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Nevyn sedeva ad un tavolo della grande sala insieme allo scriba e sua moglie, al capo stalliere e alla sua, a due sottociambellani e al mastro dell’armeria, il vedovo Ysgerryn; quella sera, notando come Nevyn stesse osservando Lady Gweniver, Ysgerryn accennò al fatto che poco prima Dannyn l’aveva accompagnata nell’armeria perché le venisse approntata una cotta di maglia.

— Per fortuna, avevo conservato una cotta che veniva usata per lo stesso Lord Dannyn quando aveva quattordici armi — proseguì Ysgerryn. — Naturalmente avrebbe potuto essere smantellata e modellata su una taglia più grande, ma era così ben fatta che ho pensato di conservarla per uno dei giovani principi, un giorno, e adesso potrà tornare utile.

— Infatti. Che ne ha pensato il lord del fatto che la dama avrebbe indossato la sua vecchia cotta?

— Stranamente ne è stato contento. Ha detto qualcosa a proposito del fatto che era una specie di presagio.

Ci scommetto proprio che lo ha detto, pensò Nevyn, dannazione a lui!

Una volta concluso il pasto, il vecchio accennò a lasciare la sala, ma si accorse che Dannyn si stava dirigendo verso il tavolo di Gweniver per sedere accanto a lei e indugiò vicino alla piattaforma per ascoltare. Dannyn le stava però rivolgendo soltanto un’innocente domanda riguardante la cotta di maglia.

— Oh, per gli dèi! — rispose Gweniver, con una risata. — Le spalle mi dolgono come il fuoco a portare questo dannato aggeggio! Deve pesare quanto due grosse pietre!

— Infatti — confermò Dannyn. — Continua però a indossarla in ogni dannato momento che riuscirai a reggerla addosso. Detesterei dover perdere un uomo dotato del tuo spirito soltanto per mancanza di addestramento.

Il giovane Lord Oldac, un ragazzo biondo e robusto che aveva un’opinione eccessivamente alta di sé, si protese in avanti sul tavolo con un sorriso da ubriaco.

— Un uomo? — commentò. — Senti, Dannyn, che è successo ai tuoi occhi?

— Vedono il tatuaggio azzurro sul suo volto. Per quanto riguarda chiunque si trovi ai miei ordini, lei è un uomo o comunque è da considerare come tale.

— Naturalmente hai ragione — convenne Oldac, asciugandosi i baffi intrisi di sidro. — Tuttavia, Gwen, è impossibile negare che tu sia una smorfiosetta abbastanza graziosa da indurre un uomo a dimenticare il tatuaggio.

Rapido e preciso come un uccello che spicchi il volo, Dannyn si alzò di scatto e si protese in avanti per afferrare Oldac per la camicia. Mentre i boccali si rovesciavano e gli altri uomini si ritraevano gridando, trascinò quindi attraverso la tavola il nobile che scalciava e strillava, e con un ultimo strattone lo fece cadere ai piedi di Gweniver.

— Chiedi scusa — ringhiò. — Nessuno definisce una smorfiosetta una dama che è anche una sacerdotessa.

In mezzo ad un letale silenzio, ogni uomo presente nella sala stava seguendo la scena. Annaspando per respirare, Oldac si sollevò in ginocchio.

— Avanti — insistette Dannyn, pungolandolo con un piede.

— Le mie umili scuse — ansò Oldac. — Non chiamerò mai più Vostra Santità in questo modo e prego la Dea di perdonarmi.

— Sei uno stolto — disse Gweniver, — ma accetto le tue scuse.

Oldac si alzò in piedi, si assestò la casacca sporca di sidro e si girò verso Dannyn.

— Possa la Dea perdonare il mio errore — disse, — ma quanto a te, bastardo…

Quando Dannyn posò la mano sull’elsa della spada, parecchi uomini si alzarono in piedi di scatto.

— Sua Signoria desidera forse sfidarmi formalmente a duello? — domandò Dannyn, con voce pacata quanto quella di una dama di compagnia.

Preso in trappola, Oldac scoccò occhiate frenetiche a destra e a sinistra, contraendo la bocca mentre cercava di scegliere fra il disonore e una morte certa. Sorridendo, Dannyn rimase in attesa, ma il quel momento il re si alzò a sua volta in piedi.

