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Dopo due settimane non erano venuti a capo di niente. Giorno dopo giorno erano tornati ai corridoi residenziali, illuminati da luci azzurre distanti le une dalle altre, ed erano crollati sul letto.

Tweed cominciava a essere impaziente. Vaffa disse che aveva posto una scadenza: se non riuscivano a noleggiare una nave in altre due settimane, dovevano comprarne una. Così avrebbero già perso un mese e lui non era disposto a lasciar passare altro tempo senza che il suo progetto venisse attuato.

Lilo non era contenta di quella decisione. Non le importava del tempo perduto, ma pensava che se avessero comprato una nave, avrebbero sempre avuto lo stesso problema: trovare un pilota. In giro ce n’erano molti, ma Lilo era sicura che sarebbe stato difficile assumerne uno. Per lo stesso motivo per cui avevano difficoltà a noleggiare una nave. Vaffa spaventava i cercatori.

I cercatori di buchi neri erano il gruppo di individui più contorti che la razza umana avesse mai prodotto. Sotto molti aspetti erano diversi quasi quanto un essere umano accoppiato con un simb. Occorreva un carattere particolare per rinchiudersi in un’astronave monoposto per un viaggio che sarebbe durato da venti a quarant’anni. La maggior parte delle navi aveva circa cinquanta metri cubi di spazio vitale; qualcuna ne aveva meno. La destinazione poteva essere a mezzo anno luce di distanza dal sole. Chi sopravviveva tutto quel tempo a quella solitudine, tendeva a essere diverso.

«I più non hanno una gran simpatia per la gente neppure prima di partire,» osservò Cathay. «Al ritorno, sono almeno vent’anni che non vedono nessuno. Molti decidono che non hanno perso un gran che.»

Erano di nuovo a casa di Cathay, dopo un altro giorno di ricerche nei palazzi di piacere intorno allo spazioporto. Quella notte Cathay aveva seguito il suggerimento di Lilo, abbassando la temperatura dell’aria; così c’era un’atmosfera di intimità mentre erano stretti intorno al caminetto che nascondeva la la stufa elettrica. Si erano tutti spalmati una leggera crema allucinodisiaca sui genitali, poi avevano inalato una polverina che rilassava i muscoli. Si erano unti i corpi con oli lucenti: Lilo era color lavanda, Cathay perla e Vaffa cremisi. Il risultato era stato più di un’ora di carezze al rallentatore, libere e felici. Adesso erano stesi a faccia in giù, con Lilo nel mezzo.

Stava bene. Era come la calma che si raggiungeva quando si era riacquistato fiato dopo una corsa di dieci chilometri, ma senza il dolore e la fatica precedenti. Aveva voluto che Vaffa fosse di umore buono per quello che stava per proporre, e sembrava che ci fosse riuscita. Vaffa tendeva a cop meccanicamente; Lilo immaginava che quella donna non avesse mai attratto nessuno e che avesse deciso, come molti, che il sesso era sopravvalutato. Poteva darsi che quella fosse la prima volta che aveva provato piacere nel cop e che non l’aveva visto come il mezzo per raggiungere un orgasmo.

«Be’, io non li capisco,» esclamò Vaffa.

«È perché non hai mai incontrato nessuno al quale gli altri piacessero meno che a te,» disse Lilo. Sperava che lo prendesse bene, che non lo considerasse un insulto.

Vaffa non aveva mai preteso che qualcuno le piacesse. «Forse hai ragione,» disse. Sembrava quasi che stesse per sorridere, ma le sue labbra non sapevano proprio come fare. Lilo si sollevò su un gomito e guardò la figura che riluceva debolmente. Si sentiva la testa un po’ confusa, ora che l’aveva alzata; durante il giorno c’erano state troppe cose da bere, da fumare, da annusare. Sulla schiena glabra dell’altra donna vedeva danzare sottili lingue di fuoco. Lilo le seguì con la punta delle dita, premendo con forza sui muscoli che cedevano. Vaffa si inarcò sensualmente, con un gemito di soddisfazione.

«Sono molto sensibili, i cercatori di buchi neri,» disse Lilo. «Vero?»

«Sì,» borbottò Cathay. Scosse la testa per svegliarsi e dai capelli gli sprizzarono scintille.

Lilo era molto contenta. «Credo che reagiscano a te,» disse.

