— Bene. A proposito, c’è qualche possibilità che tu passi da Lughcarn prima del sopraggiungere dell’inverno? Fa sempre piacere vedere gli amici in carne ed ossa.
— Senza dubbio, ma verrò forse la prossima primavera, perché per ora devo restare in Eldidd.
— I maestri oscuri sono ancora all’opera?
— No. Sono stato invitato ad un matrimonio.
A quel tempo, la provincia di Eldidd era una di quelle meno fittamente popolate di Deverry, e le città erano una cosa rara nelle sue zone occidentali. La più grande era Dun Gwerbyn, le cui alte mura di pietra contenevano circa cinquecento abitazioni dai tetti di paglia, un paio di locande e tre templi. Su una collina al centro dell’abitato sorgeva il dun, o fortezza, del tieryn: lassù, una seconda cinta di mura circondava le stalle, gli alloggiamenti del contingente di cento uomini che formavano l’esercito del tieryn, un assortimento di baracche che servivano da magazzini e il complesso della rocca vera e propria… una torre rotonda in pietra alta quattro piani ai cui lati erano annesse due torri più basse.
In quella particolare mattina il cortile intorno alla rocca era tutto un fermento di servitori intenti a portare le provviste in cucina, ad accumulare le scorte di legna nei camini della grande sala o a far rotolare grandi botti di birra dai magazzini alla rocca. Vicino alle porte rinforzate in ferro altri servitori s’inchinavano profondamente per accogliere gli ospiti che cominciavano a sopraggiungere per il matrimonio, e poco lontano Cullyn di Cerrmor, capitano delle truppe del tieryn, aveva riunito i suoi uomini nel cortile e li stava passando in rassegna. Per una volta, tutti si erano lavati e rasati ed apparivano presentabili.
— Benissimo, ragazzi — approvò Cullyn, — non avete un brutto aspetto, per essere un branco di mastini. Ora ricordate: oggi saranno presenti qui ogni lord e ogni dama del tierynrhyn, ed io non voglio che qualcuno di voi si ubriachi, così come non voglio che scoppino risse. Tenete a mente che questo è un matrimonio e che la sposa ha il diritto di essere felice, dopo tutto quello che ha passato.
Gli uomini annuirono solennemente all’unisono, ben consapevoli che chiunque avesse dimenticato gli ordini avrebbe avuto modo di pentirsene.
Cullyn precedette quindi il gruppo nella grande sala, un enorme ambiente rotondo che occupava tutto il piano terra della rocca. Quel giorno il pavimento era coperto da stuoie di giunchi intrecciate di fresco, gli arazzi che decoravano le pareti erano stati battuti per liberarli dalla polvere e riappesi, e la sala era affollata da una quantità di tavoli aggiuntivi, perché ciascuno dei numerosi nobili ospiti aveva portato con sé cinque uomini come scorta d’onore. I servitori passavano zigzagando fra la folla con boccali di birra e canestri pieni di pane, un bardo suonava in un angolo senza che quasi nessuno lo sentisse, i soldati giocavano a dadi e scherzavano fra loro, e vicino al camino padronale le nobili dame ciangottavano come uccellini mentre i loro consorti bevevano. Dopo aver fatto sistemare i suoi uomini, Cullyn ripeté loro l’ordine di non causare risse e si avviò verso il tavolo d’onore per inginocchiarsi accanto alla tieryn.
La Tieryn Lovyan costituiva una sorta di anomalia in Deverry, perché era più che raro che una donna governasse in proprio nome un vasto dominio. In origine, quella fortezza era appartenuta a suo fratello, ma quando lui era morto senza eredi Lovyan l’aveva ereditata in virtù di un cavillo legale escogitato apposta per mantenere unite le terre di un clan, anche a costo di farle governare da una donna. A quarantotto anni, Lovyan aveva ancora un aspetto piacevole, con i capelli nerissimi striati di bianco, i grandi occhi azzurri e l’atteggiamento eretto di chi era abituato a comandare; in quel particolare giorno, indossava un abito di seta rossa del Bardek, intorno al quale aveva avvolto il plaid rosso, bianco e marrone del clan Cwl Coc.
— Le truppe sono presenti, mia signora — riferì Cullyn.
— Splendido, capitano. Hai già visto Nevyn?
— No, mia signora.
