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Deirdre entrò nella stanza mentre il giovane che aveva portato il congegno di plastica stava dicendo: — Posso credere a parecchi avvenimenti strani, ma non che una creatura sviluppi intelligenza dove manca ossigeno. E in fondo al mare ossigeno non ce n’è. — Eppure laggiù esiste qualcosa di intelligente — ribatté Davis. — Se per vivere ha bisogno di ossigeno si può pensare che l’abbia portato con sé dal mondo dal quale proviene.

Deirdre scosse la testa. — La schiuma. L ’avete dimenticata? — disse.

I quattro uomini la guardarono.

— Ma sì! Ha ragione! — esclamò Terry. — A bordo abbiamo la fotografia di un immenso banco di schiuma sulla superficie del mare. La stessa schiuma che ha inghiottito un veliero. Ecco la spiegazione. Ciò che vive in fondo al mare ha bisogno di ossigeno libero e se lo procura ricavandolo dall’acqua. L’idrogeno che si sviluppa nel processo sale a galla e forma quei banchi di schiuma!

— Bel colpo di genio — disse il dottor Morton con finta allegria. — Davis ha appena chiesto da dove può venire una creatura che preferisce gli abissi marini alla terraferma. Ora, che cosa trova un essere vivente in fondo al mare e che non esiste in superficie? Il freddo? No. L’umido? Nemmeno. Trova due cose inesistenti sulla terra: il buio e la enorme pressione. In fondo alla Fossa di Luzon esiste una pressione pari a sette tonnellate per centimetro quadrato. La luce manca completamente. Nero. Nero totale! Quindi il problema è questo: da che parte dell’universo possono arrivare creature capaci di scendere qui con un bolide non meglio identificato e che abbisognano di tali condizioni ambientali per sopravvivere?

Terry scosse la testa. Ricordava di aver visto un volume sui pianeti del sistema solare a bordo dell’“Esperance”. Lui non l’aveva letto. Ma forse l’avevano letto gli altri.

— Da Giove? — suggerì Deirdre. — Quel pianeta ha una gravita quattro volte superiore alla terrestre, e un’atmosfera molto più densa. Sulla sua superficie la pressione dev’essere appunto di tonnellate per centimetro quadrato.

Morton annuì. — E niente luce — disse. — Niente raggi solari in un’atmosfera tanto densa. Insomma noi, poveri esseri razionali, affermiamo che i bolidi sono arrivati da Giove! Be’, devo riconoscere che per l’ultimo meteorite la supposizione potrebbe essere esatta, infatti la direzione era proprio quella del grosso pianeta. Arrivati a questo punto però bisognerebbe informare il mondo che creature provenienti da Giove calano sul nostro pianeta a bordo di astronavi simili a meteore e si stabiliscono sott’acqua a diecimila metri circa di profondità… Vorrei un po’ vedere le reazioni!

Lo scienziato si alzò di scatto e si allontanò. Il giovane dell’osservatorio si mosse, a disagio. — Io… Io vi lascio questo aggeggio e torno ad occuparmi del polipo — mormorò, e scomparve.

— Vado a mettermi in contatto con Manila — disse Davis. — Nessuna nave deve avvicinarsi alla zona dove quelle cose stanno per emergere finché non sapremo di che si tratta.

Deirdre e Terry rimasero soli. La ragazza sorrise.

— Hai da fare? — chiese.

— Se si tratta di navi spaziali non ci sarà niente da fare — rispose lui. — Ma se è qualcos’altro possiamo sempre affrontarlo. In superficie è più facile per noi dare battaglia. Mentre uno scontro sottomarino diventerebbe più problematico.

— Usciamo — propose Deirdre.

Poco dopo si fermavano in riva al mare, sulla spiaggia bianca.

Mentre chiacchieravano, apparentemente senza pensiero, l’elicottero ricomparve. Era partito per Manila carico di materiale biologico, e adesso tornava a prenderne altro. Atterrò nei pressi della stazione.

I due giovani si accostarono all’elicottero già attorniato dai biologi eccitati. Avevano scattato diverse fotografie di incalcolabile valore scientifico, ed erano entusiasti della loro giornata.

