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— Jimenez se ne è andato e io do in consegna a voi il negozio — disse. Horta prese chiave e documenti. Mise in moto e si avviò lungo la Calle Enero. Guidava con straordinaria prudenza per un ufficiale di polizia autorizzato a ignorare, in caso di necessità, le norme della circolazione. Poco dopo si lasciarono sulla sinistra i docks di Manila, la zona commerciale e filarono lungo le ampie strade che tagliavano i quartieri eleganti. Poco più avanti il porto, e la baia, riapparvero. L’auto oltrepassò i cancelli del club nautico più snob di Manila, ma non si fermò davanti alla sontuosa, e modernissima, palazzina; proseguì fino al molo delle imbarcazioni minori, dove c’erano due uomini in attesa. Senza una sola parola, costoro presero dalle mani di Horta le cassette, e le caricarono a bordo di un motoscafo luccicante di ottoni, ancorato al moletto.

— Sapevano che sarei arrivato — disse Terry asciutto. — Mi avreste portato qui in ogni caso?

— Pero no! — disse Horta. — Ma esistono i telefoni. Appena siamo usciti dal negozio, qualcuno se ne è servito.

Gli uomini delle cassette erano scomparsi. Terry e Horta salirono a bordo. L’imbarcazione partì con un rombo e si diresse verso il centro del porto. Alla fonda c’erano una cannoniera filippina, un posamine e una portaerei americana, poi navi cisterna, qualche vecchia carretta e una quantità di naviglio minore. A due miglia di distanza un battello sovraccarico solcava le acque oleose. Il motoscafo puntò verso un lindo schooner di venti metri ancorato a un miglio da riva, che sembrava sempre più grande e luccicante man mano che la lancia si avvicinava.

Il motoscafo passò sotto la poppa del battello, dove si leggeva il nome “Esperance”, accostò, e un uomo in camiciotto e calzoni bianchi prese la cima.

Disse allegramente: — Come va, signor Holt? — Poi salutò con un cenno Horta. — Lieto di vedervi, capitano. — Tese la mano a Terry quando balzò sul ponte. — Mi chiamo Davis. I vostri bagagli saranno sistemati immediatamente a bordo.

Spuntarono due giovanotti in blue-jeans e capelli cortissimi, che presero in consegna il mucchio di scatole e cassette preparate da Terry e Horta.

— Avete tutto quanto vi occorre? — si preoccupò Davis. — C’è qualche altro aggeggio che potrebbe farvi comodo?

— Due o tre cose mi potrebbero servire, infatti — disse Terry, asciutto.

Quel modo così disinvolto di “invitarlo” a bordo dell’“Esperance” continuava a dargli un senso di fastidio. In quella storia tutti sembravano convinti che lui avrebbe fatto ciò che loro desideravano. Come se lui non contasse. Boh! Ad ogni buon conto per ora non aveva motivo di lagnarsi; solo gli dava fastidio che lo tenessero all’oscuro su ciò che avrebbe dovuto fare e che nello stesso tempo lo spingessero così insistentemente ad accettare. Doveva pigliarsela con qualcuno, così, per sfogarsi. Decise di prendersela col capitano Horta.

— E poi — soggiunse brusco, — il capitano Horta non ha pensato di passare dal mio albergo a ritirare il bagaglio.

— Fatemi una lista di quel che vi serve — suggerì Davis. — Quanto al bagaglio sarà facile provvedere. Una lista completa, e anche se qualcosa ci resterà sul gobbo non ha importanza. Giù in cabina troverete uno scrittoio. — Si volse a Horta. — Capitano, che notizie de “La Rubia”?

— È salpata ieri — rispose Horta, in tono avvilito, — con un codazzo di pescherecci. In questo periodo la luce è favorevole. Si alza tardi, ma si alza. E molti terranno d’occhio il battello dalle coffe degli alberi. Dicono che i pescatori hanno fatto incetta di tutti i binocoli di Manila…

La sua voce svanì mentre Terry scendeva la scaletta. Sottocoperta le cabine erano eleganti, ma senza ostentazione. Poltrone, lampade, un tavolino, dei piani carichi di libri: due o tre di elettronica e uno, molto discutibile, sui mostri marini e sui serpenti di mare. Un volume di antropologia, uno di astronomia, due spessi tomi sui pesci abissali. Un piano era riservato ai romanzi, ai manuali di navigazione. C’erano anche due volumi sulla manutenzione e riparazione degli impianti radar e Diesel. Questi due volumi erano perfettamente giustificati a bordo di uno yacht. Quelli che venivano dopo erano due testi sui pianeti del sistema solare. E questi non si giustificavano: a meno che a bordo non ci fosse qualcuno col pallino dell’astronomia.

