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— Per tutti gli dèi, Gwen, mi rallegra il cuore vederti viva. Quando è giunta la notizia della morte di Avoic mi ha angosciato il timore che potesse essere successo qualcosa di male a te e a tua sorella. Mi sarei diretto al nord immediatamente, ma il nostro signore non me lo ha permesso.

— Indubbiamente non voleva perdere te e i tuoi uomini insieme ai nostri. Maccy è al sicuro nel tempio insieme a nostra madre.

Con un sorriso, Gwetmar si lasciò cadere su una sedia e Gweniver si appollaiò sul vicino davanzale, studiandolo con attenzione.

— Senti — chiese lui, dopo un momento, — hai davvero intenzione di cavalcare con noi?

— Sì. Voglio avere l’occasione di vendicarmi, prima di morire.

— Lo capisco, e prego ogni dio che mi permetta di abbattere colui che ha ucciso Avoic. Se vivremo fino a questo autunno, ti prometto che unirò i miei uomini ai tuoi e ti aiuterò a risolvere questa faida.

— Ti ringrazio… speravo che dicessi qualcosa del genere perché stavo pensando alle terre del Lupo. Adesso appartengono a Maccy, o almeno le apparterranno se il re accoglierà la mia petizione di permettere che esse passino alla linea di discendenza femminile. Io però sono ancora la sorella maggiore, oltre che una sacerdotessa, e lei farà dannatamente bene a sposare l’uomo che io le sceglierò.

— E non dubito che ne sceglierai uno alla sua altezza — replicò Gwetmar, distogliendo lo sguardo con espressione improvvisamente malinconica. — Maccy non merita di meno.

— Ascoltami, razza di idiota, sto parlando di te. So che Maccy si è sempre comportata con te come una piccola fredda bastarda, ma in questo momento sposerebbe anche il Signore dell’Inferno in persona pur di poter uscire da quel tempio, ed io non ho intenzione di dire a nessun altro nobile affamato di terre dove lei si trovi fino a quando tu non avrai avuto la possibilità di mandarle un messaggio.

— Gwen! Si dà il caso che io ami sinceramente tua sorella, e non soltanto le sue terre!

— Lo so, altrimenti perché credi che la starei offrendo a te?

Gwetmar gettò indietro il capo e scoppiò in una risata luminosa come il sole che emergesse fra le nuvole.

— Non ho mai pensato che avrei avuto la possibilità di sposarla — ammise infine. — Assumere il nome del Lupo e addossarmene la faida mi sembra un prezzo dannatamente esiguo da pagare.

Gwetmar scortò personalmente Gweniver nella grande sala, dove da un lato si trovava la piattaforma rialzata su cui c’era la tavola a cui il re e i suoi nobili consumavano i pasti. Anche se Glyn non si vedeva da nessuna parte, parecchi lord erano seduti a quella tavola, intenti a bere pigramente boccali di birra mentre ascoltavano l’esibizione di un bardo. Gweniver e Gwetmar presero posto accanto a Lord Maemyc, un anziano nobile che aveva conosciuto bene il padre di Gweniver: il vecchio si accarezzò pensosamente i baffi grigi e fissò Gweniver con espressione triste, ma con suo sollievo non avanzò nessun commento sulla via che lei aveva scelto di percorrere. Adesso che il re aveva dato la sua approvazione, nessuno avrebbe mai osato mettere in discussione la scelta da lei fatta.

Ben presto la conversazione si spostò inevitabilmente sugli imminenti combattimenti. La guerra lasciava presagire un avvio lento, perché dopo le sanguinose campagne degli ultimi anni Cerrmor non aveva semplicemente abbastanza uomini per assediare Dun Deverry, così come Cantrae non ne aveva a sufficienza per attaccare seriamente Cerrmor.

— Se volete il mio parere, si prospettano una quantità di scaramucce — dichiarò Maemyc, — e forse un duro attacco verso nord per vendicare i Clan del Lupo e del Cervo.

