— Ma potrebbe risolversi in qualcos’altro — ribatté Terry. — E secondo me, tutto questo mistero nei miei confronti dipende dal fatto che voi e vostro padre volete che io scopra la cosa da solo, perché, se me la diceste voi, io la troverei una pazzia.
Deirdre non rispose.
Un movimento alle spalle di Terry, e Davis salì in coperta.
— C’era della magnifica musica — disse scherzosamente. — Hai perso dei suoni interessanti, Deirdre! E anche voi, Holt.
— Il signor Holt ha deciso che noi ci vergogniamo un po’ della nostra impresa e che non gliene parliamo per paura che rida di noi — disse Deirdre.
Terry protestò: — Non è vero! Non è così!
— Una quarantina di persone sono state uccise da qualcosa di inesplicabile — disse Davis, — e non sappiamo quanti altri abbiano fatto la stessa fine, o la faranno in futuro… Non mi sembra un argomento da prendere alla leggera.
Parlando, guardava in direzione di terra. Una luce brillò, si spense, riapparve e di nuovo sparì. Un minuto dopo ricomparve, svanì, brillò di nuovo due volte. Era lontanissima. — Cambiarne rotta, Deirdre — disse Davis, in tono diverso.
— Sai qual è la nuova direzione.
La prua dell’“Esperance” abbandonò la stella che la guidava e puntò su un’altra. Davis si occupò delle vele. Ora il panfilo sbandava leggermente, e lo sciabordìo dell’acqua contro lo scafo aveva un suono diverso. Il cielo sembrava più ampio e più remoto che dalla terraferma. La scia del battello si allungava luminosa e azzurrognola. Anche la luna era strana, fredda ed enorme: e a-desso aveva un aspetto incombente e minaccioso. Sembrava vicina come la si vede a un telescopio di media potenza.
L’“Esperance” era un punto solitario nell’oceano.
Con l’arrivo del sole, dell’alba seguente, la sensazione di solitudine si dissolse.
Né terra né navi in vista. Ma la terra non doveva essere lontana: i gabbiani si libravano alti, lanciando le loro grida rauche, e le onde sembravano giocare a rincorrersi sotto il sole. Poco prima era stata fissata una base metallica sul ponte, e ora un pesante albero allungabile si levava fino alle crocette. All’estremità dell’albero ruotava monotono una specie di cesto. Un normale radar. Niente di insolito nello strumento, tranne il modo in cui era stato montato. Comunque, un albero smontabile era più che giustificato a bordo di uno yacht.
Il lavoro di bordo procedeva normalmente. Doug e Jug lavavano il ponte, e gli altri due facevano brevi apparizioni sopracoperta per poi tornare a scomparire. Davis, al timone, fumava tranquillamente. Terry si sentiva un essere inutile e a disagio.
— Potrei fare qualcosa? — domandò a un certo punto.
— Dovete essere voi a decidere — disse Davis.
— Allora potrei vedere cosa si può fare per quel rivelatore subacqueo.
— Per me va benissimo — approvò Davis. Ma non gli fece premura.
Terry aspettò un momento. Sì, il bizzarro gruppetto dell’“Esperance” era in cerca di qualcosa, qualcosa di importante. Ma Terry era un estraneo fra loro, e lo sarebbe rimasto finché non avesse collaborato attivamente.
Tirò fuori i suoi arnesi e tutto il materiale che gli serviva. Inutile costruire un registratore: ce n’era uno già pronto. Il resto non avrebbe presentato gravi difficoltà. Si cercò un posto per lavorare e si mise all’opera. In linea generale era un lavoro semplice. Un rivelatore subacqueo era fatto per captare i suoni sottomarini. Bisognava modificare un microfono e sistemarlo entro un avvolgimento impermeabile. Il ricevitore avrebbe raccolto i suoni, fissandoli inoltre sul nastro magnetico e nello stesso tempo trasmettendoli per l’ascolto diretto. Dopo di ciò occorreva mettere insieme un apparecchio che ritrasmettesse i suoni registrati sott’acqua. Questo richiedeva un amplificatore subacqueo, per dare ai suoni maggiore potenza. Non è difficile produrre un suono sott’acqua: se si battono insieme due pietre, un nuotatore sente il rumore a più di un chilometro e mezzo di distanza. Però un amplificatore che deve riprodurre determinati suoni ha bisogno di molta energia; molta più energia di quanta ne occorre ad un altoparlante piazzato in strada a New York che deve comunicare qualcosa nel pieno del traffico dell’ora di punta.
