— E io stavo proprio immaginandomi a bordo di un batiscafo — ribatté Terry. — Temo che non ne sarei entusiasta.
Un batiscafo è una sfera metallica con pareti e oblò molto spessi, sospesa a un secondo pallone pieno di carburante. Viene calato a grandi profondità con l’ausilio della zavorra ed è dotato di motori elettrici che gli consentono una certa indipendenza di movimenti. Inoltre è munito di potenti riflettori elettronici che illuminano le acque intorno fino a una distanza di mille e anche mille e cinquecento metri. Per risalire viene liberato della zavorra. In tutto il mondo esistono soltanto tre apparecchi del genere.
— Non sono del tutto sicura che una simile impresa non vi attiri — commentò Deirdre.
Terry era di nuovo assorto nei suoi pensieri. Pareva fantastico pensare che i congegni di plastica trovati addosso ai pesci di profondità fossero usciti da mani u-mane. E d’altra parte ci voleva una bella fantasia per immaginare che servissero a inviare informazioni dalla superficie agli abissi oceanici. Inviare informazioni a chi? Per rispondere bisognava fare un’altra supposizione, altrettanto fantastica della prima, pensare cioè che nella Fossa di Luzon vivesse qualcuno assai curioso sugli usi e i costumi degli abitanti della superficie.
Terry mise un freno alla sua immaginazione. C’erano dei limiti che il giovane non voleva assolutamente varcare.
Deirdre scese in cambusa, e Terry rimase lì a cercare di convincersi che niente poteva essere più ridicolo delle conclusioni a cui era arrivato. Poco dopo venne servito il pranzo. Dopo cena Davis cercò, come al solito, di captare qualche programma di musica sinfonica, e Deirdre tornò a scomparire.
Più tardi, sul ponte dell’“Esperance”, Terry rimase solo con Nick il quale, sagoma indistinta nel buio, badava al timone. In qualche punto dello yacht uno degli studenti pizzicava la sua chitarra, e Terry s’immaginò Doug intenzionato a leggere le adorate poesie nonostante il baccano fatto dagli altri. Le vele sembravano nere contro il cielo, e il ponte del panfilo era ancora più buio del mare.
Nonostante continuasse a ripetersi che si trattava di pazzie, Terry non riusciva a togliersi dalla testa tutte le idee bislacche nategli nel cervello da qualche giorno. Inutilmente cercava di convincersi che se le sue ipotesi erano assurde non c’era alcun motivo per cercare prove a loro favore. Cercare delle prove, anche sperando che risultassero negative, avrebbe significato crederci almeno in parte. E lui non ci credeva perché era un essere ragionevole.
Prese in mano uno dei minuscoli apparecchi di plastica e portò il registratore vicino al parapetto, sottovento. L’apparecchio riproduceva fedelmente lo sciabordio delle onde e di tanto in tanto le voci delle creature marine. Lo yacht procedeva inclinato su un fianco, e se Terry si fosse sporto un poco avrebbe toccato l’acqua.
Finalmente si decise. Si sentiva un po’ sciocco, ma era fermamente deciso a tentare. Nei punti in cui le onde battevano contro la chiglia dello yacht apparivano lievi bagliori azzurrognoli. Quando Terry immerse la mano, l’acqua salì a lambirgli il polso e lasciò una traccia fosforescente.
Batté l’oggetto di plastica contro lo scafo. Uno, due, tre, quattro colpi. Poi sei, sette, otto. Di nuovo un colpo. Due, tre, quattro. Cinque, sei, sette, otto.
Il registratore incideva i colpi captati dal microfono subacqueo, e l’altoparlante ritrasmetteva ogni minimo suono in perfetta sincronia con i colpi.
Poi si levò, vicinissima, la voce di Deirdre.
— Non sono sicura che sia un bene — disse la ragazza.
Terry si raddrizzò con aria colpevole. — So che è una sciocchezza, ma mi vergognavo di ammettere che…
— Che battendo dei numeri con un apparecchio-spia speravate di avvertire “qualcuno” che noi avevamo trovato uno dei “suoi” apparecchi, che ne conoscevamo lo scopo, e che cercavamo di metterci in contatto con “lui” — completò per lui la ragazza.
Sentirsi ripetere da un altro le proprie ipotesi tanto ostinatamente rifiutate lo inquietò. Scosse la testa più volte con aria seccata.
— È ridicolo! — protestò. — Sono solo sciocchezze.
