— Splendido! Il gioiello che cerco è proprio un custode del genere.
Il Vecchio si concesse una pausa per raccogliere un altro po’ di carne sanguinante.
— Questo è tutto molto interessante, piccolo Alastyr. Finora hai mantenuto la tua parte dell’accordo, forse perfino meglio di quanto tu sappia. Sono accadute cose così strane — affermò, in tono quasi sognante. — Cose molto, molto interessanti. Quando tornerai da Deverry, vedremo se ti saranno accaduti altri fatti strani. Capisci cosa intendo? Dovrai stare continuamente in guardia!
Alastyr avvertì una morsa gelida serrargli lo stomaco. Era stato avvertito, sia pure con la massima circospezione, che il Vecchio sentiva di non potersi più fidare delle proprie predizioni.
In ginocchio nella sua tenda di cuoio rosso, Devaberiel Mano d’Argento stava rovistando metodicamente in una sacca appesa alla parete e ricamata con rose e viticci. Dal momento che la sacca era piuttosto grande, gli ci volle qualche tempo per trovare quello che stava cercando; con irritazione, frugò in mezzo ai vecchi trofei vinti nelle gare di canto, spinse da un lato il primo goffo ricamo realizzato da sua figlia, due fibbie d’argento spaiate, una bottiglia di profumo del Bardek, un cavallo intagliato nel legno regalatogli da una donna che aveva amato e di cui aveva dimenticato il nome. Proprio in fondo, s’imbatté infine in un sacchettino di cuoio tanto vecchio che cominciava a creparsi.
Apertolo, si fece cadere sul palmo della mano l’anello in esso contenuto: anche se era fatto di argento dei nani ed era quindi ancora lucido come il giorno in cui lo aveva conservato, l’anello non era permeato da nessuna forma di dweomer… almeno nessuna che i saggi e gli uomini del dweomer fossero in grado di individuare. Si trattava di una fascetta d’argento larga poco meno di un centimetro su cui era inciso all’esterno un motivo di rose, mentre all’interno c’erano alcune parole in caratteri elfici appartenenti però ad una lingua ignota. Durante tutti i duecento anni in cui quell’anello era stato in suo possesso, Devaberiel non aveva ancora trovato un saggio capace di decifrare quella scritta.
Anche il modo in cui era entrato in possesso dell’anello era altrettanto misterioso. A quell’epoca, Devaberiel era un giovane che aveva appena finito il suo addestramento come bardo e stava viaggiando con l’alar di una donna che gli piaceva in maniera particolare; un pomeriggio, un viandante in sella ad uno splendido stallone dorato era giunto al campo, e quando si era avvicinato per accoglierlo insieme ad un paio di altri uomini, Devaberiel aveva ricevuto una notevole sorpresa. Anche se da lontano lo sconosciuto appariva come un comune uomo del Popolo, con i capelli scuri e gli occhi nerissimi degli originari del lontano ovest, da vicino era difficile stabilire con esattezza quale fosse il suo aspetto. Sembrava che i suoi lineamenti e la sua figura cambiassero in maniera continua anche se quasi impercettibile: la bocca era ora ampia ora sottile, e la sua statura appariva ora più alta ora più bassa. L’uomo era sceso di sella e aveva guardato il gruppetto venuto ad accoglierlo.
— Desidero parlare con Devaberiel il bardo — aveva annunciato.
— Sono io.
— Eccellente. Ho qui un dono per uno dei tuoi figli, giovane bardo, perché ne avrai più di uno. Quando ciascuno di essi nascerà, consultati con qualcuno che sia esperto nel dweomer, e così saprai a chi di essi dovrà andare il dono.
Lo sconosciuto gli aveva quindi porto il sacchettino con l’anello, e per un istante i suoi occhi erano parsi più azzurri che neri.
— Ti ringrazio, buon signore, ma chi sei?
Lo straniero si era limitato a sorridere mentre rimontava in sella, e si era allontanato senza aggiungere una sola parola.
Nel corso degli anni successivi, Devaberiel non aveva scoperto nulla di più sull’anello o sul suo misterioso donatore… né i saggi né gli esperti del dweomer avevano potuto aiutarlo. Alla nascita di ciascuno dei suoi due figli aveva obbedientemente consultato qualcuno che possedesse il dweomer, ma ogni volta i presagi erano stati contrari alla trasmissione del dono. Adesso, però, si era ritrovato di colpo con un terzo figlio. Tenendo in mano l’anello, il bardo si avvicinò alla soglia della tenda e guardò fuori: una pioggerella fredda e grigia stava cadendo sul campo e il vento era pungente. Il suo sarebbe stato un viaggio disagevole, ma era deciso a trovare la donna del dweomer che sembrava possedere la maggiore affinità con l’anello, perché sapeva che la curiosità non gli avrebbe permesso di riposare fino a quando non avesse scoperto se esso apparteneva davvero al giovane Rhodry ap Devaberiel, che si credeva ancora un Maelwaedd.
