— Tornate al tramonto — disse infine il gioielliere. — Per allora sapremo se ho avuto successo o meno.
Rhodry trascorse il pomeriggio alla ricerca di un lavoro. Anche se l’inverno ormai troppo vicino aveva portato ad una cessazione di qualsiasi attività bellica, il giovane trovò un mercante che doveva trasportare fino a Cerrmor un carico di merci; sebbene fossero uomini disonorati, le daghe d’argento erano molto richieste come scorte per le carovane, perché appartenevano ad una banda la cui reputazione imponeva ai suoi membri un comportamento onesto. Non tutti potevano infatti diventare una daga d’argento: un guerriero che fosse abbastanza disperato da essere disposto ad accettare la daga, doveva trovare un’altra daga d’argento e restare in sua compagnia per qualche tempo per dare prova di sé, prima che gli fosse permesso di incontrare uno di quei rari fabbri che servivano la banda. Soltanto allora poteva «imboccare la lunga strada», come dicevano le daghe d’argento riferendosi alla loro esistenza.
Se Otho fosse riuscito ad attenuare l’incantesimo, Rhodry non sarebbe più stato costretto a tenere la daga nel fodero per timore di rivelare la propria particolare ascendenza. Impaziente, il giovane costrinse praticamente Jill a trangugiare la cena e ad avviarsi verso la bottega del gioielliere un po’ prima del tramonto. Al loro arrivo scoprirono che adesso la barba di Otho era molto più corta e che le sue sopracciglia erano praticamente scomparse.
— Avrei dovuto sapere che non era il caso di fare un favore ad un dannato elfo — annunciò il gioielliere.
— Accetta tutte le nostre umili scuse, Otho — replicò Jill, afferrandogli la mano e stringendola con calore. — Sono davvero felice che non ti sia ustionato in modo grave.
— Tu ne sei felice? Hah! Vieni qui, ragazzo.
Quando Rhodry prese in mano la daga, la lama mantenne il suo aspetto ordinario, senza traccia di bagliore, e nel riporla nel fodero lui sorrise con sollievo.
— Ti ringrazio di cuore, buon gioielliere — disse. — Davvero vorrei poterti meglio ricompensare per il rischio che hai corso.
— Lo vorrei anch’io, ma voi elfi siete tutti così: una quantità di belle parole ma niente monete.
— Otho, per favore — intervenne Jill. — La componente elfica di Rhodry è davvero minima.
— Hah! Questo è quello che pensi tu, giovane Jill! Hah!
Per tutto il giorno il Popolo continuò ad affluire all’alardan. A piccoli gruppi, sospingendo davanti a loro le mandrie di cavalli e i greggi di pecore, gli Elcyion Lacar conversero su un prato erboso così ad ovest di Eldidd che nessun essere umano lo aveva mai visto, e dopo aver avviato gli animali al pascolo alzarono le loro tende di cuoio, dipinte a colori vivaci con disegni di animali e di fiori. Bambini e cani presero a correre per il campo, i fuochi per la cena fiorirono un po’ dappertutto, il profumo del cibo si fece intenso nell’aria. Al tramonto, le tende erano almeno un centinaio, e quando anche l’ultimo fuoco si accese una donna intonò il canto della lunga e dolente storia di Donabel e del suo perduto amore, Adario. Un arpista cominciò ad accompagnarla, poi un suonatore di tamburo, e infine qualcuno tirò fuori un conaber… uno strumento formato da tre canne congiunte.
Devaberiel Mano d’Argento, che tutti giudicavano il migliore bardo che si potesse trovare in quella parte delle terre elfiche, prese in considerazione l’eventualità di estrarre dai bagagli la sua arpa e di unirsi agli altri, ma semplicemente aveva troppa fame. Munitosi di una ciotola di legno e di un cucchiaio, lasciò quindi la sua tenda e prese ad aggirarsi per il campo in festa. Ogni singolo gruppo… o alar, per usare il termine elfico… aveva approntato enormi quantità di un particolafe piatto, e adesso tutti stavano gironzolando da un fuoco all’altro, mangiando un po’ qui e un po’ lì ciò che più preferivano fra il protrarsi della musica, delle chiacchiere e delle risa. Devaberiel, in particolare, stava cercando Manaverr, il cui alar arrostiva per tradizione un agnello intero in una fossa scavata nel terreno.