— Basta così! — gridò. — Un accidente ad entrambi per aver scatenato una lite nella mia sala! Danno, torna qui e siediti. Oldac, più tardi desidero parlare con te nei miei appartamenti.

Arrossendo per la vergogna, Oldac girò sui tacchi e lasciò a precipizio la sala mentre Dannyn tornava accanto al fratello a testa bassa, come un cane bastonato. Nell’andarsene a sua volta, Nevyn si pose alcuni interrogativi su Gerraent, come tendeva ancora a chiamarlo nei momenti di debolezza: sembrava proprio che fosse deciso a trattare Gweniver in maniera onorevole e ad ignorare la passione lungamente sepolta che stava cercando di riaffiorare.

Il ragazzo ha acquistato forza, pensò, e forse riuscirà a liberarsi in questa stessa vita.

Tuttavia, mentre formulava quel pensiero, avvertì lungo la schiena il gelido avvertimento del dweomer: era all’opera un pericolo di cui lui era all’oscuro.

Alla testa di un piccolo esercito, Gweniver fece ritorno al Tempio della Luna sul finire di un giorno di primavera, mentre il sole al tramonto riversava sulle alte mura la sua luce dorata. Lasciati gli uomini ai piedi della collina, lei e Gwetmar salirono fino alle porte, che si aprirono di una fessura fino a rivelare il volto di Lypilla.

— Sei tu, Gwen! — esclamò la sacerdotessa. — Quando abbiamo visto sopraggiungere un esercito abbiamo pensato che fossero tornati quei dannati del Cinghiale.

— Invece no. Sono venuta a prendere Maccy. Le avevo promesso un matrimonio, ed è quello che avrà.

— Splendido! Quella poveretta era così avvilita! Entra, entra, mi riscalda il cuore vederti.

Non appena Gweniver ebbe oltrepassato le porte, Macla le corse incontro e le si gettò fra le braccia; le donne che affollavano il cortile del tempio rimasero a guardare con espressione sorridente e commossa mentre Maccy scoppiava a piangere per la gioia.

— Ero così preoccupata, temevo che fossi morta — singhiozzò la ragazza.

— Invece sono qui. Adesso controllati, Maccy: ti ho portato un marito e tutto andrà per il meglio. Avrai un grande matrimonio, addirittura a corte.

Macla lanciò uno strillo di gioia e si premette le mani sulla bocca.

— Va’ a prendere le tue cose mentre io parlo con Ardda — aggiunse Gweniver. — Lord Gwetmar ti sta aspettando.

— Gwetmar? Ma è così scialbo!

— In questo caso non dovrai preoccuparti che generi dei bastardi a spese delle tue serve. Ascolta, piccola stupida, lui è il solo uomo a corte che ti ami tanto da sposarti comunque, anche senza dote, quindi comincia ad enumerare le sue qualità. Del resto, non lo vedrai in faccia quando lui spegnerà le candele.

Macla emise un drammatico gemito ma obbedì e si allontanò di corsa verso il dormitorio. Soltanto allora Gweniver notò sua madre, ferma al limitare della folla con le braccia strette intorno al corpo quasi stesse abbracciando il proprio dolore e con gli occhi colmi di lacrime. Con esitazione, Gweniver si diresse verso di lei.

— Hai procurato un buon matrimonio a tua sorella — affermò Dolyan, con voce tremante. — Sono orgogliosa di te.

— Ti ringrazio, mamma. Stai bene?

— Nei limiti in cui mi è possibile, vedendoti così. Gwen, Gwen, ti imploro, rimani qui al tempio.

— Non posso, mamma: io sono il solo onore che rimanga al clan.

— Onore? Oh, si tratta di onore, adesso? Sei come tuo padre, come i tuoi fratelli, che parlavano di onore a tal punto che ho temuto d’impazzire. Non è l’onore che ti attira tanto, ma le stragi. — D’un tratto, Dolyan scrollò il capo e le parole presero a fluirle dalle labbra come una marea irosa: — A loro non è mai importato che io li amassi… oh, questo non valeva neppure la metà del loro dannato onore: ciò che contava era andare in guerra, dissanguare il clan e portare altro dolore al regno! Gwen, come puoi farmi questo? Come puoi andare in guerra così come hanno fatto loro?