— Se la cosa fosse realizzabile in acqua — continuò Terry, — allora i pesci che si trovassero entro il raggiò sonoro sarebbero chiusi in una specie di rete a forma di cono. Immaginiamo che il cono sonoro si restringa, che le sue pareti si avvicinino sempre di più : il pesce si pigia nella rete quasi verticale, non fatta da fili di canapa bensì da un ronzìo insopportabile. Insomma, come se il mare fosse carico di elettricità e i pesci prendessero la scossa ogni volta che tentassero di oltrepassare un dato punto… Supponiamo adesso che qualcosa in cima al cono sonoro formi una specie di coperchio. I pesci non possono superare la barriera sonora né lateralmente né dall’alto. Quindi non hanno altra scelta che calarsi negli abissi.
— Chiarissimo — disse Davis, — però voi non ci credete di sicuro.
— Non riesco a immaginare che cosa produca quel suono e crei quella specie di trappola e non ne indovino nemmeno gli scopi, perciò non posso dire di crederci — rispose Terry.
Davis disse lentamente: — Vedo che cominciamo a intenderci. Rimarremo sul posto finché potremo, finché saremo sicuri che il fenomeno non è di natura straordinaria.
— Ho fatto qualche calcolo. L’acqua era resa quasi solida dai pesci : ce n’era almeno mezzo chilo in trenta centimetri di mare. — Forse anche di più — disse Davis.
— Quando il cerchio era esteso al massimo un migliaio di metri, come abbiamo calcolato, in cima al cono c’erano almeno quattrocento tonnellate di pesce, nello spessore di un metro. L’acqua era limpida: si vedeva benissimo la massa di pesce in profondità. Occupava cinquanta metri almeno.
— È vero — concesse Davis.
— Perciò, calcolando tutto lo spessore di cinquanta metri, si arriva ad almeno ventimila tonnellate di pesce ammassate insieme. Forse di più. E adesso ditemi — continuò Terry, — perché quei pesci vengono trascinati negli abissi? Non mi chiedo chi o che cosa lo faccia, mi chiedo il perché, lo scopo di tutto questo!
— Ci ho pensato e ripensato tante volte. E sarebbe meglio che non vi rivelassi le mie conclusioni — brontolò Davis. E si allontanò bruscamente.
L’“Esperance” rimase alla vela nei pressi del cerchio luminoso che adesso non si distingueva più dal resto dell’oceano. La posizione veniva via via corretta prendendo come riferimento il debole ronzìo: il registratore era tuttora in funzione.
Un po’ prima dell’alba il ronzìo s’interruppe di colpo. E ben presto non ci fu più niente di straordinario da osservare e da sentire.
Il sole si levò tra un trionfo di colori. Non una nuvola in cielo.
Doug salì in coperta, con un fascio di fotografie in mano. Aveva già sviluppato e stampato il materiale ripreso con i flash quando l’oggetto, o la bestia misteriosa, era balzato fuori dall’acqua. Le foto erano sette. In quattro si vedeva solo l’oceano deserto ripreso al lampo dei flash. Una inquadrava una colonna d’acqua che balzava ad altezza fantastica. La sesta mostrava l’orlo di qualcosa, proprio al margine del quadro.
Terry riconobbe la settima, quella scattata da lui. La fotografia era leggermente sfuocata, ma ciò che vi si vedeva non era né uno squalo, né un polipo, e neppure una manta. Era qualcosa di irreale, qualcosa creato chissà dove da chissà chi e chissà per quale scopo.
Deirdre esaminò l’immagine stando alle spalle di Terry. Forse quello era un essere vivente… Forse no. Era una “cosa”. Una cosa che sfuggiva a qualsiasi tipo di catalogazione di categoria terrestre. Stabilire a priori se si trattasse o meno di una entità vivente sarebbe stato comunque un arbitrio ascientifico.
— Terry: avete detto che non vi piacciono i misteri — commentò Deirdre. — Vi rincresce ancora di essere venuto con noi?
