— Per questa volta lo si sa. E lo sapete anche voi perché ve l’ho detto io. Allora, vi impegnate a farlo sapere a un certo numero di persone?
— È una pazzia, ma lo farò, ve lo prometto — rispose Horta. La comunicazione finì, senza che Horta, un po’ focoso, potesse terminare il suo discorso a proposito di Jimenez.
Al tramonto Doug preparò le macchine fotografiche, e tenne una vera e propria lezione dal ponte dell’“Esperance”, spiegando a tutti come dovevano puntare l’obiettivo, e in che modo bisognava impugnare la macchina, e qual era la levetta da schiacciare per far girare la pellicola. Lo preoccupava il fatto di non sapere quale fosse la luminosità dell’oggetto, perché senza quel dato non gli era possibile regolare l’apertura dell’obiettivo né stabilire quali flash usare. Un’altra preoccupazione gli veniva dalla velocità del bolide da fotografare. Comunque risolse il problema mettendo il fuoco all’infinito e fissando lo scatto a un centesimo di secondo.
Arrivarono finalmente nel punto in cui il ‘“Pelorus” aveva immerso il batiscafo. Il battello non c’era più. Il suo equipaggio doveva essere rimasto sconvolto dalla distruzione del preziosissimo apparecchio di profondità il cui prezzo superava di gran lunga il costo di qualsiasi altra attrezzatura per ricerche oceanografiche. Chissà in che modo avrebbero giustificato la perdita?
Lo yacht si diresse nel punto esatto in cui al mattino si era fermata la nave-laboratorio. Deirdre servì il pranzo sul ponte. Appena calato il sole il cielo si riempì di stelle eccezionalmente scintillanti. Tony portò su la chitarra e a bordo dell’“Esperance” esplose un’allegria contagiosa, dovuta più che altro alla tensione nervosa, e in parte all’idea che i nove decimi almeno dell’umanità li avrebbero davvero considerati pazzi se avessero anche solo lontanamente sospettato quali erano i loro progetti per quella sera.
Affascinante, però, l’appuntamento con una stella cadente. Appuntamento al quale si erano recati per un atto di cortesia professionale “di matti verso altri matti” pensava Terry.
Così, a bordo dell’“Esperance” si chiacchierava, si suonava e si cantava. Qualcuno accennò persino a ballare.
Infine Nick tornò giù dalla sua radio, pronto a ricevere qualsiasi chiamata. Doug ricontrollò per l’ennesima volta le macchine fotografiche.
Dopo un certo tempo Nick si sporse dall’oblò. — Il dottor Morton continua a tempestarci di chiamate — gridò. — Il bolide ha compiuto quattro giri orbitali, e al prossimo dovrebbe penetrare nell’atmosfera. Il dottor Morton dice che la caduta avrà luogo alle ventuno, dodici minuti e diciassette secondi. Gli ho detto che siamo pronti.
La testa del giovane scomparve. — Non dimenticate — disse ansiosamente Doug. — Una volta inquadrato l’oggetto nell’obiettivo, non lo perdete di vista. E siate pronti a premere la levetta per girare la pellicola!
Terry provò a impugnare la sua macchina fotografica: pareva proprio un fucile. E di colpo non credette più a niente: le ricerche dell’“Esperance”, i fenomeni osservati, le ipotesi fatte. Era pura pazzia! Provò una forte irritazione contro se stesso per essersi impegolato in una faccenda così ridicola!
Deirdre gli si accostò, e si protese a sussurrare: — Terry, ho appena avuto un attacco di buon senso! Cosa stiamo facendo qui? Dobbiamo essere impazziti!
Il giovane le strinse una mano, e il lieve contatto gli diede una sensazione straordinaria.
— A volte essere pazzi è una cosa bellissima — mormorò lui. — Dovremo riparlarne.
— Sì… — disse la ragazza.
Poi Davis comunicò le coordinate perché le macchine fotografiche venissero puntate nella giusta direzione. Il bolide avrebbe dovuto arrivare seguendo un angolo di trecentocinquanta gradi, da nord a sud. Il punto di caduta previsto era poco oltre la posizione del panfilo, ma poteva variare leggermente da est a ovest. Morton aveva bisogno di quante più fotografie fosse possibile e nelle quali si vedessero le stelle.
