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No. Aveva bisogno di qualche giorno per distanziarli. In quattro giorni — due, con un po’ di fortuna — sarebbe stata una persona diversa, con un curriculum di settant’anni adeguatamente registrato nelle memorie dei computer. Il Gran Capo Tweed era morto e la donna che era diventato voleva vendicarlo. Ma sarebbe costato troppo. Entro due o tre anni sarebbe tornata. Sarebbe stata qualcun altro, ma non sarebbe dovuta ripartire da zero. Il Partito per una Terra Libera sarebbe vissuto, e lei ne sarebbe stata il capo.

Il comunicatore cadde a terra e la porta dell’ascensore si aprì. La donna nuda uscì e si affrettò lungo il corridoio. Aveva molte cose da fare.

La mensa era al completo ed erano stati di poco superati i limiti di sicurezza, anche se per Lilo era difficile crederlo. La stanza non sembrava affollata.

Su Poseidone non c’erano grandi possibilità di riunirsi. I Vaffa avevano ostacolato la formazione di gruppi di più di dieci persone. C’erano ampi spazi nelle zone abbandonate, ma non avevano ancora avuto il tempo di rioccuparli. Avevano provato a riunirsi in una di quelle stanze, però non era piaciuto a nessuno, con tutte le tute in funzione. Era impossibile vedere le espressioni dei volti.

Così era stata scelta la mensa. Essa era, tuttavia, non meno sconcertante. Le persone dovevano disporsi intorno al cilindro rotante a distanze uguali le une dalle altre; inoltre dovevano sedere tutte sulla circonferenza interna, cosicché l’oratore veniva a trovarsi esattamente sopra le loro teste. Ci furono un sacco di torcicolli.

«Ma mi avevate promesso due settimane,» stava dicendo Vejay. «Ho fatto del mio meglio. Se potete darmi altri quattro giorni, anche solo tre giorni, potrei…»

«Ci rendiamo tutti conto del tuo desiderio di darci il miglior propulsore possibile, Vejay,» intervenne Cathay. «Ma ci hai appena detto che quello che hai messo a punto funzionerà, no?»

«Però posso garantirlo solo per un paio di mesi.»

«Se solo mi ascoltassi…»

«Stavo parlando io, no?»

Lilo sprofondò ancora di più nella sedia. Le riunioni l’annoiavano. Perché Cathay non gli diceva semplicemente di farla finita e fissava il momento dell’accensione? D’altronde, ammise, proprio per questo lui è un presidente migliore di lei. Se ne rendeva conto: appena era stato proposto il suo nome, lei aveva immediatamente rifiutato. E Cathay era stato abile. Finora era riuscito a fare esattamente quello che i consiglieri avevano detto che andava fatto, e si era comportato in modo da far apparire che convenisse a tutti. Se non era quella la definizione di un buon capo, Lilo non sapeva quale altra potesse essere.

Ma non si era mai aspettata che mettere d’accordo un gruppo di ottanta persone su qualcosa fosse più difficile che sconfiggere Tweed.

Il propulsore era pronto, checché dicesse Vejay. Era un cultore dei meccanismi perfetti e l’affare che aveva messo insieme sull’altra faccia di Poseidone offendeva il suo senso estetico. Ma avrebbe funzionato. Avrebbe funzionato abbastanza da metterli al riparo da qualsiasi possibile inseguimento. Ed era ciò che contava, come Cathay metteva in risalto ancora una volta.

«Tweed deve aver capito che se gli avessimo concesso un mese, poi gliene avremmo concessi due, e che anzi non avremmo mai detto niente. Non ci guadagniamo niente ad accusarlo. So che una minoranza vorrebbe farlo, ma vi ricordo che non siamo ancora al sicuro. Voi che lo odiate tanto dovreste sapere meglio di chiunque altro che se ha modo di arrivare a noi con l’inganno, lo farà solo per crudeltà. È per questa ragione che fin dall’inizio abbiamo deciso di partire entro dieci giorni. So che è stato difficile…» la frase fu accolta da un coro di consensi, «…ma ce l’abbiamo quasi fatta. Fra poche ore saremo in grado di metterci in cammino, e dopo le nostre possibilità aumenteranno notevolmente.»

