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«Chi sono? È tutto quello che desidero: parlare con qualcuno che vuole andarsene.»

«Lo stai facendo. Vogliamo andarcene tutti. Ma i soli che, per quanto ne so, stiano facendo qualcosa, sono Vejay e Niobe.»

Vejay si librava vicino al soffitto della propria stanza, appeso per un piede, e rovistava in una scatola piena di fogli. La stanza era zeppa, con tutte e sei le pareti coperte di mobili e scatole piene di carte.

«In realtà il principio è semplice,» spiegò. «È addirittura stato messo in pratica un paio di volte, nella cintura degli asteroidi. Ma non è economico.» Aveva trovato quello che cercava — un vecchio foglio di carta azzurra, ripiegato molte volte — e cominciò ad aprirlo in aria. Lilo gli si portò accanto. Appena gli fu vicina arricciò il naso. Vejay non era molto popolare; su un pianeta civile avrebbe avuto continui problemi con la legge perché si dimenticava di fare il bagno.

Spesso Vejay si dimenticava anche di mangiare, e non faceva mai esercizi. Non prendeva le pillole energetiche, tanto che era tutto pelle e ossa, con una muscolatura appena sufficiente per permettergli di muoversi in uno stato di assenza di peso. Mari aveva detto a Lilo che era abbastanza sano, purché non fosse mai sottoposto alla gravità. Vejay credeva nel lavoro in condizioni ottimali, e su Poseidone ciò voleva dire pesare trenta chili ed essere madidi di sudore.

Non avrebbe potuto esserci un contrasto maggiore fra Vejay e il terzo occupante della stanza. Niobe la Danzatrice era un esemplare fisico privo di difetti. Tutti i muscoli del suo corpo erano perfettamente disegnati e risaltavano in un alternarsi aggraziato di cavità e sporgenze sulle braccia, le gambe, la pancia e la schiena.

«È un buon propulsore spaziale,» stava dicendo Vejay. «Ma funziona soltanto con qualcosa di molto grande. Il solo buco peserebbe più di qualsiasi astronave io conosca. Il buco è dall’altra parte, esattamente all’opposto di dove siamo ora. Sei mai stata a vederlo?»

«No. Ne avevo l’intenzione, ma non credevo che fosse davvero importante. Però penso che adesso ci andrò.»

«Dovresti farlo. È piuttosto notevole, per essere sulla superficie di Poseidone. Se ne venisse messo uno sulla Luna e se qualcosa andasse storto, sprofonderebbe sotto la superficie e in breve comincerebbe a orbitare sottoterra. E dopo poco, niente più Luna.»

Lilo rabbrividì. A nessuno piacevano i buchi neri.

Sarebbe stato facile ignorarli, considerandoli una delle tante astrazioni scientifiche, se si fossero tenuti convenientemente lontani dalle faccende umane. Quando erano stati postulati per la prima volta, si era pensato che potessero essere formati solo da grandi stelle estinte. Una volta che i fuochi nucleari nel nucleo di una stella non fossero stati più in grado di sostenerne la massa, la gravità avrebbe preso il sopravvento; la stella avrebbe cominciato a ridursi. Alla fine avrebbe raggiunto dimensioni e velocità tali che la sua velocità di fuga sarebbe stata superiore a quella della luce.

Invece era stato scoperto che al momento della creazione dell’universo, durante il Grande Bang, c’erano state forze sufficientemente potenti da formare minuscoli buchi neri, alcuni più piccoli di un nucleo atomico. Di lì a poco quella teoria venne modificata. Se anche i buchi si fossero formati, sarebbero rapidamente svaniti e non avrebbero potuto mettere in difficoltà gli scienziati umani.

Questa teoria era stata ritenuta valida fino a poco dopo l’Invasione, quando nella zona delle comete, oltre l’orbita di Plutone erano stati scoperti minuscoli buchi neri quantistici. Questi misteriosi oggetti erano piccolissimi; il diametro del più grande misurava solo una frazione di millimetro. Ma la loro forza di gravità era enorme. Se si avvicinavano molto a una massa fisica, essa veniva distrutta e veniva liberata energia che poteva essere intercettata e trasmessa dalle stazioni orbitanti ai ricevitori a terra.

