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— Devo, mamma. Tu hai sempre Maccy e presto sarai di nuovo sulle nostre terre.

— Su che cosa? — esclamò lei, sputando le parole. — Una casa bruciata e terre devastate, e tutto in nome dell’onore! Gwen, ti prego, non andare.

Con quella supplica Dolyan scoppiò in un pianto violento.

Gweniver non riuscì né a muoversi né a parlare, e le altre donne si precipitarono accanto a Dolyan, affrettandosi ad accompagnarla lontano da lì, scoccando al tempo stesso occhiate taglienti come daghe in direzione di quella figlia ingrata. Mentre oltrepassava a precipizio le porte, Gweniver udì Dolyan levare un lamento acuto e prolungato in segno di lutto.

Per lei io sono già morta, pensò. Tuttavia per quanto lo desiderasse non riuscì a piangere, perché quella era la volontà della Dea.

— Cosa c’è che non va? — domandò Gwetmar.

— Nulla. Maccy arriverà presto — replicò Gweniver, girandosi quindi a guardare verso valle, cercando di scorgere Ricyn fra gli uomini. — Per l’anima nera del Signore dell’Inferno, il mio cuore gioisce all’idea di tornare a Cerrmor.

Non riuscì a trovare Ricyn, ma il suo sguardo individuò Dannyn, che sedeva eretto e disinvolto in sella alla testa degli uomini del re. Presto sarebbe andata in guerra sotto il suo comando, e nel guardarlo pensò che la Dea non avrebbe potuto mandarle un migliore maestro nell’arte di dispensare la morte.

Anche se Nevyn aveva parecchi apprendisti nell’arte delle erbe, la più abile era una giovane donna di nome Gavra, una ragazza alta e snella con i capelli nerissimi e gli occhi nocciola. Essendo per nascita la figlia di un locandiere di Cerrmor, Gavra era abituata a lavorare sodo ed era anche decisa a migliorare la propria condizione sociale; nei due anni in cui aveva studiato con Nevyn, aveva fatto notevoli progressi nella conoscenza delle erbe e dei loro utilizzi, e di conseguenza lui le aveva permesso di aiutarlo quando di pomeriggio si prendeva cura delle malattie o delle accidentali ferite dei servitori di palazzo, troppo insignificanti per essere presi in considerazione dai medici di corte. Dannyn e Gweniver erano rientrati da appena due giorni quando la giovane apprendista riferì a Nevyn una notizia interessante.

— Oggi Lord Oldac mi ha fermata per parlarmi — osservò Gavra.

— Davvero? Ti sta ancora seccando con le sue attenzioni?

— Ecco, è stato cortese, ma credo che avesse in mente qualcosa di disonorevole. Maestro, vorresti parlargli? È dannatamente difficile insultare un nobile… ma l’ultima cosa che voglio nella vita è un suo figlio bastardo… o anche quello di un qualsiasi altro uomo.

— Allora gli parlerò. Tu sei sotto la mia protezione come se fossi mia figlia, e se sarà necessario mi rivolgerò addirittura al re.

— Ti ringrazio, ma sono stati soltanto i suoi sorrisi da ubriaco a turbarmi. Ha avuto il coraggio di insultare Lady Gweniver. Io invece credo che sia splendida e non intendo sentire discorsi del genere da parte di nessuno.

— E cosa ha detto?

— Oh, più che altro ha avanzato delle insinuazioni in merito al fatto che lei e Lord Dannyn trascorrono una quantità di tempo insieme sul campo di addestramento.

Nevyn emise un ringhio sommesso.

— Oldac ha inteso insultare più Lord Dannyn che Sua Santità — proseguì Gavra. — Infatti mi ha chiesto se non mi sembrava strano che lui fosse così ansioso di insegnare a Lady Gweniver la sua arte, ma la cosa mi ha seccata lo stesso e gli ho risposto che una serva di umile nascita come me non si poteva permettere di formulare pensieri riguardo a sua signoria, né in un senso né nell’altro. Poi me ne sono andata.

— Brava ragazza. A quanto pare dovrò parlare con Oldac per più di un motivo. Se questi insulti dovessero arrivare all’orecchio di Gweniver lui potrebbe morire piuttosto in fretta.

— La cosa non mi farebbe certo dolere il cuore.