4
Il mattino seguente, l’“Esperance” fece vela verso sud, in un mare inondato di sole. A bordo tutti avevano scrutato attentamente la superficie dell’oceano, per miglia e miglia attorno. Niente di insolito. Nessuno fece parola delle vicende notturne. A bordo sembravano tutti stranamente riluttanti a ricordare gli avvenimenti della notte precedente. In pieno giorno, sembrava impossibile esaminare i fatti obiettivamente. Con i gabbiani che stridevano tutto attorno e il mare scintillante sotto il sole, i ponti da lavare, la colazione da consumare e il normale lavoro di bordo, l’avventura del cerchio di mare brulicante di pesci sembrava assurda.
Parlarne seriamente era come raccontare una storia di fantasmi in pieno giorno. Impossibile crederci sotto la luce del sole.
Terry mise mano ai suoi arnesi per apportare una lieve modifica al microfono subacqueo. Si trattava di un microfono orientabile, studiato in modo da localizzare i rumori. Però lui non aveva pensato a renderlo orientabile anche verso il basso, direzione-chiave della notte scorsa. Adesso studiò una sospensione per ovviare all’inconveniente.
Questa era, evidentemente, la tacita ammissione che qualcosa d’insolito era accaduto. Poco dopo arrivò Deirdre.
— A che serve? — domandò, mentre Terry metteva a punto la sospensione.
Lui glielo spiegò. Lei continuò, un po’ esitante: — Ieri quando vi abbiamo chiesto di provare la pala solo in acque basse, siete andato su tutte le furie e avete dichiarato di voler essere sbarcato. Stiamo dirigendo su Barca, dove ci consegneranno un altro aggeggio per mio padre, del tipo di quello che io vi ho chiesto: un apparecchio per dirigere il pesce. Se volete lasciarci, là troverete l’autobus per Manila. Ma spero che abbiate cambiato idea.
— Sì — rispose Terry, — e l’ho detto a vostro padre. Ero irritato perché non rispondevate alle mie domande. Adesso mi sono posto io certi problemi, ed è vostro padre che aspetta una risposta. Cercherò di dargliela.
Deirdre tirò un sospiro di sollievo.
— Ho messo delle foto e un libro sul tavolo della cabina — disse. — Li avete trovati?
Lui annuì.
— E che cosa avete pensato?
— Che li avevate messi là perché li vedessi.
— Era perché vi rendeste conto che non potevamo rispondere a tutte le domande.
— Continuo a pensare che a qualcuna avreste potuto rispondere — osservò Terry. — Ma lasciamo perdere. Barca è un porto poco profondo?
— Da tre a cinque metri, con bassa marea — disse Deirdre. — Ci stanno fabbricando una specie di draga. Un apparecchio che scende sul fondo, preleva campioni e ritorna in superficie. A Manila aspettano una nave oceanografica, con a bordo un batiscafo. Forse con questi mezzi troveremo una risposta al nostro problema. — Poi aggiunse, a disagio: — Ho la sensazione che il batiscafo non sia un mezzo… sicuro. Lui la fissò.
— Gli “ellos”? — Sorrise mentre lei io guardava fisso. Poi domandò: — Quella draga piuttosto. Non è troppo, con una barca di queste dimensioni, pretendere di esplorare il fondo a migliaia di metri?
— È un apparecchio indipendente — spiegò lei. — Scende e riaffiora da solo. Niente cavi. Adesso cosa state facendo?
Terry aveva messo da parte il microfono sottomarino, e si occupava dell’amplificatore subacqueo non ancora collaudato.
— Voglio renderlo orientabile, in modo che proietti i suoni in un raggio a forma di ventaglio. Il raggio conico verrà in seguito. Lei non fece commenti. L’“Esperance” continuava la sua rotta.
— Non avete mai parlato con il comandante de “La Rubia”? — domandò Terry, poco dopo.
Lei scosse il capo.
— Dovreste farlo. È un bugiardo di prim’ordine. Mente automaticamente, spontaneamente. Un uomo simpaticissimo, solo che non riesce a dire una sola verità senza condirla di bugie.
— Ce ne siamo accorti — disse Deirdre. — Ma non io.