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«Ti darò il denaro non appena mi arriverà dalla mia banca sulla Luna. Mi chiamerai non appena sei pronto a partire.» Trattenne per un attimo il fiato, poi si buttò. Doveva andar bene. Doveva. «Ah, c’è un’altra cosa. In modo che tu possa calcolare i pesi, le masse, e tutto il resto, verranno anche mio marito e mia moglie.»

«Siete in tre?»

Non era una domanda, ma il modo per dire che non se ne faceva più niente.

«Dove sei stata?»

Vaffa aspettava da mezz’ora vicino al Parco del Centro, cercando di decidere a che punto il ritardo avrebbe significato diserzione. Adesso afferrò il polso di Lilo quasi spezzandoglielo, per tirarla dentro al parco. Presero un ascensore di vimini e salirono al livello dei trecento metri di uno dei grandi alberi. A Lilo avrebbe fatto piacere bere qualcos’altro, ma anziché entrare Vaffa la portò su un ramo. In breve furono fra le foglie e le piante rampicanti che le nascondevano alla vista.

«Non mi piace il panorama da quassù,» disse Lilo, guardando in basso.

«Hai ragione. Perché se non mi dai un’ottima giustificazione per il ritardo, fili di sotto. Ti ho detto che non avrei tollerato…»

«Basta. Basta! Se vuoi puoi buttarmi giù, non sono più disposta ad ascoltare le tue minacce. Maledizione, sto facendo del mio meglio, e voglio essere trattata come un essere umano!» Aspettò. Vaffa le lasciò lentamente la mano. Sembrò che le costasse un grande sforzo.

«Grazie. Avevamo fatto un patto. Parlo di quello che ti ho promesso venendo qui. O ti fidi di me, o non ti fidi. E se non ti fidi, a che servono i patti?»

«Non so quanto posso fidarmi di te. L’istinto mi dice poco.»

Lilo alzò le spalle. «Il tuo istinto ha ragione. Ma il momento si presenterà dopo, immagino. Comunque verrò con te alla Linea Calda, l’ho già deciso.»

«Questo significa che…»

«Aspetta, non ho ancora finito.» Lilo respirava pesantemente. Non poteva contrastare Vaffa fisicamente, dunque sarebbe stata una lotta verbale. Si sentiva un po’ esaltata; aveva risposto a Vaffa e non le era successo niente.

«Mi fai diventare pazza, lo sai? Non siamo bene assortite e tuttavia stiamo sempre insieme. Onestamente, quando ti ho fatto quella promessa non sapevo se l’avrei mantenuta. Ma adesso ne capisco il valore, se tu la rispetti con me.»

Vaffa sembrava sotto tortura. Lilo pensò che attribuisse un grande significato al rito del sangue e che si sentisse a disagio nel non fidarsi di qualcuno che vi si era sottoposto insieme a lei.

«Come faccio? Come posso fidarmi di te? Se fossi nella tua posizione credo che penserei solo a scappare.»

«E ci pensavo anch’io, all’inizio. È un pensiero che non mi lascia mai completamente. Ma posso darti due motivi per i quali non fuggirò adesso, e spero che ti convinceranno, altrimenti puoi anche buttarmi di sotto. Innanzitutto sono praticamente certa che non sei il solo agente di Tweed su Plutone. Probabilmente c’è qualcuno, forse due o tre persone, che ci segue di continuo. Anche se non c’è nessuno, Tweed conta sull’ipotesi che io pensi che ci sia. Credo che le due alternative siano ugualmente probabili, anche se forse la prima lo è un po’ di più. In ogni modo, ciò significa che se fuggo non ho più del cinquanta per cento di probabilità di farcela. Quando cercherò di scappare davvero voglio avere molte più possibilità.»

«E il secondo motivo?»

«Non so se a questo ci crederai, quindi è meglio che tu rifletta bene sul primo. Comunque, tanto per informazione, sono preoccupata. Quel messaggio della Linea Calda non mi piace. Non mi piace affatto. Credo che qualcuno dovrebbe studiarlo a fondo, e tanto vale che lo faccia io. Voglio andare ad ascoltarlo di persona.»

Vaffa abbassò per un attimo gli occhi e si passò una mano sulla testa calva. Annuì e si sedette a gambe incrociate sul ramo dell’albero.

«Va bene. Mi… dispiace. Avevo detto che mi sarei fidata di te e d’ora in poi lo farò ma alle stesse condizioni di prima, ricordalo. Se mi tradisci, ti darò la caccia e ti ucciderò.»

