Dopo un zig zag di novanta gradi la prua della portaerei si trovò sopra un abisso bianco. Le eliche emersero e la prua affondò… Se la schiuma fosse durata qualche secondo di più la portaerei sarebbe scomparsa. Ma la schiuma si spostò di lato, e la grossa unità appena sfuggita al baratro procedette con estrema cautela ed eseguendo spostamenti imprevedibili e improvvisi mentre le sue artiglierie tuonavano ininterrottamente. Poco dopo il sonar di bordo rivelò un dislivello notevole nei fianchi della montagna sottomarina, e la nave cercò scampo sopra quel fondale che misurava poco più di duemila metri. Rimase là, a fare da pista immobile per i suoi aerei che decollavano e atterravano in continuazione, sparando contro ogni bersaglio che venisse a tiro delle sue bocche da fuoco.
Per due volte alcuni tentacoli mostruosi si levarono verso l’unità da guerra nell’inutile tentativo di rovesciare la nave sotto il loro peso.
Il posamine intanto proseguiva la sua corsa irregolare lanciando le bombe di profondità. Ne vennero sganciate venti e finalmente esplose la prima.
Il colpo venne sentito anche dall’“Esperance”. Poi le esplosioni si susseguirono rapide. Due, tre, cinque… Dieci… Il posamine continuava a spargere i suoi semi mortali. Lontano emerse un grosso getto di gas e schiuma. Un’altra esplosione. Un’altra ancora…
L’“Esperance” tremò scossa dalle onde d’urto.
Davis arrivò dalla cabina radio con la notizia che la portaerei aveva inviato una squadriglia a bombardare il punto in cui era stato distrutto il batiscafo. Lì il posamine compiva i suoi zig zag e sganciava mine su mine. Le colonne di gas sì moltiplicarono. Poi anche la seconda unità cercò riparo in acque basse e accostò alla portaerei. L’“Esperance” si infilò fra le due grosse unità da guerra. Dal ponte della portaerei qualcuno gridò con un megafono: — Cos’è successo al vostro bompresso?
— Un polipo — rispose Terry.
— Voi siete arrivati giusto in tempo per sterminarli, ma noi abbiamo avuto una nottataccia con quelle bestie.
Lontano ci fu un’enorme eruzione di gas… Poi il sonar captò un rumore nuovo. Un rumore d’acqua smossa…
— Arrivano! — gridò Terry.
— Tenetevi pronti a combattere!
— Sono loro, vero, Terry? — domandò Deirdre con voce tremante. — Sono le creature scese con i bolidi…
— E devono essere alquanto malconce dopo il bombardamento — disse Terry. — Se tentano di dare battaglia dopo la lezione avuta…
Due nuovi zampilli di gas, poi altre esplosioni dal profondo.
Dagli abissi irruppe una cosa oblunga, immensa, simile a un missile. Balzò in alto, dritta contro il cielo e svettò via, veloce. Un altro di quei “missili” seguì il primo, ma questo era di forma sferica.
Nuove esplosioni in fondo all’oceano, e nuovi “missili” schizzarono dalle acque scomparendo rapidi nel cielo, verso lo spazio.
La contraerea entrò in azione, ma non riuscì a colpire le astronavi. Erano venti, forse trenta. Venti, trenta astronavi che nel giro di pochi secondi lasciarono gli abissi dell’oceano per tuffarsi negli abissi dello spazio.
Dalla zona in cui era stato distrutto il batiscafo gli aerei comunicarono che altri missili o razzi o astronavi erano spuntati dal mare per perdersi nell’aria a velocità tale da non poter essere intercettati.
L’ultimo missile era appena uscito dall’acqua, quando nell’abisso si scatenò un’esplosione di forza inaudita.
— Una bomba a orologeria — disse Terry. — Se ne sono andati appena in tempo.
Uno yacht privato, un peschereccio, una stazione-osservatorio, una portaerei e un posamine, avevano sventato l’invasione della Terra. Ma non si poteva dare la notizia al mondo, e i protagonisti dell’impresa dovettero accontentarsi di aver salvato il genere umano. Il che non è poco.
Dopo cena Terry e Deirdre sedettero sulla veranda della stazione di Thrawn. Nel buio, poco dopo, si profilò la figura di Davis.
— Deirdre… Terry! — chiamò.
— Sì — rispose Terry. Davis li raggiunse.
— Buone notizie arrivate fresche per radio — annunciò. — Il radar è riuscito a localizzare i missili. Sono divisi in due gruppi: uno punta verso il Sole, l’altro verso lo spazio più remoto. Direi che la meta sia Giove per gli uni e Venere per gli altri. Marte è da escludere. Comunque se ne sono definitivamente andati.
— Due razze diverse, dunque — mormorò Terry. — I bolidi infatti avevano caratteristiche molto diverse. Due razze in grado di compiere viaggi spaziali e finite entrambe sulla Terra.
— Già — disse il padre di Deirdre. — Due razze abituate a un ambiente di enormi pressioni, i venusiani per gli abissi del loro pianeta, e i gioviani per l’enorme massa del mondo che li ospita.
— Forse quegli esseri non intendevano affatto impiantare una base sulla Terra — riprese Terry dopo “un lungo silenzio. — Forse hanno fissato nel nostro oceano una specie di base per entrare in contatto fra loro. Può essere proprio questa la spiegazione.
— Cioè? — chiese Deirdre.
— Quando si possiedono mezzi spaziali così potenti — continuò Terry, — è assurdo combattersi. Dato che, con ogni probabilità, all’alta tecnologia delle astronavi corrisponde un’altrettanta sviluppata tecnologia degli armamenti, la cosa migliore è tentare di stabilire relazioni amichevoli… e rivolgere le proprie mire espansionistiche verso altri pianeti. Ci hanno provato, sulla nostra Terra, e gli è andata male. Adesso probabilmente si aspetteranno che anche noi costruiamo navi spaziali per iniziare relazioni interplanetarie…
— Chissà che non abbiate ragione! — commentò Davis.
Terry non rispose. Deirdre gli stava dicendo qualcosa e lui non aveva voglia di ascoltare altro.
— Ci sono ancora parecchi punti oscuri in questa faccenda, però — riprese Davis. — Come facevano a comandare quei polipi? E per quale ragione e in che modo gioviani e venusiani avevano deciso di’ scegliere proprio la Terra per incontrarsi?
Invano attese una risposta. Terry e Deirdre avevano in quel momento altre cose da dirsi, altre domande da farsi, altre risposte da darsi.
Con un sospiro Davis scese sottocoperta per vedere se gli riusciva di captare della buona musica.