Lilo si distrasse di nuovo. Continuava a esaminare il gruppo. Non aveva avuto il tempo di conoscere molti dei presenti, anche se parecchi avevano l’irritante abitudine di considerarsi suoi amici per il fatto che erano stati amici del suo clone morto. Sorrise vedendo Cass a sessanta gradi di distanza. Finora era stato uno dei pochi a non contare sulla precedente amicizia col suo clone. Sembrava disposto a ricominciare da capo. In quel caso approvava la valutazione di sua sorella.

Seduti davanti a lei, in un gruppo compatto, c’erano i Vaffa. Erano otto. Meno di quanti si era temuto, ma abbastanza da mettere tutti a disagio. Erano stati nove. La morte di uno di essi in seguito a quello che doveva essere considerato un linciaggio era stata la prima crisi alla quale la comunità si era trovata di fronte. Gli altri Vaffa, già timorosi, si erano rifugiati in una stanza e avevano giurato di combattere fino all’ultimo. C’era voluta tutta l’abilità di Cathay per farli uscire. Da parte loro avevano mantenuto i patti e non avevano sollevato un dito su nessuno. Restava da vedere come si sarebbero comportati a lungo andare. C’erano molti risentimenti di antica data che dovevano essere superati.

«Adesso ascolteremo le osservazioni della commissione ecologica,» disse Cathay. «Krista, vuoi fare il tuo rapporto?»

Krista era una delle poche persone che Lilo conoscesse bene. Era una grande lavoratrice, uno degli scienziati che Tweed aveva rapito quando non era riuscito a trovare ciò che voleva nelle prigioni. A Lilo piaceva, a parte quella tendenza a voler sapere cosa aveva fatto Lilo per finire in prigione.

«Vorrei poter offrire delle garanzie più solide,» disse Krista. «C’è scarsità di alcuni elementi che vengono perduti nei riciclatori secondari. Lilo e io stiamo lavorando a un sistema terziario per recuperare quello che abbiamo. Ma se non riusciamo a trovare qualcosa scavando fra le rocce, fra pochi anni saremo in difficoltà.»

«Ma quali sono le prospettive per il nuovo sistema?» chiese Cathay.

«Ecco, non vorrei sbilanciarmi troppo, ma…»

«Possiamo farcela!» gridò Lilo. «Dobbiamo farcela, quindi ce la faremo. Mettiti a sedere, Krista!»

Gli altri rapporti riferirono più o meno le stesse cose. C’erano diverse zone in cui i danni non erano stati completamente riparati e i lavori erano in corso. Tutti volevano più tempo, ma finalmente fu raggiunto l’accordo: non c’era nulla che impedisse di partire rapidamente.

Cathay li ascoltò tutti fino in fondo, poi batté il suo martelletto sul tavolo.

«Siete stati voi a eleggermi. Mi avete dato il potere di decidere quando iniziare il viaggio. Ora eserciterò questo potere. Partiremo fra diciotto ore.»

20

Come posso riassumere un viaggio che durò dieci anni? Dire che fu noioso e che successero poche cose, sarebbe a un tempo un’affermazione terrìbilmente inadeguata e una falsità.

Sono sicura che Javelin cominciò a pentirsi già nel corso del primo mese. Ci aveva portati come un diversivo, per rompere la routine nella quale aveva vissuto per tanto tempo. Ma non avrebbe vissuto in quel modo così a lungo se, in realtà, quella routine non le fosse piaciuta. Dopo il primo mese la vedemmo poco. I suoi alloggi erano accessibili solo a lei. Quando entravamo nel solarium, lei rientrava nella propria parte di nave.

Vaffa decise di farsi addormentare dopo poca.

Cathay e io ci sentimmo molto vicini. Molte volte. Negli intervalli ci parlavamo appena. Ricordo un tremendo litigio per decidere a chi toccasse dare da mangiare ai pesci. Non era colpa sua, e non era neppure mia. In una situazione diversa avremmo potuto sviluppare qualcosa di duraturo, ma non c’era nessun altro da amare o da odiare, o con il quale arrabbiarsi. In parte era solo la mia ostinazione. Lo ammetto. Non volevo amarlo solo perché non c’era nessun altro; avevo bisogno di ragioni più forti. Per lui questo era assurdo, e forse aveva ragione. Ma non potevo farci niente.