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Lei scalciò di nuovo, spingendolo nuovamente alla caviglia, poi continuò a scalciare, questa volta con entrambi i piedi. Quando faceva centro le sembrava che le sue costole si frantumassero sotto i colpi. Con crudeltà, mirò sempre allo stesso punto. Lui si piegò in due per il dolore e la lasciò andare. Fluttuava libero, roteando adagio adagio.

La situazione non sembrava troppo brutta, a patto che Cathay riuscisse a impadronirsi dell’astronave. Vide Vaffa che girava a circa una rivoluzione al secondo, poi vide il rimorchiatore. Se ne era allontanata di una cinquantina di metri. Era ancora possibile capire in che direzione lei si stesse muovendo.

Poi sentì Vaffa chiamare la nave.

«Cathay! Sta parlando con il pilota. Devi prenderlo prima che possa chiamare Poseidone e raccontare cosa è successo, o…» Si interruppe, rendendosi conto che se fosse stato dentro la nave, in condizioni di poter fare qualcosa, non avrebbe potuto sentirla. Se non era dentro alla nave, era comunque tutto finito.

Trascorsero tre lunghi minuti. La sola cosa che Lilo sapeva di sicuro era che non si stava avvicinando alla nave. Se ne allontanava. E non le interessava neanche in che direzione. Davanti a lei Giove diventava sempre più grande e ormai riempiva il cielo con al centro esatto il cerchio del rimorchiatore, visto di poppa. Da qualche parte, davanti a lei, c’era un buco nero.

«Ci arriverai prima tu!» gridò come una pazza. «Come ti senti, Vaffa?»

Per un po’ non ci fu risposta La voce che finalmente la raggiunse era tesa, piena di dolore.

«Perché l’hai fatto?»

«Non credo che riuscirei a spiegartelo. Ma ha quasi funzionato. Potrebbe ancora andare bene. Tengo le dita incrociate.»

Nessuna risposta. A Lilo parve di sentire un gemito. Dopo qualche secondo ne fu sicura. Ci fu un rumore indefinito che le fece rizzare i capélli anche dopo che lo ebbe identificato. Era un grido subvocalizzato, raccolto dal microfono che Vaffa aveva in gola e amplificato in un vero rantolo. Poi silenzio. Lilo cominciò a preoccuparsi. Non l’aveva colpito così forte.

«Lilo? Mi senti? Sei viva?»

«Sì, sono qui! Ce l’hai fatta!»

«Mi c’è voluto un po’ per sintonizzare la radio sulla frequenza della tuta. Maledizione, vorrei che tu fossi qui. Tutti questi pulsanti mi fanno paura.» L’avevano addestrato per ore sui modelli che Vejay aveva costruito. Avrebbe potuto scegliere una traiettoria, se fosse stato necessario; e se non ci fosse stato nessun imprevisto, sarebbe riuscito a mantenerla.

«Non importa. Ora devi sganciare il buco nero, alla svelta. Credo che Vaffa sia morto e ho paura che sia stato ucciso dal campo magnetico che ha interferito col generatore della tuta. Non conosco la fisica abbastanza da sapere cosa possa fare un campo magnetico potente, ma non sembrava piacevole. Puoi… velocemente, voglio dire? Non so quanto ci vorrà per…» Si interruppe, rendendosi conto che si stava lasciando prendere dal panico. «Un attimo. Ora lo faccio.» Lo sentì borbottare fra sé, poi un grido di trionfo. «Ecco. Segnano tutti zero. Ce l’ho fatta?»

«Lo saprò fra un momento. Adesso dobbiamo farci venire in mente qualcosa alla svelta. Nessuno dei due vuole cadere in quell’affare. Dovrai allontanare un po’ la nave. Vejay ha detto che il campo gravitazionale di un buco nero è molto debole anche solo a poca distanza, ma aumenta enormemente se ci si avvicina. Io sto bene. Ma tu devi salvare la nave per il ritorno.»

«È troppo tardi. Non ho avuto il tempo di dirtelo, ma il pilota è riuscito a parlare con Poseidone prima che lo addormentassi. Sanno che ci siamo impadroniti della nave. Ci aspettano. Non si può tornare, Lilo.» Lo sentiva singhiozzare. Oh, Dio. Vejay, Niobe e Cass che aspettavano all’esterno sperando che Lilo e Cathay tornassero con il rimorchiatore…

«Cathay, ne abbiamo parlato. Sanno cosa fare. Se verranno sospettati di qualcosa, si nasconderanno con Cass e aspetteranno. Adesso dobbiamo andarcene, per poter tornare con qualche arma efficace.»