Gli uomini de “La Rubia” erano risaliti a bordo del loro peschereccio. L’“Esperance” fece una nuova puntata oltre la scogliera: gli “oggetti misteriosi” si trovavano a duemila metri dalla superficie, adesso. Terry calcolò che sarebbero affiorati verso mezzanotte.

— Molto dipende da ciò che quelle creature sanno su di noi — disse il giovane. — Dipende cioè da quello che i loro strumenti hanno rivelato. Potrei sbagliarmi, ma credo che si siano fatte delle strane idee sul nostro conto.

Durante la cena Davis annunciò, preoccupato: — Ho parlato con Manila. Il posamine che era alla fonda nel porto è salpato ieri. La portaerei si è messa in contatto con l’unità, e ci avverte che il posamine arriverà qui domani. Ho detto loro della schiuma, ma la cosa non li ha impressionati. Il polipo sì, ma la schiuma li ha lasciati del tutto indifferenti. Del resto non mi sono impegnato molto per convincerli! Il fatto è che mi risulta difficile convincere qualcuno di una cosa della quale nemmeno io sono pienamente convinto.

Poi il discorso si spostò su Giove e sui suoi probabili abitanti. — Perché parliamo esclusivamente di Giove? — intervenne a un tratto Deirdre. — Buona parte di Venere è sommersa dalle acque. Anche su quel pianeta potrebbe esistere una civiltà abissale. Alla discussione si unirono i quattro studenti, ma con prudenza, dato che questa volta si trovavano alla presenza di veri esperti. E venne la mezzanotte. Il mare aperto, al di là della scogliera, non presentava niente di insolito. La luna non era ancora comparsa.

Le due. A bordo dell’“Esperance” Davis e Terry non riuscivano a dormire per l’ansia.

Deirdre e gli studenti invece se ne andarono tranquillamente a letto.

— Ho la sensazione che quelle cose siano ormai arrivate in superficie — disse Davis, a disagio, — ma che stiano aspettando qualche condizione favorevole. Il polipo deve aver incontrato delle difficoltà ad entrare in laguna, e quelli probabilmente non vogliono correre rischi.

Terry scosse la testa. — Devono aver saputo della morte del loro polipo — osservò. — Forse adesso hanno mandato su qualche bestia adulta a fare da schermo mentre si preparano ad una resistenza assai più… resistente di quella del polipo. Potrebbero ricorrere alla schiuma, per esempio. Come sapete, un intero veliero è già stato inghiottito da un ammasso di schiuma, ed è scomparso di schianto come se fosse precipitato in un baratro apertosi improvvisamente nel mare.

— Lo so — mormorò Davis.

— Ma quelli della portaerei non mi hanno creduto quando l’ho detto.

Alle due e mezzo Davis e Terry risalirono sull’“Esperance” dopo essersi spinti sino all’estremità del molo per osservare più lontano. Da “La Rubia” venivano lievi rumori. Forse l’equipaggio stava finendo di sistemare il carico. Finalmente spuntò un quarto di luna che illuminò le acque tranquille.

Un po’ dopo le tre i Diesel del peschereccio si misero in moto e la sagoma scura del peschereccio scivolò verso l’imbocco della laguna. Terry imprecò fra i denti.

— Quell’imbecille di Saavedra! Gli avevo detto di non salpare senza avvertirci! Chissà che cosa c’è là fuori… Ma a lui preme di arrivare a Manila prima che il carico si deteriori!

Saltò sul molo e corse al fuoribordo. Davis si affrettò a seguirlo. Prima che lo raggiungesse Terry aveva già messo in moto e il padre di Deirdre fece appena in tempo a saltare dentro l’imbarcazione.

Il fuoribordo fendeva le onde lunghe della laguna lasciandosi dietro una scia luccicante.

Il rombo dei Diesel aumentò il ritmo. Probabilmente Saavedra riteneva di aver dato la meritata lezione agli “americanos” che avevano radunato tutto il pesce in quella maledetta laguna dove le reti andavano in pezzi. È vero che gli avevano dato tutto il grosso polipo molto pregiato, ma il fatto restava! Comunque da quel carico il capitano sperava di ricavare un guadagno senza precedenti. Quando vide il fuoribordo lanciato al suo inseguimento, Saavedra spinse i motori al massimo, e quando la piccola imbarcazione si affiancò al battello e Terry gli urlò di fermarsi e di tornare indietro lui sorrise soddisfatto e proseguì.