— Ma che potrebbero essere vere — ribatté Deirdre. — E se questa è la verità potremmo essere in pericolo. Chi ha costruito quegli apparecchi potrebbe non volere che noi si entri in contatto con lui. Non avete pensato che potrebbe essere deciso a difendere il segreto della sua esistenza eliminando chi ne viene a conoscenza? Non vi stavo spiando — aggiunse. — Ero di sotto e ho sentito i colpi.
Poi, senza aggiungere altro, Deirdre se ne andò. Terry vide oscurarsi per un istante la luce della sala di poppa mentre la ragazza scendeva. Di colpo si sentì invadere dall’orrore al pensiero che se le sue ipotesi erano giuste, lui aveva messo in pericolo la vita di Deirdre. Adesso non si sentiva più soltanto sciocco. Si sentiva anche colpevole.
Rimase a lungo in ascolto accanto al registratore, pronto a ricevere un’eventuale risposta ai suoi segnali.
Niente. Sempre e soltanto le voci del mare.
Il mattino seguente, durante la colazione, Deirdre si comportò come se nulla fosse successo e Terry si sentì peggio di prima.
Non si era ancora del tutto ripreso quando l’“Esperance” superò Cavite e Corregidor ed entrò nel golfo di Manila. All’ancora nel porto c’era una nuova unità, un battello massiccio, dall’aspetto solido, che Davis osservò con interesse.
— È il “Pelorus” — disse a Terry, mentre il loro panfilo passava accanto allo scafo per disporsi agli ormeggi. — È una nave idrografica ed ha a bordo un batiscafo. Andremo a farle visita. Dico a Nick di chiamarla per radio.
Raggiunse il giovane che armeggiava attorno all’ancora, lo sostituì in quel lavoro e lo mandò sottocoperta nella minuscola cabina radio.
— Scendete a terra? — chiese Deirdre a Terry.
— Non ho nessun motivo per sbarcare — rispose lui stringendosi nelle spalle.
La ragazza tirò un sospiro di sollievo. — Allora resterete con noi finché… finché le cose non saranno sistemate? Insomma possiamo ritenervi definitivamente uno dei nostri?
— Almeno… fino a quando non combinerò qualche nuova sciocchezza — rispose lui, disgustato di sé. — Comunque mi piacerebbe restare.
— La vostra era un’ottima idea! — protestò Deirdre. — Trasmettere una serie di numeri era veramente una trovata. La stupida sono stata io. Ero furibonda perché non mi avevate messo a parte del progetto. Se quell’idea fosse venuta a me ne sarei stata molto orgogliosa.
Nick risalì sul ponte e parlò con Davis. Subito il padre della ragazza si accostò ai due giovani.
— Il “Pelorus” manderà una lancia a prenderci appena avremo gettato l’ancora — annunciò.
— Hanno sentito parlare anche loro degli oggetti di plastica e vogliono vederli.
— Ci scommetto la testa che non crederanno né a quegli otto “cosi” né a noi — disse Terry.
— Su quella nave ci sono delle autorità riconosciute in fatto di misteri oceanici. Sanno tutto sugli oceani e sono probabilmente convinti che non ci sia niente da scoprire al di fuori di tutto ciò già scoperto da loro.
Al contrario del giovane elettrotecnico, Davis era pieno di fiducia. L’“Esperance” gettò l’ancora quasi nello stesso punto in cui era ferma quando Terry aveva messo piede a bordo per la prima volta. Mezz’ora più tardi arrivò la lancia del “Pelorus”. Deirdre andò con il padre. Terry preferì restare sul panfilo.
Un’ora dopo padre e figlia ritornarono. Davis era talmente furioso che quasi non riusciva a parlare.
— Secondo quei signori gli apparecchi di plastica sono solo uno scherzo, e il ronzìo è l’effetto di un branco di pesci in movimento! — disse, indignato, quando ebbe ripreso fiato. — Noi non siamo degli esperti e quelli dell’osservatorio di Thrawn sono solo astronomi e quindi non capiscono niente di ittiologia e di biologia. Conclusione: faremmo meglio a convincerci che non c’è possibilità di vita intelligente dove l’ossigeno è talmente scarso da essere quasi inesistente. Inoltre è assurdo che quei pesci abissali abbiano la vescica natatoria perforata per potersi adattare alle acque basse. E non parliamo poi dell’esistenza di pesci del genere in una laguna! Al massimo si sarà trattato di qualche pesce normalissimo, ma poco noto.