— Sarebbe tipico da parte sua restarsene alla larga, considerato quanto detesta la folla e le cerimonie, ma se dovessi vederlo digli di venirsi a sedere qui accanto a me.
Rialzatosi, Cullyn s’inchinò e tornò a raggiungere i suoi uomini. Dal posto dove era seduto poteva vedere bene la tavola d’onore, e mentre sorseggiava un bicchiere di birra indugiò ad osservare la sposa, Lady Domilla, una donna bellissima con una massa di capelli castani ora fermati all’indietro come quelli di una ragazza nubile per la formalità del rito nuziale. Nel guardarla, Cullyn provò compassione per lei: il primo marito di Domilla, il Gwerbret Rhys, l’aveva recentemente ripudiata perché sterile, e se Lovyan non le avesse trovato un altro marito Domilla sarebbe dovuta tornare alla fortezza del fratello, per sempre coperta di vergogna. Il suo nuovo sposo, Lord Garedd, era un uomo più anziano di lei di qualche anno, con i capelli e i folti baffi biondi striati di grigio e con un aspetto abbastanza piacevole; secondo quanto affermavano i suoi soldati, Garedd era un uomo d’onore, calmo e moderato in tempo di pace e del tutto spietato in guerra. Inoltre, il nobile era vedovo ed aveva una quantità di bambini, cosa che lo rendeva più che lieto di prendere una nuova moglie giovane e bella, indipendentemente dal fatto che fosse o meno sterile.
— Garedd sembra davvero infatuato di lei, non trovi? — commentò Nevyn.
Con uno strillo di sorpresa Cullyn si voltò e vide il vecchio che lo fissava sorridendo: eretto sulla persona, con le mani piantate sui fianchi, Nevyn dimostrava ancora il vigore e la resistenza di un ragazzo anche se il suo volto era segnato e logoro quanto un vecchio sacco di cuoio.
— Non volevo spaventarti — aggiunse, con un astuto sogghigno.
— Non ti avevo visto entrare!
— Non stavi guardando dalla mia parte, ecco tutto. Garantisco che non mi sono reso invisibile, anche se ammetto di averti giocato un piccolo scherzo.
— E senza dubbio io ci sono cascato in pieno. Senti, la tieryn vuole che tu ti vada a sedere accanto a lei.
— Al tavolo d’onore? È una dannata seccatura, ed è un bene che abbia indossato una camicia pulita.
A quel commento, Cullyn scoppiò a ridere. Nevyn vestiva sempre come un contadino, con trasandati indumenti di stoffa marrone, ma quel giorno aveva indossato una camicia bianca con lo stemma di Lovyan, un leone rosso, ricamato sullo sprone, e un paio di rattoppati ma dignitosi calzoni grigi.
— Prima che tu vada, hai qualche… ecco, qualche notizia della mia Jill? — chiese Cullyn.
— Quello che vuoi dire è se di recente ho avuto modo di osservarla mediante il dweomer. Vieni con me.
I due uomini si diressero verso il secondo camino, dove un maiale intero stava arrostendo allo spiedo, e per un momento Nevyn indugiò a fissare con espressione intenta le fiamme.
— Vedo Jill e Rhodry, che sembrano di ottimo umore — disse infine. — Stanno camminando nelle strade di una città in una bella giornata di sole, diretti verso una bottega. Aspetta! Conosco quel posto: è la bottega di Otho il Gioielliere, a Dun Manannan, ma al momento lui sembra essere assente.
— Non è che puoi dirmi se lei aspetta un figlio, vero?
— Se anche è così, non si nota ancora. Posso capire la tua preoccupazione.
— È una cosa che prima o poi succederà, e spero soltanto che quando accadrà lei abbia abbastanza buon senso da tornare a casa.
— Non le è mai mancato il buon senso.
Pur dovendo dirsi d’accordo, Cullyn continuò a preoccuparsi, perché dopo tutto Jill era la sua unica figlia.
— Mi auguro che abbiano abbastanza denaro per superare l’inverno — aggiunse.
— Fra tutti e due gliene abbiamo dato a sufficienza, sempre che Rhodry non lo consumi tutto nel bere.
— Oh, Jill non gli permetterà di farlo. La mia ragazza è tirchia quanto una vecchia massaia nello spendere anche una dannata moneta di rame — replicò Cullyn, con un accenno di sorriso. — Se non altro, lei sa dannatamente bene come si percorre la lunga strada.