«Non chiedo altro.» Lilo le si mise accanto. Si stese, appoggiando la testa sulle braccia.

«Allora, com’è andata col cercatore?» chiese Vaffa.

«Niente da fare. Non ci porterà.»

«Cosa?»

«Calma. È per questo che ho fatto tardi. C’ero quasi riuscita. Stavamo già contrattando il prezzo.»

«Qual è stato il problema?»

«Tu. Oh, non tu personalmente. Tu e Cathay. Si rifiuta assolutamente di trasportare più di un passeggero. Nessuno di noi può andare da solo, per ovvi motivi, quindi non ci siamo potuti mettere d’accordo.»

«Ma perché? Ho controllato. La sua astronave potrebbe facilmente trasportarne quattro a quella distanza.»

Lilo sospirò. «Lo so. Devi cercare di capire come sono fatti questi cercatori. Le persone non gli piacciono. Per lui era già una tortura considerare la possibilità di trasportare me sola. Tre gli hanno fatto così paura che riusciva appena a parlare.»

«Credo di continuare a non capire.»

Lilo tentò di spiegarglielo di nuovo, perché non capiva neppure lei. «Mettiti al posto suo. Ha passato la maggior parte della sua vita solo su quella nave. È quasi diventata parte del suo corpo. Qui su Plutone sta lentamente impazzendo, e lo sa. Per lui dividere la sua nave con qualcuno è repellente come…» agitò le mani incerta, «…non saprei, come dividere con qualcuno lo spazzolino da denti. Scegli tu il paragone che preferisci. Non è disposto a farlo, per nessuna cifra.»

«Quindi siamo al punto di partenza.»

Lilo strinse le labbra, poi si voltò e sorrise.

«In realtà no. L’ho preso come esperto. Gli ho dato quanto basta per una sera al tavolo da gioco e gli ho rivolto la domanda che ci interessa: c’è nessuno che sia disposto a fare quello di cui abbiamo bisogno, a farlo più velocemente di quanto non ci riusciremmo da soli comprando una nave? O è impossibile? Tutti i cercatori avrebbero reagito come lui?»

«Continua. Cos’ha risposto?»

«Mi ha dato un nome. Nessuna promessa, è chiaro. Ma se c’è qualcuno disposto a farlo, questa è lei. È pazza, anche secondo il metro dei cercatori. Vado da lei fra due ore, col prossimo treno.»

«Perché non l’hai detto subito. No, non importa. Immagino che io non potrò venire.»

«No. Non c’è motivo di spaventarla subito con tre persone. È necessario procedere con astuzia.»

«Allora andrai tu, naturalmente.»

Lilo si voltò, per vedere se l’altra donna avesse voluto fare una battuta. Sarebbe stata la prima volta. Ma la faccia di Vaffa era seria come sempre.

«Come si chiama?»

«Javelin.»

17

Il singolare personaggio chiamato Javelin viveva sulla sua nave, la Cavorite, attualmente ormeggiata nello spazioporto di Plutone — quello vero, non la grande pianura sopra Florida dove atterravano i voli di linea. Era una zona ampia, ma piuttosto affollata, come mostrava il radar del piccolo scooter di Lilo. C’erano almeno mille fabbriche, stazioni energetiche, specchi e fattorie; quasi tutta l’industria pesante e gran parte dell’agricoltura di Plutone. Era contenta che a guidare ci pensasse il computer che controllava il traffico.

Lo scooter attraccò accanto alla camera stagna della Cavorite. Nell’uscire dallo scooter per entrare nell’altra nave, Lilo rimase sorpresa delle sue dimensioni. Le era sembrata strana già mentre vi si avvicinava; era quasi tutta motore e serbatoio, come ogni nave per cercatori, ma anch’essi erano più grandi del normale. Per quanto riguardava la sezione degli alloggi… era possibile che fosse d’ottone?

La sezione degli alloggi era affusolata, senza alcun motivo apparente. Si ergeva come un capezzolo dorato a un’estremità del massiccio cilindro del serbatoio. Non aveva niente dell’aspetto casuale, di elementi messi assieme a casaccio, che Lilo associava alle astronavi da spazio profondo. Sembrava un proiettile tozzo, schiacciato sul davanti e leggermente conico sul dietro. Quattro pinne massicce giravano intorno alla poppa — equidistanti una dall’altra — dove la sezione anteriore era collegata al serbatoio. Sul naso c’era molto vetro, e su un fianco si vedeva una fila di oblò rotondi.