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Il Parco era deserto. Sembrava che i Plutoniani non avessero bisogno di calma e di silenzio. Lilo e Vaffa rimasero sedute a guardare i passanti.

«Sembra che quest’anno i seni siano di moda,» osservò dopo un po’ Vaffa. «Quasi tutti ne hanno almeno due. Ehi, e quello cosa è?»

«Testicoli elettrici. Li avevo visti su un giornale.»

«Graziosi,» esclamò sarcasticamente Vaffa. «Sembrano lanterne.»

«Dovrebbero essere il modo più veloce per assicurare al partner che si è sterili. Senti, hai idea di dove stiamo andando? Ho bisogno di fare un altro bagno, e di un posto tranquillo.»

14

I treni gravitazionali partivano dal livello immediatamente sottostante al Centro. Lilo comprò due biglietti, infilando nervosamente la mano nella fessura del decodificatore genetico prima di riceverli. Aveva già funzionato su Marte.

La lunga mano nixoniana di Tweed arrivava a cinque miliardi di chilometri di distanza. Sentì l’ago della sonda graffiarle il palmo, la macchina ronzò e nelle banche del Computer Centrale di Plutone venne immessa l’informazione: GIOVIANA-342 (CARTA IDENTITÀ L-502-KC-98) SALITA SU LINEA FLORIDA-BARROW ORE 0349. 4/8/71.

Il lasciapassare era automatico e si accese una luce verde. Il nome Gioviana-342 non compariva su nessun elenco di persone ricercate e quello bastava. Se il computer di Plutone avesse sentito la necessità di effettuare un ulteriore controllo presso gli archivi lunari, dodici ore dopo sarebbe venuto a sapere che Gioviana-342 era un membro della Chiesa dell’Ingegneria Cosmica, un’esimia cittadina della Luna e una viaggiatrice entusiasta. Quello che non avrebbe saputo era che Gioviana-342 era emigrata dieci anni prima e che adesso era presumibilmente accoppiata sugli Anelli, isolata dal resto del mondo e impossibilitata a protestare per il furto della sua identità.

Lilo non sapeva come avesse fatto Tweed. Sapeva che le persone che lavoravano ai computer centrali erano potenzialmente al di sopra della legge e che quindi le precauzioni contro eventuali manomissioni erano severe. Però era già successo in passato e sarebbe successo ancora.

All’interno la carrozza era rivestita di elegante velluto marrone, le luci erano tenui e abbondavano le cromature. Si sprofondò in uno dei sedili e allacciò le cinture mentre Vaffa le si sedeva accanto. Porte a tenuta stagna si aprivano e si richiudevano al passaggio del convoglio che prendeva velocità. Lilo contò fino a dodici. Poi, fuori dal finestrino, apparvero le stelle. Tirò su i piedi e se li strofinò. Aveva freddo.

Era solo un fatto psicologico, ma le sembrava che i gas congelati all’esterno le si stringessero addosso. Odiava il freddo. Su quel pianeta non c’era niente di caldo, neppure di giorno.

Un uomo grosso percorse il corridoio e si piazzò sul bracciolo del sedile di Vaffa. Le fece un largo sorriso, quindi cercò di venderle una tessera per un circolo sessuale. Vaffa era seccata, ma appena cercò di allontanarlo, la mano gli passò attraverso il corpo. Era solo il primo. In breve furono circondate.

Vaffa fece un salto quando uno di loro la toccò.

«Mi scusi,» disse l’uomo. «Vedo che venite dalla Luna.»

«Sì,» rispose Lilo. «Si vede tanto?»

«Il naso,» disse. «È appuntito.» Il suo era schiacciato come quello di un cattivo pugile. Aveva ciglia lunghe mezzo metro, che lo costringevano a sbattere le palpebre al rallentatore. «E ci sono altre cose. Non vi sarete offese, spero. Pensavo solo che potrebbe interessarvi quello che vendo.»

«Sa che potrebbe essere sostituito da un’illusione,» disse Vaffa.

«Cosa vende che non possa venir propagandato da un’olografia?» chiese Lilo.

«Un generatore antiolografie,» rispose l’uomo.

