“La Rubia” arrivò all’imbocco che portava in mare aperto con il fuoribordo sempre affiancato, e Terry che gridava freneticamente. Ma il capitano Saavedra non ascoltava o forse non capiva. Le onde grosse dell’oceano sballottarono come un fuscello il piccolo scafo e Terry fu costretto a rallentare. “La Rubia” li distanziò in un attimo, diretta verso il mare aperto.
— Non ci ascoltano! — esclamò Davis angosciato. — A questo punto non resta che sperare che riescano a cavarsela!
Il fuoribordo si fermò e rimase lì, sballottato dalle onde. “La Rubia” accese le luci di posizione, e puntò verso sud. In breve il rumore dei suoi motori si perse e il battello rimpicciolì in lontananza.
Terry si voltò e vide l’“Esperance” che si avvicinava. Sul ponte si muovevano alcune sagome nere. Terry urlò un richiamo, da bordo gli risposero. Lo yacht fermò i motori mentre il piccolo scafo accostava. Poi Terry e Davis salirono a bordo e uno dei ragazzi si incaricò di assicurare il fuoribordo con una gomena.
— Non avevamo alcuna intenzione di addentrarci nella zona pericolosa — disse Terry, — ma, visto che siete venuti a prenderci, andiamo a dare un’occhiata per vedere se succede qualcosa. “La Rubia” prosegue…
Ma “La Rubia” non proseguì. Le luci colorate indicavano che il peschereccio aveva invertito la rotta. Poi tornò a virare di bordo, e il faro dell’albero maestro prese a ondeggiare. Il battello non avanzava più. Per qualche motivo il peschereccio si era fermato in mezzo all’oceano.
Nessuno sull’“Esperance” diede ordini, ma i motori cominciarono a pulsare. Lo yacht scattò in avanti. Terry mise in funzione il registratore e il potentissimo proiettore sonoro. Davis accese il riflettore. Due dei ragazzi imbracciarono i bazooka.
A un tratto dal ponte de “La Rubia” partì un razzo che si alzò nel cielo illuminando alberi e sartie. Anche a quella distanza si sentivano le urla dei marinai del peschereccio; si sentivano, nonostante il rumore delle onde e il frastuono dei motori dell’“Esperance”.
Il razzo percorse un arco e ricadde in mare. Immediatamente ne partì un secondo.
Il riflettore dell’“Esperance” spazzò il buio. Le urla continuavano. Un terzo razzo, mentre l’“Esperance” avanzava prendendo di fianco le pesanti ondate oceaniche.
Mezzo miglio. Un quarto di miglio. “La Rubia” rollava come in preda a una burrasca, e sul ponte l’equipaggio gridava disperato. Poi il peschereccio si piegò in avanti, e un mostro spaventoso, conico, luccicante, emerse a qualche metro appena dalla murata del battello. Gli enormi occhi della bestia luccicarono sotto il raggio del riflettore. Un tentacolo immenso si protese verso la poppa del peschereccio.
Un altro razzo illuminante partì dalla tolda de “La Rubia” e andò a cadere sulla pelle lucida del mostro che ebbe un sussulto. “La Rubia” venne scossa da prua a poppa come un giocattolo. Terry premette un pulsante e il proiettore sonoro entrò in azione. L’effetto fu istantaneo. Il mostro cominciò a tremare convulsamente. Era impressionante: due o tre volte più grosso di quello ucciso in laguna.
— I bazooka, presto! — urlò Terry.
I proiettili fiammeggianti partirono verso il polipo, e Davis lanciò una delle sue granate, mentre lo yacht puntava sul disgraziato peschereccio ormai a metà sommerso. La bomba a mano centrò bersaglio e nello stesso tempo le lingue di fuoco dei bazooka, capaci di penetrare l’acciaio, morsero la carne del polipo.