A un tratto dall’aria venne un rombo continuo, e poco dopo si videro le luci di alcuni aerei. Sembravano stelle in movimento. Nick tornò di corsa sul ponte. — Gli apparecchi ci hanno chiamato — riferì. — Hanno l’ordine di osservare qualunque fenomeno insolito che si verifichi tra le ventuno e le ventiquattro, ora di Manila. Traducendo in linguaggio comune ne risulta che il governo delle Filippine li ha spediti a dare un’occhiata.
— Bene — brontolò Davis. E dopo aver guardato il cronometro aggiunse: — Adesso sono le nove e cinque.
La prua dell’“Esperance” si alzava e si abbassava seguendo i movimenti delle onde, e sotto la cupola nera spruzzata di stelle risuonava ininterrotto il rombo degli aerei che sorvolavano la zona. I minuti passarono, lentissimi. Alle nove, dodici primi, ventidue secondi, nel cielo, in direzione nord, apparve una luce, che andò aumentando d’intensità. Raggiunto il massimo splendore cominciò a diminuire. Ma dopo alcuni secondi riprese vigore.
Terry si trovò a guardare nel riquadro della macchina fotografica quasi senza rendersene conto. Scattò una fotografia e girò la pellicola, scattò ancora e ancora azionò la levetta.
La luce diventò ancora più fulgida, tanto da permettere di vedere le connessure nell’impianto del ponte dell’“Esperance”. Dopo un’altra vampata ancora più splendente la luminosità del bolide parve stabilizzarsi di nuovo. “Missile a più stadi?” pensò Terry. Infine la luce incandescente lasciò il posto a una luminosità rosso cupo. Terry puntò ancora la macchina fotografica e azionò il grilletto. La luce passò sopra lo yacht e finì nel mare, due miglia dietro l’“Esperance”. Pochi secondi dopo le onde d’urto causate dall’impatto si infransero contro le fiancate del panfilo mentre dal mare si levava una nuvola di vapore.
Poi più niente tranne il ronzìo degli aerei che sorvolavano l’oceano. Infine un rumore di tuono che rotolò lontano in direzione nord: il rombo del bolide in corsa che arrivava quando il corpo che l’aveva prodotto era sparito in mare.
A bordo dello yacht erano ammutoliti tutti. Nick fece una corsa giù in cabina e risalì poco dopo.
— Gli aerei riferiscono di aver notato il fenomeno — disse. — Domandano se devono continuare a sorvolare la zona nel caso che succeda qualcos’altro.
— Niente in programma per il momento — rispose Davis, in tono ironico.
— Avvertili che lo spettacolo è finito. Lo yacht riprese il suo viaggio e Davis scese in cabina radio per mettersi in contatto con Morton.
Terry e Deirdre cercarono un angolo tranquillo dove poter chiacchierare indisturbati. Fu un discorso molto importante il loro, ma non aveva niente a che fare né con pesci né con meteoriti né con oggetti strani di plastica. Fu comunque un colloquio soddisfacente per entrambi, almeno a giudicare dalle loro espressioni del mattino seguente quando il panfilo entrò nelle acque calme della laguna di Thrawn.
Nick fermò le macchine e l’“Esperance” accostò dolcemente al molo. Gli uomini della stazione-osservatorio erano tutti lì ad aspettarli, e il dottor Morton salì subito a bordo. Il suo umore era chiaramente pessimo.
— Un bel guaio — disse a Davis. — Ho previsto di nuovo con esattezza il punto di caduta del bolide! Ho dovuto usare un altro valore di rallentamento per far quadrare i calcoli, e adesso naturalmente mi vengono chieste spiegazioni! Come faccio a dire a Washington che conoscevo già il punto di caduta e che mi sono limitato a calcolare il tempo?
— Scendiamo a esaminare le foto, poi ne discuteremo — rispose Davis.
I due amici scomparvero sottocoperta. Terry aveva già visto le fotografie scattate la sera prima. Doug le aveva sviluppate e stampate con la massima cura variando i tempi di sviluppo e i liquidi per il fissaggio a seconda dell’esposizione dell’oggetto luminoso. In complesso c’erano una ventina di buone fotografie del bolide, da quando era comparso nel cielo fino al momento della sua caduta in mare. Doug aveva anche fatto qualche ingrandimento delle meglio riuscite. In quasi tutte il meteorite appariva un po’ confuso, effetto dovuto anche all’alone di luce che l’accompagnava. Una sola fotografia era quasi perfetta. Ed era la meno convincente di tutte. Vi si vedeva la parte anteriore di un oggetto conico rivolto con la punta in avanti. Nessuno avrebbe creduto che quello fosse un meteorite. Aveva troppo l’aria di essere stato costruito.