare.

I tre annuirono con assoluta obbedienza, ma Ricyn indugiò ancora a guardarla, incapace di distogliere lo sguardo dal suo volto. Anche se nessuno avrebbe potuto definirla bella (il suo viso era troppo largo, la sua mascella troppo forte), Gweniver era però attraente, con un fisico alto e snello dotato della grazia di un animale selvatico, e da anni Ricyn era innamorato di lei senza speranza. Ogni inverno aveva trascorso lunghe ore seduto da un lato nella grande sala della rocca, intento a fissare la ragazza che sedeva al tavolo d’onore e che era per lui irraggiungibile. Vedere che Gweniver si era votata alla Dea destava ora nel suo animo una sorta di cupa soddisfazione, perché questo significava che nessun altro uomo avrebbe mai potuto averla.

— C’è qualcosa che non va? — gli chiese Gweniver.

— Nulla, mia signora. Se mi è permesso chiederlo, mi stavo soltanto domandando perché il tatuaggio si trova sul lato sinistro della tua faccia.

— Hai ogni diritto di saperlo. Esso mi contraddistingue come una guerriera votata alla Luna — sorrise Gweniver, e con quel sorriso parve tramutarsi in una donna diversa… fredda, fiera e con lo sguardo duro. — Voi tutti pensavate che cose del genere esistessero soltanto nelle canzoni dei bardi, vero?

Ricyn apparve tanto sorpreso da dare l’impressione che avesse ricevuto un colpo in pieno viso, e Dagwyn trattenne il respiro in un sussulto sconcertato.

— Adesso Lady Macla è il capo del clan del Lupo — proseguì Gweniver, — e mi ha nominato capitano della sua banda di guerra fino a quando non si sarà sposata e suo marito non avrà supplito un gruppo di cavalieri. Se per allora saremo ancora vivi voi tre potrete scegliere fra il giurare fedeltà al nuovo signore oppure continuare a seguire me. Per adesso, comunque, andremo a Cerrmor per partecipare alle battaglie di quest’estate. Il Lupo si è impegnato a portare degli uomini, e non infrange mai la parola data.

— Benissimo, mia signora — replicò Ricyn. — Forse non siamo granché, come banda di guerra, ma se qualche bastardo si azzarderà a dire una sola parola sbagliata sul nostro capitano gli taglierò io stesso la gola.

Quando partirono, si incamminarono con cautela, nel caso che qualche uomo del Cinghiale potesse essere in agguato sulle strade, e Dagwyn e Camlwn procedettero a turno all’avanguardia mentre il gruppetto seguiva i sentieri secondari che si snodavano fra le colline. Anche se Cerrmor era a dieci giorni abbondanti di distanza, la sicurezza era molto più vicina, nelle fortezze degli antichi alleati del clan del Lupo, a sud e ad est. Per due giorni i quattro aggirarono i confini delle terre del Lupo, non osando di addentrarvisi per timore che i guerrieri del Cinghiale le stessero pattugliando, e alla mattina del terzo giorno attraversarono il piccolo Fiume Nerr servendosi di un guado poco frequentato, dirigendo poi più a sud che ad est, alla volta delle terre del clan del Cervo. Quella notte si accamparono al limitare di un tratto di foresta che il Cervo e il Lupo usavano congiuntamente come riserva di caccia, e nel vedere quegli alberi Gweniver sentì le lacrime salirle agli occhi al ricordo di come i suoi fratelli avessero amato cacciare in mezzo ad essi.

Mentre gli uomini impastoiavano i cavalli e preparavano il campo, Gweniver prese a passeggiare con irrequietezza, perché cominciava ad essere tormentata da gravi dubbi: un conto era infatti parlare di andare personalmente in guerra, e un altro era guardare la propria minuscola banda e rendersi conto che adesso la vita degli altri dipendeva dall’abilità con cui lei li avrebbe guidati. Con la scusa di cercare un po’ di legna secca per il fuoco, si addentrò nella foresta e girovagò fra gli alberi fino a trovare un piccolo ruscello che scorreva silenzioso sulle rocce, fra due rive orlate di felci. Intorno a lei le vecchie querce proiettavano ombre che sembravano esistere dall’inizio dei tempi.

— Dea — sussurrò. — Ho scelto la via giusta?

Sulla tremolante superficie del ruscello non apparve però nessuna visione. Gweniver estrasse la spada e fissò la lama, che sull’altare della Dea era stata percorsa dalla luce infuocata; in quel momento le parve di avvertire gli spettri dei familiari morti raccogliersi intorno a lei… Avoic, Maroic, Benoic e, in ultimo, suo padre Caddryc, quegli uomini alti e cupi la cui vita aveva dominato la sua, il cui orgoglio aveva contribuito a generare il suo.

— Non vi lascerò mai giacere invendicati — sussurrò.

Li sentì sospirare per l’asprezza del loro Wyrd, o forse fu soltanto il sussurro del vento fra gli alberi, perché gli spettri svanirono rapidi come erano venuti… Gweniver comprese tuttavia che la Dea le aveva mandato un presagio, proprio come aveva fatto quando aveva benedetto la sua spada.

— Vendetta! La mieteremo nel nome della Dea, ma comunque avremo vendetta.

Con la spada ancora in mano, Gweniver accennò a tornare verso i suoi uomini, ma nel sentire alle proprie spalle il rumore di un passo e di un ramo che si spezzava di girò di scatto con l’arma sollevata.

— Venite fuori! — ingiunse. — Chi disturba una sacerdotessa votata alla Dea Oscura?

Dai cespugli emersero due uomini con la spada spianata, gli abiti laceri e sporchi, i capelli arruffati e la barba lunga. Quando i due la fissarono con occhi socchiusi, Gweniver sentì la Dea manifestarsi dietro di lei, una presenza tangibile che le fece rizzare i capelli sulla nuca, e squadrò i due con un freddo sorriso che parve affiorarle sul volto di sua volontà.

— Non mi avete risposto — disse. — Chi siete e cosa ci fate qui?

Uno dei due, un uomo snello e bruno, lanciò un’occhiata al compagno con un accenno di sorriso; questi però scosse la testa dai capelli rossi in un gesto di diniego e avanzò di un passo.

— C’è un tempio nelle vicinanze, mia signora, oppure tu sei un’eremita che vive nella foresta? — domandò.