Terry modificò il microfono, facendone un ricevitore sottomarino: un’“oreja de ellos”. Poi passò a costruire l’amplificatore.
Lavorava seduto a gambe incrociate, sotto il sole, sulla tolda dell’“Esperance” non lontano dall’insolito argano del battello.
Nick salì sul ponte e parlò a Davis. Terry non poteva sentire cosa si dicevano, però capiva che Davis dava degli ordini.
L’“Esperance” cambiò rotta e i quattro marinai improvvisati orientarono le vele per sfruttare al massimo il vento nella nuova direzione. Il panfilo fendeva le onde tutto inclinato su un fianco, come una imbarcazione da corsa, e Terry dovette rincorrere le sue attrezzature per impedire che si infilassero negli ombrinali. Guardò in su. Deirdre spiegò: — Il radar ha segnalato una imbarcazione, molto probabilmente “La Rubia” di ritorno a Manila. Non vogliamo che ci veda.
— E perché? — chiese Terry, stupito.
— Abbiamo intenzione di dare un’occhiata nella zona dove pensiamo che il peschereccio trovi tutto quel pesce — rispose Deirdre.
— È già abbastanza strano che peschi tanto, ma sono ancora più strani i pesci che a volte pesca.
— Cioè?
Deirdre si strinse nelle spalle. Poi riprese, cambiando discorso:
— Il capitano de “La Rubia” vorrebbe essere l’unico a possedere il radar e invece, voi ne sapete qualcosa, ce ne sono tanti altri. Perciò, quando vede un radar pensa sempre a un concorrente. Quindi preferiamo che ci ignori. Comunque, quando mio padre incominciò a interessarsi de “La Rubia” e della sua pesca riuscì a scoprire dove si dirigeva il battello quando sfuggiva al controllo degli altri pescherecci. L’informazione che lo portò a questa scoperta era del tutto ufficiosa, ben inteso.
Terry riprese il lavoro, mentre l’“Esperance” proseguiva la sua corsa. Niente terra in vista. In alto planava un albatros, tenendo d’occhio l’“Esperance” come possibile fonte di cibo. Quando Terry tornò a cercarlo, era scomparso. A un tratto ci fu un ribollire di acque, e uno stormo di pesci volanti balzò dalle onde con un battito rapido di pinne, poi si rituffò nell’oceano molti metri più in là.
Comunque, niente di notevole. Terry mise insieme i vari pezzi, li saldò, li provò.
A mezzogiorno aveva costruito un potente amplificatore. Deirdre intanto preparava il pranzo. La cambusa dell’“Esperance” era fornitissima.
Dopo pranzo lo yacht cambiò di nuovo rotta, prendendo una direzione che a un certo punto gli avrebbe fatto incrociare la rotta originale.
Terry era irritato. Aveva cominciato a lavorare con la speranza di conquistare la fiducia di Davis, eppure anche le sue domande più elementari continuavano a restare senza risposta. Davis e Deirdre avevano parlato di pesci strani a proposito de “La Rubia” e lui non capiva perché si ostinassero a non volergli spiegare di cosa si trattava. Terry si ripeteva con rabbia che in fondo lui era venuto di sua volontà sull’“Esperance” e che quindi era l’ora che gli dicessero tutto… o per lo meno tutto quello che sapevano i membri dell’equipaggio.
Nel pomeriggio, a prua, ci fu concerto di chitarra, e Doug si issò sul bompresso con un libro di poesia. Poco dopo Nick sedette accanto a Terry, guardandolo pieno d’interesse mentre metteva assieme i misteriosi elementi elettronici. Quando ebbe finito, Terry non perse tempo a contemplare la sua opera e si dedicò subito alla scatola impermeabile per il trasmettitore. Tutto l’apparato elettrico doveva venire protetto dall’acqua in modo da lasciare a contatto con il mare solo il diaframma. La cassetta a tenuta stagna risultò un po’ goffa nell’aspetto, ma funzionava e il trasmettitore emetteva rumori assordanti.