Finalmente, il bardo trovò l’alar in questione al limitare del campo. Un paio di giovani stavano proprio in quel momento tirando fuori l’agnello dalla fossa, mentre gli altri stavano approntando il letto di foglie pulite su cui esso sarebbe stato deposto. Manaverr in persona si affrettò a venire ad accogliere il bardo; il capo dell’alar aveva i capelli così chiari da apparire quasi bianchi e le sue pupille simili a quelle di un gatto erano di un profondo color porpora. Ciascuno dei due posò la mano sinistra sulla spalla destra dell’altro in segno di saluto.
— È un grande raduno — osservò poi Manaverr.
— Tutti sapevano che tu saresti stato presente per arrostire l’agnello.
Manaverr scoppiò a ridere, scrollando il capo. In quel momento un piccolo spiritello verde apparve improvvisamente, appollaiato sulla sua spalla; quando l’elfo allungò una mano per accarezzarlo, lo spiritello sorrise, esibendo una bocca piena di denti aguzzi.
— Non hai ancora visto Calonderiel? — domandò quindi al bardo.
— Il capo guerriero? No, perché?
— Sta continuando a chiedere ad ogni bardo, che riesce a trovare informazioni su un punto oscuro della genealogia di qualcuno, e probabilmente presto o tardi finirà per interpellare anche te.
Improvvisamente lo spiritello gli tirò i capelli e svanì prima che Manaverr avesse il tempo di assestargli una pacca. Adesso l’alardan era pieno di esseri del Popolo Fatato, che correvano di qua e di là con la stessa eccitazione dei bambini: spiritelli,gnomi, silfidi e salamandre, quelli erano gli spiriti degli elementi, che a volte assumevano un aspetto solido anche se la loro vera dimora era altrove nei molti strati che componevano l’universo… Devaberiel non era del tutto certo di dove si trovasse tale dimora, perché quelle erano cose note soltanto a chi possedeva il dweomer.
Con un ultimo sforzo gli uomini riuscirono a tirare fuori l’agnello, avvolto in un rozzo panno bruciacchiato, e lo lasciarono cadere sulle foghe: il profumo della carne arrostita, fortemente speziata e farcita di frutta era così invitante che Devaberiel si avvicinò maggiormente senza neppure accorgersene… ma era destino che dovesse attendere per avere la sua porzione, perché in quel momento il capo guerriero Calonderiel, che somigliava molto a suo cugino Manaverr, sopraggiunse a grandi passi e lo chiamò.
— Qual è questa tua misteriosa domanda? — gli chiese subito il bardo.
— È soltanto una mia curiosità — replicò Calonderiel. — Sai che sono andato con Aderyn quando lui è partito per dare la caccia a Loddlaen, vero?
— Ho sentito raccontare qualcosa in proposito.
— Benissimo. In viaggio, ho incontrato un condottiero umano che si chiamava Rhodry Maelwaedd, un ragazzo di vent’anni che stranamente ha nelle vene una buona dose del nostro sangue. Mi stavo chiedendo se per caso tu sapevi in che modo esso potesse essere entrato nel suo clan.
— Una donna del Popolo dell’Ovest ha sposato Pertyc Maelwaedd nel… oh, quando è stato… ecco, circa duecento anni fa.
— Una cosa tanto remota? Ma io ho visto Rhodry maneggiare un pezzo di argento lavorato dai nani, ed esso brillava nelle sue mani.
— Davvero? Allora non si può trattare di una parentela così distante. Come si chiama suo padre?
— Tingyr Maelwaedd, e sua madre è Lovyan del clan Cwl Coc.
Per un momento, Devaberiel rimase perfettamente immobile. Quando era stato? Poteva ancora vedere nella mente il volto di lei: era una splendida ragazza nonostante gli orecchi tozzi e gli occhi rotondi, ed era così malinconica per qualche motivo. Ma quando era successo? Si era trattato di quell’estate insolitamente secca… sì, certo, il che significava che erano passati esattamente ventuno anni.