Era un piccolo braccialetto con sopra inciso un numero telefonico da chiamare in caso di guasti. Venivano noleggiati, non venduti, come i terminali dei computer. C’era una vasta gamma di prezzi e di modelli. Alcuni si limitavano a tenere le olografie a un braccio di distanza. Alla maggior parte dei Plutoniani bastava. Se non si potevano vedere gli annunci pubblicitari, come si faceva a sapere cosa era alla moda?

L’uomo non si mostrò sorpreso quando Lilo e Vaffa presero il modello distruttore più potente.

Il treno arrivò a Barrow e i finestrini si appannarono. Quando scesero videro che l’esterno della vettura era rivestito di ghiaccio che si scioglieva gocciolando dentro le fogne della banchina ricoperta da un tappeto.

«Cosa sai di questo tipo?» chiese Lilo.

Vaffa stava esaminando le pareti. Sembrava non rilassarsi mai.

«Un ex insegnante. È un tipo strano. Non si è mai completamente ripreso dall’essere stato espulso dall’Associazione Educativa. Il Capo lo fa lavorare su Plutone da solo. Il suo compito non è molto importante. Non lo è stato finora, almeno.»

«Ha avuto a che fare con l’intercettazione della trasmissione?»

«Sì. L’ultimo messaggio del Capo mi ha rivelato qualcosa su questo punto. Può accadere ai dati della Linea Calda. Li manda al Capo, di modo che li riceviamo quasi contemporaneamente al consiglio di amministrazione della StarLine.»

«Perché? Voglio dire, a cosa vi sono serviti finora?»

Vaffa alzò le spalle. «Gli piace sapere le cose. Stiamo combattendo una guerra.»

Lilo doveva continuare a ricordarselo. Il Partito della Terra Libera contro gli Invasori. Ancora non era stato sparato neppure un colpo. Lilo aveva poche speranze su come sarebbe andata a finire se Tweed fosse mai riuscito a far scoppiare il conflitto.

Però era la cosà più importante della vita di Vaffa. Stava sempre in guardia nei confronti di eventuali nemici. Adesso era nervosa e Lilo credeva di sapere perché. Vaffa era andata spesso su Titano ma non si era mai allontanata molto dallo spazioporto. La Luna era il solo ambiente che conoscesse bene. Soffriva di uno shock culturale.

Lilo conosceva bene quel fenomeno. Non era vero che tutti i corridoi fossero uguali. Ci sono particolari che uno nota inconsciamente: la lampada al soffitto, la diversa disposizione dei comandi delle macchinette per l’aria, le forme insolite delle fontane, delle cabine, delle porte, delle installazioni mediche e delle serrature. Anche l’aria aveva un odore diverso. L’aria di Plutone veniva purificata solo sette volte prima di essere riutilizzata. Era impregnata di umanità.

Arrivarono a destinazione e suonarono il campanello. La porta si aprì con uno scatto e loro entrarono nel caos.

La stanza era grande, ma sembrava che sette o otto bambini la riempissero. Non smettevano mai di muoversi e di gridare. Stavano facendo una corsa e i mobili erano gli ostacoli. Lilo e Vaffa si addossarono a una parete e aspettarono. Dall’altra parte della stanza c’era un uomo che parlava con una donna incinta. Sollevò lo sguardo.

«La festa è finita!» gridò. «Tornate più tardi. Potete tenere la porta aperta?» Vaffa eseguì e l’uomo radunò i bambini. Loro ridevano e cercavano di colpirlo, ma lui aveva allungato un braccio e li faceva cadere. Sembrava che avesse un potere quasi magico su di loro. Di lì a poco erano tutti nel corridoio.

«Dovrà tornare più tardi,» stava dicendo alla donna. La prese per mano e la accompagnò alla porta. Lilo le osservò la pancia nuda. Non dovevano mancare molti giorni.

Quando se ne fu andata, l’uomo le guardò e scrollò le spalle.

«Vuole un insegnante clandestino,» disse loro. «Qualcosa è andato storto. Non ha fatto un buon contratto con l’insegnante che aveva scelto, immagino. Vengono da me in continuazione.»

«Eppure, avendo solo un’occasione, la gente dovrebbe stare più attenta,» osservò Lilo.

«Vero? Avrebbe almeno potuto farsi spiegare il contratto da qualcuno, anche se è analfabeta. Io…» La guardò sorridendo. Le tese la mano.

«Mi chiamo Cathay.»

«Lilo.» Gli prese la mano. Lui guardò Vaffa.