Il pomeriggio successivo Gweniver e Dannyn vennero da loro durante le medicazioni pomeridiane; Nevyn e Gavra avevano appena finito di applicare del balsamo sulla mano graffiata di un aiuto falconiere quando i due entrarono con un tintinnare di cotte di maglia. Dannyn si teneva uno straccio insanguinato premuto contro una guancia.

— Buon erborista, ti vorresti prendere cura del capitano? — chiese Gweniver. — È troppo imbarazzato per andare da un chirurgo.

— Se potessi definire una sacerdotessa una cagna lo farei — borbottò Dannyn, attraverso lo straccio.

Gweniver si limitò a ridere; quando il capitano allontanò lo straccio, la guancia apparve escoriata, gonfia e sanguinante da due piccoli tagli.

— Stavamo usando spade smussate — spiegò Gweniver, — ma riescono comunque a produrre lividi notevoli e lui si è rifiutato di indossare un elmo durante le lezioni.

— Pura stupidità — dichiarò Dannyn. — La mia, intendo. Non avrei mai creduto che arrivasse a colpirmi.

— Davvero? — commentò Nevyn. — Mi sembra che Lady Gweniver abbia per questo genere di cose più talento di quanto entrambi avremmo supposto.

Dannyn gli indirizzò un sorriso così insolente che Nevyn si sentì tentato di lavargli la ferita con il più forte estratto di amamelide di cui disponeva; come atto di umiltà, si impose invece di usare dell’acqua tiepida, forzandosi al tempo stesso a ricordare che Dannyn non era Gerraent, che se l’anima era fondamentalmente la stessa la personalità era però diversa e che Dannyn aveva per la sua arroganza giustificazioni che Gerraent non aveva mai avuto. Tuttavia, ogni volta che il freddo sguardo del capitano si spostò in direzione di Gweniver, Nevyn si sentì furente; quando infine Dannyn se ne andò, il vecchio si concesse un sospiro per la stupidità degli uomini, che erano capaci di conservare un rancore anche dopo centotrent’anni.

Gweniver si trattenne invece ancora per un po’, osservando con curiosità le erbe e le pozioni e chiacchierando con Gavra, che per fortuna non accennò alle offese da parte di Lord Oldac. Anche se la dama sembrava ignara della loro presenza, molti membri del Popolo Fatato la seguivano in giro per la stanza, tirandole timidamente la manica quasi le chiedessero di accorgersi di loro. Per qualche motivo che Nevyn non comprendeva a fondo, i membri del Popolo Fatato erano capaci di riconoscere una persona dotata di dweomer e ne erano affascinati. Alla fine le creaturine svanirono scuotendo il capo con aria delusa, e Nevyn si chiese all’improvviso se Gweniver avesse involontariamente scoperto il proprio latente talento per il dweomer e se ne stesse servendo al servizio della Dea. Quel pensiero destò in lui un timore gelido, e qualcosa del suo stato d’animo gli dovette trasparire dal volto.

— C’è qualcosa che non va, buon erborista? — domandò infatti Gweniver.

— Oh, nulla, nulla. Mi stavo soltanto chiedendo quand’è che partirai per le campagne estive.

— Presto, subito dopo il matrimonio di Maccy. Dovremo pattugliare il confine di Eldidd e a quanto mi ha detto Dannyn è improbabile che ci capiti di dover combattere… quindi non ti preoccupare, buon signore.

Quando Gweniver sorrise Nevyn sentì la paura serrargli ancora il cuore, ma si limitò ad annuire senza aggiungere altro.

I festeggiamenti per il matrimonio si protrassero per tutta la giornata, con finti combattimenti, corse di cavalli, danze e canti dei bardi. Verso sera, i pochi che erano ancora sobri erano talmente rimpinzati di cibo da sentirsi vincere dalla sonnolenza, ma prima che Gwetmar e Maccy si ritirassero per la loro notte di nozze rimaneva ancora una formalità da espletare. Glyn convocò quindi la coppia, Gweniver e qualche testimone nella sua camera per provvedere alla firma del contratto di matrimonio. Anche se di solito il re non avrebbe avuto personalmente nulla a che vedere con quelle formalità, la trasmissione in eredità del nome di un grande clan al ramo femminile della famiglia era una questione importante. Al suo arrivo, Gweniver rimase alquanto sorpresa di scorgere Nevyn fra i testimoni, insieme a Dannyn, a Yvyr e a Saddar.