L’essere da incubo balzò dalle onde con il corpo dilaniato: orrore infame scaturito dagli abissi dell’oceano, spandendo intorno, ultima arma di difesa, il liquido nero di cui sono forniti tutti gli esseri di quella specie. E l’inchiostro era fosforescente.
La bestia ricadde in mare e le onde inondarono il ponte de “La Rubia” che quasi si capovolse. Il mostro lottava e si dibatteva in un parossismo di dolore.
L’“Esperance” accostò il peschereccio mentre Terry manovrava il suo strumento tenendolo puntato contro la bestia. Davis con il riflettore puntato illuminava l’agonia del mostro.
Il polipo era ferito e debole, e l’oceano non è elemento per creature deboli. Ma presto sarebbero arrivati gli altri.
E arrivarono. Qualcosa di enorme muoveva rapido verso il mostro ferito, spandendo attorno un alone fosforescente. Un sobbalzo, e un urto contro la chiglia dello yacht. Il mostro continuò la sua corsa, ma un tentacolo si protese contro ciò che aveva incontrato un istante prima. Un braccio orrendo spazzò la tolda del panfilo, abbatté un pezzo di parapetto, mandò in frantumi il bompresso che ricadde inerte dalle sartie. L’“Esperance” beccheggiò pericolosamente.
Nick fece fuoco con il bazooka, ma fallì il bersaglio. Tenendosi forte Davis tentò con una granata. Anche questa andò a vuoto. E in quel momento Deirdre urlò.
Terry si sentì gelare. Nell’eccitazione del momento non aveva pensato che la ragazza era a bordo. Ormai non c’era niente da fare.
L’ultimo urto aveva scagliato in mare Tony e adesso il giovane nuotava con disperazione per mantenersi a galla. Terry riuscì a inquadrarlo con il riflettore e Davis lanciò una cima che Tony poté afferrare. Lo issarono a bordo, poi l’“Esperance” si buttò nuovamente in soccorso de “La Rubia”. Da babordo venivano dei tonfi impressionanti. Terry diresse il raggio luminoso in quella direzione. In quel punto si svolgeva una battaglia di ciclopi. Il secondo mostro, passato sotto la chiglia dello yacht, stava lottando con il polipo ferito. Combattevano sul pelo dell’acqua in un caos di tentacoli allacciati strettamente, dilaniandosi a vicenda. I corpi mostruosi apparivano e sparivano fra le onde. Altri polipi arrivarono e si buttarono nella lotta, contendendosi il compagno morente. Intorno il mare risuonava di muggiti spaventosi.
L’“Esperance”, sballottato dal tumulto, andò a urtare contro una fiancata del peschereccio dal cui ponte i marinai, impazziti dal terrore, saltarono sulla tolda dello yacht urlando che li riportassero a terra.
— Presto! Via con i motori. A tutta forza — ordinò Terry, nell’attimo in cui anche il grosso capitano de “La Rubia” saltava sul ponte. L’“Esperance” si mosse puntando verso la riva che sembrava lontanissima, irraggiungibile.
Dal campo di battaglia si staccò un mostro, forse era quello ferito dagli uomini dello yacht, forse un altro, dilaniato dai compagni. I polipi feriti cercano istintivamente rifugio nelle caverne sottomarine. Il gigante si tuffò e subito gli altri si lanciarono al suo inseguimento.
Ma nella vicina scogliera non c’erano rifugi. Eppure la bestia doveva trovare un riparo se non voleva finire divorata. Forse l’istinto, forse la corrente subacquea, lo trascinò verso lo stretto canale dove anche l’“Esperance” doveva passare. E per il polipo fu finita. Il mostro ferito si arenò nell’acqua troppo bassa per lui e gli altri lo raggiunsero.
Dal ponte del panfilo gli uomini assistettero al peggiore degli incubi che ebbe come scenario i due promontori della scogliera. I corpi immensi, coperti di schiuma, avvinghiati strettamente, ostruivano tutto il passaggio.