Terry sedette al tavolino e stese un elenco di parti elettroniche che sapeva con sicurezza essere introvabili a Manila. Ogni volta che gli veniva in mente con che facilità lo avevano trascinato sull’“Esperance” si sentiva ribollire, e ora provava una vera soddisfazione a richiedere certi tubi pluri-elementi che si ottenevano solo su ordinazione speciale negli Stati Uniti. Ma gli ci volle del tempo per pensarci.

Quando risalì sul ponte, mezz’ora dopo, aveva elencato in tutto sei pezzi. Il motoscafo era partito con Horta a bordo.

Davis salutò Terry con la stessa cordialità di prima.

— La barca è andata — disse Terry, — e ho qui la mia lista.

Davis non la guardò neppure. Chiamò uno dei giovanotti coi capelli corti che avevano scaricato le cassette.

— Nick Alden — disse, presentando il nuovo venuto a Terry, — uno della banda. — E al giovane: — Pensa un po’ tu a questa lista, Nick.

Il giovanotto tese la mano a Terry, che gliela strinse, come l’altro evidentemente si aspettava Poi prese la lista e scomparve per la scaletta di prua. Davis diede un’occhiata all’orologio.

— Le cinque e mezzo — disse. — È il momento di bere qualcosa, direi.

Scese di sotto e Terry ebbe modo di esaminare l’“Esperance”. A prima vista pareva nient’altro che una barca da diporto, ma si vedeva che la sua struttura era alquanto più robusta del solito: a mezza nave, stranamente, c’era un argano elettrico dotato di un cilindro di dimensioni mai viste. Accanto all’argano un grosso albero in grado di sostenere qualcosa fuoribordo. Due scialuppe capaci di reggere bene con mare grosso e varie altre attrezzature, di solito assenti su questo tipo di imbarcazioni. Insomma lo schooner non riusciva a dar l’impressione d’essere soltanto il capriccio, la “barca” di un miliardario.

Poi Terry scorse di nuovo il motoscafo spuntare tra i panfili all’ancora nella rada, preceduto da candidi baffi di spuma.

A bordo, qualcuno agitava le braccia. Terry riconobbe la ragazza, del negozio: sorrideva. Quando la lancia accostò lei guardò Terry. Sorrise. E nel suo sorriso Terry lesse un lampo di trionfo. Poi vide una catasta di pacchi sul fondo del motoscafo, e accanto ai pacchi qualcos’altro: le sue valigie e il suo baule-armadio. Non avrebbe avuto bisogno di scendere a terra a ritirare i bagagli prima di salpare con l’“Esperance”: glieli portavano. A questo punto Terry finì per convincersi che quella gente aveva deciso di fargli fare quel che volevano loro, senza neppure consultarlo. A questo punto Terry Holt si ribellò. Immediatamente. Ogni volta che cercavano di fargli fare qualcosa senza dirgli nulla e dando per scontato il suo assenso, lui si irrigidiva. Peggio ancora se si trovava in un guaio, come adesso che doveva allontanarsi da Manila per un po’ di tempo e non aveva denaro per farlo e peggio che mai se quel che volevano fargli fare gli sarebbe, come in questo caso, piaciuto e convenuto moltissimo.

Per un Terry Holt non c’è niente di più irritante che costringere un Terry Holt a fare una cosa che… gli va di fare.

Il motoscafo aggirò la poppa dello yacht. Davis salì sul ponte con due bicchieri. La ragazza gridò allegramente: — Vi ho trovato i pezzi richiesti! Tutti! E qui c’è il bagaglio.

Terry disse seccamente: — Come ha fatto ad arrivare a terra il mio elenco?

— L’ha trasmesso Nick — spiegò Davis, — col radiotelefono.