«In che modo?» Vaffa sollevò il capo, riuscendo ad assomigliare molto al suo boa.

«Non ne sono sicura. Ma diventano quasi telepati. Non vedono nessuno per vent’anni. Quando tornano sono dei sensitivi, molto suscettibili.»

«Molto percettivi,» intervenne Cathay. «I cercatori, con te.»

«Grazie. Ma sembra che si accòrgano di quando uno è pericoloso. E credo che tu gli dia questa sensazione.»

Vaffa rifletté, poi lasciò ricadere la testa. «Può darsi che tu abbia ragione.» Lilo usò tutt’e due le mani sul collo e sulle spalle di Vaffa.

«Penso di sì. Sei un’assassina. Lo sappiamo tutti e due, quindi non c’è bisogno di usare eufemismi.»

«Nessun bisogno.»

«Personalmente credo che tu sia anche qualcos’altro. Forse non hai mai avuto l’occasione di esprimerlo. In ogni caso, forse i cercatori non sanno che tu hai ucciso, ma avvertono la minaccia.»

«Penso che tu abbia ragione.»

«Questo ci pone il problema di come comportarci. Come facciamo a noleggiare una nave e a far risparmiare un sacco di soldi al Capo?» Lilo avrebbe potuto continuare, ma le sembrò il momento giusto per fermarsi. Sarebbe stato meglio Se l’idea fosse venuta a Vaffa.

Cathay sorrise a Lilo, poi si voltò prima che Vaffa potesse accorgersene. La stanza rimase in silenzio per mezz’ora. Finalmente Vaffa si girò su un fianco e appoggiò la testa su un braccio. Parlò con voce assonnata.

«Dovrai andare in giro da sola.»

16

Il Casinò di San Pietro era in fiamme, come l’ultima volta che Lilo c’era stata. Le fiamme si levavano dai bordi inferiori degli arazzi, crepitavano sui pannelli di quercia coperti di bolle. Nella sala, la fila di banchi era un inferno, una tempesta di fuoco che raggiungeva il soffitto. Mobilia distrutta era stata ammucchiata intorno alla Pietà e data alle fiamme; il marmo bianco era coperto di fuliggine. Lilo prese un sandwich e una bevanda dal bar sistemato sull’altare; era rimasta tutta la notte intorno al tavolo dei dadi e le facevano male i piedi. San Pietro la annoiava. Ma era quasi l’ora di chiusura. Presto sarebbe arrivato Gesù.

Tornò nella Cappella Sistina e si fece strada fino ai tavoli, mentre una delle pareti dell’edificio crollava. Il fumo che era rimasto intrappolato nella parte superiore della cappella si diradò abbastanza da permetterle di vedere il soffitto di Michelangelo, ormai rovinato dal tempo. Si erano aperte delle crepe in corrispondenza dei fori per i lampadari di cristallo che sovrastavano ogni tavolo. Al di là della parete crollata si vedeva un Vesuvio infuriato che eruttava fuoco e lava. Qualcuno aveva avuto più senso drammatico che non conoscenze geografiche, pensò Lilo.

«Venti sul quindici,» disse, sedendosi alla sinistra dell’uomo che aveva osservato tutta la notte. Ai dadi aveva perso pesantemente, ed era passato alla roulette nello sforzo disperato di avere più fortuna. La croupier, nel suo vestito bianco e nero, girò la ruota e la pallina rotolò sull’otto. Lilo osservò le sue fiches che venivano raccolte insieme a quelle dell’uomo.

«Scusa,» disse qualcuno alla sua sinistra. «Sei disponibile?» Lei lo guardò. I suoi occhi erano vitrei e l’alito aveva l’odore dolce dello zongo, un potente afrodisiaco. Era chiaro che non aveva ingerito solo .quello, e Lilo si chiese cosa vedesse mentre la guardava. Ma quando abbassò gli occhi le venne da ridere. I suoi genitali avevano subito delle modifiche radicali, in base ai dettami di qualche nuova moda.

«Vai via!» gli disse bruscamente. «A cosa mi servirebbe un affare del genere?»

«Non importa,» disse l’uomo con voce strascicata, cadendole quasi addosso. «Ho un adattatore.» Brandì una cosa rosa e tenera che sembrava respirare. Lilo lo spinse e lui barcollò fra le braccia di un buttafuori.