«Hai ragione. Noi…»

Sembrò che tutto succedesse contemporaneamente. Dietro Lilo balenò un lampo. Fece per voltarsi, poi ci ripensò. Doveva essere il Vaffa che si scontrava con il buco e che veniva condensato in materia degenerata dalla terribile gravità, liberando sotto forma di radiazioni pure tutta l’energia immagazzinata negli atomi del suo corpo.

Già quello era abbastanza spiacevole; inoltre, davanti a lei, il rimorchiatore si era messo in moto. Ne usciva un sottile fascio di luce che lo spingeva nella direzione opposta, e i motori continuavano a funzionare.

Giove aveva inghiottito il cielo. Era bellissimo. Sebbene sapesse che sarebbe stato la causa della sua morte, Lilo doveva ammetterlo. E lo preferiva al buco nero, anche se la sua morte non sarebbe stata altrettanto rapida.

Da quando, due ore prima, il pilota automatico del rimorchiatore aveva effettuato la manovra prestabilita (i particolari, gli infiniti particolari; come avrebbe potuto considerarli tutti?), Lilo era stata sopraffatta da un letargo paralizzante, dalla certezza della morte. Non che non avesse lottato per opporvisi; lei e Cathay avevano considerato tutte le possibilità. Ma quando lo sfondo di stelle aveva cominciato a ruotarle intorno in una direzione che poteva essere spiegata in un solo modo, aveva capito che il suo destino era segnato. Era passata lontano dal buco, ma non abbastanza.

Anche Vaffa l’aveva mancato, ma addirittura per meno. Gli si era avvicinato quanto era bastato perché il suo corpo fosse compresso in una particella troppo piccola per essere visibile, se non per la luce emessa mentre veniva annientato. C’era stato un lampo di un secondo, e si era perduto nello spazio.

Lilo non si era avvicinata tanto. Un buco nero poteva essere pericoloso, ma non tanto per il rischio di andargli a sbattere contro. Questo era molto improbabile, poiché era così minuscolo e galleggiava in uno spazio così ampio. Ma anche mancarlo di poco poteva essere fatale. Via via che ci si avvicinava al buco, la forza del campo gravitazionale variava bruscamente. Se Lilo gli fosse passata accanto con un’orbita iperbolica stretta, le tensioni indotte dalla gravità del buco, che avrebbe attirato le diverse parti del suo corpo con forze diverse, l’avrebbe fatta a pezzi. Se si fosse avvicinata di più, come Vaffa, la gravità avrebbe potuto ridurre il suo corpo a una massa di neutronio dèlie dimensioni di uno spillo.

In un certo senso era stata fortunata, ma non abbastanza. Sarebbe rimasta sufficientemente lontana da restare viva, ma stava senz’altro orbitando lentamente intorno al buco.

Aveva discusso la situazione con calma insieme a Cathay. Lui voleva andare a soccorrerla con il piccolo razzo, ma lei gli disse cosa aveva visto allorché il rimorchiatore si era messo in moto. L’accelerazione aveva strappato il veicolo dagli ormeggi e l’aveva fatto a pezzi. Allora Cathay voleva andare a prenderla con il rimorchiatore, ma era impossibile. Neppure un pilota abilissimo avrebbe osato avvicinarsi tanto al buco.

Da un certo punto di vista Cathay stava soffrendo più di lei. Lui aveva ancora scelte da compiere, cose da fare, e nessuna era facile. Lilo glielo disse chiaramente, col distacco brutale della persona il cui destino è segnato.

«Non puoi tornare su Poseidone, almeno adesso. Ti stanno aspettando. Devi sperare che Cass e gli altri stiano bene. Devi andare su Saturno. Vai alle coordinate che ti ho detto e aspetta. Trasmetti sulla frequenza che ti ho dato. Probabilmente Parameter non si è allontanata molto dal laboratorio. Io sono lì, da qualche parte. Devi trovare me e Parameter. Ti aiuteranno. Hai il rimorchiatore. Puoi trovare delle armi, in qualche modo. Poi torna a prendere i bambini. Torna, Cathay.»

«Tornerò. Ma non voglio andarmene. Non posso lasciarti qui.»

«Devi farlo. Non voglio che tu ascolti quando… quando verrà la fine. Non lo voglio.» Sentiva di essere prossima al panico e rese la voce il più dura possibile. «Ora vai. Hai fatto tutto quello che potevi.»