Duecento anni prima uno era uscito da un’orbita intorno a Plutone. Aveva scavato un foro largo dieci metri attraverso tutto il pianeta. La zona di distruzione era stata molto più ampia, per gli sconvolgimenti delle maree e dei terremoti provocati dalle rocce spinte dalla pressione a scorrere come burro fuso per riempire la galleria scavata dal buco nero.

«Come mai non succede lo stesso?» chiese Lilo.

«Potrebbe succedere,» rispose Vejay. «Ma non è un buco grosso, e Poseidone è una roccia piccola. Penetrerebbe lentamente, e con tutte le irregolarità saremmo in grado di catturarlo dall’altra parte. Guarda come funziona.»

Lilo studiò il diagramma mentre Vejay glielo spiegava. Le era sembrato uno spreco utilizzare il buco nero come generatore, e la sua opinione fu confermata dalle cifre. Il buco era in grado di produrre energia bastante ad alimentare una città; Poseidone poteva utilizzarne appena una piccola frazione, anche dopo che buona parte ne veniva liberata nel vuoto per permettere al buco di vincere la forza di gravità.

«Adesso è lì,» disse Vejay. «Sotto di sé ha un campo nullo a forma di tazza, come quello.» Indicò un emisfero sospeso sopra la superficie di Poseidone, con la parte cava rivolta verso l’alto. «Il campo protegge le apparecchiature sottostanti dal surriscaldamento e la roccia dalla fusione. Consente anche di avvicinarsi sotto per la manutenzione dei sostegni.» Indicò tre grandi cupole sul terreno.

«Il buco ha una carica elettrica ed è sorretto da quegli elettromagneti, grandi, superraffreddati.»

«E questo come ci servirebbe per fuggire?»

Vejay piegò la testa e studiò il disegno come se lo vedesse per la prima volta. Alzò gli occhi, sorpreso.

«La forma dell’emisfero del campo nullo non ti fa venire in mente niente? Non è la più efficiente — potremmo dargli quella che vorremmo una volta acquistato il controllo della situazione — ma potrebbe funzionare anche così.»

Lilo guardò di nuovo. Naturalmente, perché non l’aveva visto?

«L’effusore di un razzo.»

«Ci sei. Il buco nero è dentro quella tazza puntata verso l’alto rispetto alla superficie di Poseidone. Se ci gettiamo qualcosa, qualsiasi cosa, ma non troppo grande, la gravità del buco la comprime. E la comprime così violentemente da provocare tutte le reazioni nucleari che ti vengano in mente. Molta materia viene distrutta, e ciò vuol dire energia a cui attingere per le nostre necessità.

«Anche al tasso col quale immettiamo la materia adesso si ha una piccola spinta, poiché la tazza è aperta verso l’alto. È così piccola che è quasi impossibile misurarla, considerando che sia la massa di Poseidone sia quella del buco fanno resistenza all’accelerazione. Perciò quello che dobbiamo fare è gettare sassi nel buco, proprio come stiamo facendo. Solo che anziché servirci di granelli di polvere e misurarli con il contagocce, avremo bisogno di un nastro trasportatore. Ci vorrà una fornitura costante di combustibile.»

«Così abbiamo risolto il secondo problema. Adesso basta risolvere il primo.»

Lilo aggrottò le sopracciglia. «Forse sono un po’ lenta.»

Niobe rise. «Non ti preoccupare. Anch’io mi sentivo già in viaggio dopo aver visto questo. Vejay, tu corri troppo. È appena arrivata.»

«Scusa,» disse. «Allora, il secondo problema è dove andare una volta eliminate le Vaffa. Ognuno degli Otto Mondi ci giustizierebbe come cloni illegali. Con questo possiamo andare dovunque. Io propongo di andare molto lontano.»

«Stai parlando di un viaggio interstellare?»

«E di cosa, sennò? Questo propulsore ci farebbe raggiungere una velocità prossima a quella della luce. Probabilmente non potremmo spingerlo a più di un ventesimo di gi, ma ci arriveremmo. Per Alpha Centauri ci vorrebbero forse venti anni.»

«Ma la massa… ah, credo di capire!»

«Ci basterebbe. Useremmo la massa di Poseidone, naturalmente, come facciamo adesso.»