Sospinta da un vento gelido, la pioggia si abbatteva sferzante sulle grigie strade di Cerrmor, per cui Jill e Rhodry non potevano fare molto di più che starsene rintanati come volpi nella locanda presso le porte settentrionali. Dal momento che avevano soldi a sufficienza per trascorrere tutto l’inverno al caldo e senza patire la fame, Jill si sentiva felice e ricca quanto un nobile, ma Rhodry era invece scivolato in un umore nero che poteva essere descritto soltanto con l’intraducibile termine di hiraedd… un doloroso e malinconico desiderio per qualcosa d’irraggiungibile.
Il giovane se ne stava seduto per ore nella sala comune della taverna, accasciato in avanti con lo sguardo fisso sul suo boccale di birra mentre dentro di sé continuava a riflettere sul suo disonore. Nulla di ciò che Jill diceva o faceva sembrava in grado di riscuoterlo da quello stato d’animo e alla fine, sebbene le dolesse il cuore ad agire così, la ragazza si decise a lasciarlo al suo silenzio.
Se non altro di notte, quando salivano nella loro camera, poteva usare baci e carezze per rincuorarlo. Dopo che si erano amati, lui rimaneva felice per un po’ e parlava con lei tenendola stretta a sé; infine scivolava nel sonno, e spesso Jill restava sveglia a fissarlo come se fosse stato un rompicapo da risolvere. Rhodry era un uomo alto e muscoloso ma snello dalle spalle ai fianchi, con lunghe mani sensibili che tradivano il suo sangue elfico; anche se i capelli corvini e gli occhi azzurri erano tipici degli uomini di Eldidd, non c’era però nulla di tipico nel suo volto avvenente dai lineamenti così perfetti che sarebbero parsi quasi femminei se non fosse stato per le varie piccole cicatrici che lui aveva collezionato combattendo. Avendo avuto modo di incontrare qualche uomo degli Elcyion Lacar, Jill sapeva che anche loro erano altrettanto avvenenti, e spesso si poneva interrogativi su quella vena di sangue elfico che, secondo quanto Nevyn garantiva, era improvvisamente riaffiorata in Rhodry. Da un punto di vista logico, la cosa sembrava improbabile.
Una notte, poi, le sue lunghe riflessioni le portarono infine la risposta a quel problema. Di tanto in tanto, le capitava di fare sogni permeati di verità, che erano in effetti visioni scaturite dal dweomer e sottratte al controllo della sua sfera cosciente. Di solito, proprio come in questo caso, quei sogni si presentavano quando lei stava da tempo riflettendo su qualche problema.
Quella particolare notte, in cui la pioggia batteva contro le imposte e il vento ululava intorno alla taverna, lei si addormentò nelle braccia di Rhodry e sognò gli Elcyion Lacar. Nel sogno le parve di volare al di sopra delle praterie occidentali, in una giornata in cui il sole si faceva vedere soltanto a tratti fra le nubi. Molto più in basso, sotto di lei, un gruppetto di tende elfiche che splendevano come gemme colorate spiccava in mezzo al verde mare d’erba.
All’improvviso, si venne a trovare dentro al campo. Un uomo alto avvolto in un mantello rosso le passò accanto ed entrò in una tenda tinta di azzurro e di porpora. D’impulso, Jill lo segui. La tenda era elaboratamente decorata con arazzi intrecciati, sacche ricamate appese alle pareti e tappeti del Bardek stesi a coprire il terreno; seduta su un mucchio di cuscini di cuoio c’era una donna elfica con i capelli biondi raccolti in due lunghe trecce dietro gli orecchi allungati e delicatamente appuntiti come due conchiglie. Il visitatore s’inchinò congiungendo le mani in segno di rispetto, poi si liberò del mantello e sedette sul tappeto più vicino alla donna. I suoi capelli erano chiari come la luce lunare, i suoi occhi di un azzurro intenso erano tipici occhi elfici, tagliati verticalmente con la pupilla simile a quella dei gatti. Nonostante quelle stranezze, Jill pensò che nel suo modo alieno l’uomo era avvenente quanto il suo Rhodry, e aveva anche un’aria stranamente familiare.