— Soltanto un paio di rapide scorrerie e niente altro — convenne Gwetmar, — ma del resto ci dobbiamo preoccupare anche di Eldidd, sul confine occidentale.

— È vero — convenne il vecchio, lanciando un’occhiata a Gweniver. — Il gwerbret sta diventando sempre più ardito con le sue scorrerie in profondità che mirano a dissanguare tanto noi quanto Cantrae. Scommetto che sta tenendo da parte il grosso delle sue forze per quando saremo entrambi a terra.

— Capisco. Mi sembra una mossa logica.

Sul lato opposto della piattaforma ci fu una certa agitazione intorno alla piccola porta che dava accesso alla scala privata del re, dove due paggi s’inginocchiarono cerimoniosamente mentre un terzo spalancava il battente. Aspettandosi di veder apparire il re, Gweniver si preparò ad alzarsi in piedi, ma un altro uomo oltrepassò invece la soglia e si soffermò a contemplare i nobili raccolti intorno al tavolo. Biondo e con gli occhi azzurri, il nuovo venuto somigliava molto a Glyn, ma il suo corpo era di struttura snella mentre quello del re era massiccio; con le lunghe braccia incrociate sul petto, l’uomo stava fissando i lord con gli occhi socchiusi in un’espressione di disprezzo.

— Chi è quello? — sussurrò Gweniver. — Credevo che il fratello del re fosse morto.

— Il suo vero fratello sì — replicò Gwetmar. — Quello è Dannyn, uno dei bastardi del vecchio gwerbret e il solo maschio che ci fosse fra essi. Il re lo tiene però in molta considerazione e lo ha nominato capitano della sua guardia personale… e quando lo avrai visto combattere ti dimenticherai delle sue origini: Dannyn usa la spada come un dio, non come un uomo.

Con i pollici agganciati nella cintura, Dannyn si avvicinò al tavolo e indirizzò a Gwetmar un cortese anche se distaccato cenno del capo, fissando poi lo sguardo su Gweniver. Sugli sproni della sua camicia era ricamato lo stemma di Cerrmor, una nave, ma lungo tutte le maniche era invece raffigurato il simbolo del falco in picchiata.

— E così — commentò infine, — tu sei quella sacerdotessa che pensa di essere un guerriero, vero?

— Infatti. E suppongo che tu sia un uomo che crede di poter sostenere che non ne sono all’altezza.

Dannyn le sedette accanto e si girò in modo da appoggiarsi al tavolo; quando parlò, lasciò vagare lo sguardo sulla sala invece di guardare verso di lei.

— Cosa ti fa pensare di poter maneggiare una spada? — domandò.

— Chiedi ai miei uomini. Non mi vanto mai di ciò che faccio.

— Ho già parlato con Ricyn, e lui ha avuto il fegato di dirmi che sei una berserker.

— Infatti. Hai intenzione di definirmi una bugiarda?

— Non spetta a me definirti in nessun modo. Il re mi ha ordinato di prendere te e i tuoi uomini nella sua guardia ed io faccio quello che dice lui.

— Anch’io.

— D’ora in avanti farai invece quello che dico io. Mi hai capito, ragazza?

Con uno scatto del polso, Gweniver gli scagliò in piena faccia il contenuto del proprio boccale; mentre tutti i nobili presenti sussultavano e imprecavano, lei si alzò quindi in piedi e rimase a fissare Dannyn, che sollevò lo sguardo con espressione blanda, ignorando la birra che gli scorreva lungo il volto.

— Ascoltami — scandì Gweniver, — tu sei senza dubbio un figlio d’un cane, ma io sono la figlia di un lupo. Se desideri tanto mettere alla prova le mie capacità, vieni fuori con me.

— Ma senti! Sei una smorfiosetta suscettibile, vero?

Gweniver gli assestò uno schiaffo tanto violento da spingergli la testa all’indietro.

— Nessuno mi chiama smorfiosetta.

Sulla grande sala scese un assoluto silenzio e tutti i presenti, dal più infimo paggio al nobile di rango più elevato, si girarono per guardare la scena.