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guardando un corso d’acqua in America, mentre la schiuma bianca mi turbinava intorno alle ginocchia;

dando alla luce la mia seconda figlia, Alicia, mentre andavo verso il centro;

tenendo Alicia per mano, mentre dava alla luce mio nipote;

davanti a Vaffa;

morendo. Morendo di nuovo. E di nuovo ancora.

Ne uscii impotente. Tutti gli attimi erano stati adesso. Erano scomparsi tutti, lasciandomi immagini confuse e quasi nessun ricordo. Ciò che ricordavo era tanto nel mio futuro quanto nel mio passato.

Tornò, quella vorticosa sensazione di abitare il presente, il passato e il futuro tutti contemporaneamente. Ne uscii di nuovo, e questa volta rimbalzai lungo le quattro dimensioni di quel lungo verme rosa con un milione di gambe che rappresentava la mia vita, dalla nascita alle mie molte morti. Ero una sola entità, un solo punto di vista, un solo presente. Percorsi tutta la mia esistenza, all’indietro e in avanti, nel futuro e nel passato.

Caddi di nuovo, disorientata, confusa. Mi era stato mostrato qualcosa che la mia mente non poteva comprendere e sentivo già svanire i ricordi. Esistevo in troppi modi nello stesso tempo per riuscire a capire. Gli occhi non mi funzionavano o mi mostravano immagini che il mio cervello non riusciva ad assimilare.

Non so quanto restai nel luogo calmo e nero in cui ero entrata. Non c’era tempo, ma tutte le mie sorelle erano insieme a me. Cominciammo a vedere, un po’. Qualcosa nuotò verso la mia coscienza distaccata, una cosa strana che percepivo senza effettivamente vederla. Per sorprendente che fosse, mi era quasi più familiare di tutto il resto che mi circondava. All’improvviso seppi che era una cosa preziosa. Qualcosa che dovevo avere. (C’era qualcuno che mi diceva che dovevo averla?) Apparteneva a loro, agli Invasori, e dovevo possederla io.

Allungai la mano…

Ricordò Cathay chinato su di lei, che le scuoteva le spalle. La testa oscillava avanti e indietro, abbandonata. Mise a fuoco gli occhi.

«Stai bene… Cosa è successo?»

«Ti hanno fatto qualcosa?» Era la voce di Vaffa, e Lilo sorrise vedendo sulla sua faccia una preoccupazione sincera. Vaffa, Vaffa, c’è ancora speranza per te!

«Chi è quella?»

«Sono io.» Lilo si sedette. Era stata Javelin a farle la domanda, e Lilo sapeva di cosa parlava. Aveva visto quel momento nel caleidoscopio che l’aveva sopraffatta mentre la sirena dei Mercanti ululava. Guardò il nuovo occupante della stanza — una donna alta e abbronzata, tutta bagnata — e si fecero un cenno di saluto. Fra loro non c’era bisogno di parole. Erano già state lì tutte e due.

Lei aveva qualcosa in mano, un cubo argenteo di cinque centimetri di spigolo.

«Chi sei?» chiese Vaffa.

La donna la guardò incuriosita.

«Puoi chiamarmi Diana, per evitare confusione. Mi chiamavano tutti così.»

Quella parola fece sgorgare una cascata di ricordi nella mente di Lilo. Cercò di trattenerli, ma stavano già svanendo come un sogno. Un lungo viaggio, un viaggio fantastico, dieci anni… ostacoli da superare. Alberi alti, grandiosi, che arrivavano al soffitto… no, questo apparteneva alla sua linea vitale. Si sforzò ancora di ricordare. C’era un’altra Lilo, sul satellite in fuga. Era stata costretta ad andare avanti nel tempo, verso la propria morte, tre morti, e indietro, verso molte altre… non era così? Non ne era più sicura. Ma c’era qualcosa che guidava i suoi passi, la conoscenza di cosa sarebbe successo, di cosa era successo.

«Andiamocene di qui,» disse Lilo.

«Cosa?» Javelin si oppose. «C’è un sacco di cose che voglio…»

«No. Non serve a niente. Solo una domanda,» ribatté Lilo, guardando William. «Cos’è quella cosa che ho… che ha in mano?»

William sembrava triste.

«Quella,» disse, «è una singolarità. Le cose vanno più in fretta di quanto ci aspettavamo.»

«E cos’è una singolarità?»

William alzò le spalle. «Vorrei tanto che lo sapessimo. Se lo sapessimo saremmo come gli Invasori. La chiamiamo così perché viola le leggi fondamentali dell’universo. Crediamo che non possa esistere nel nostro universo, almeno non di norma. Tutto quello che si vede è un campo nullo che la ricopre. Non vedrete mai altro.»

«E cosa fa?» Lilo era confusa. Aveva già saputo le risposte alle domande che stava ponendo.

«Sembra che elimini la forza d’inerzia di un corpo. Non mi domandi come. Sono milioni d’anni che le studiamo e non sappiamo come funzionano. Pensiamo che possa trasformare l’inerzia in qualche altra caratteristica della materia e immagazzinarla in un ipotetico iperspazio, o in una quinta dimensione.»

«In pratica sarebbe un propulsore spaziale,» osservò Javelin.

«La base per un propulsore spaziale. Quando imparerete a usarlo, il che avverrà molto presto, riuscirete a raggiungere rapidamente velocità elevate, e con pochissimo carburante. Le stelle saranno alla vostra portata.»

«L’ho rubato,» disse Diana, orgogliosamente.

«Hmmm?» William la guardò. Sembrava distratta. «Davvero? L’ha rubato, dice? Meraviglioso. Sembra che sia riuscita a farla agli Invasori, così.»

Diana si mostrò per un attimo fiera, poi sembrò perplessa. Lilo era triste per lei. Aveva già un’idea di ciò che era in realtà successo.

«Non l’ho rubato, vero?» chiese Diana.

«No. Fa parte dello schema che culminerà con lo sterminio di quanto resta della vostra specie nel sistema solare, tranne quelli che sono sul pianeta natale. La singolarità si riprodurrà. Potrebbe anche essere una creatura vivente. Ce ne serviremo, come tutti gli altri.»

«Ma perché ce l’hanno data?»

«Non conosco le loro intenzioni. Ma pare che non vogliano uccidere specie intere. Sulla Terra non uccisero nessuno, ricordate. Non direttamente. Né diedero la caccia ai sopravvissuti sulla Luna. Vi hanno lasciato vivere finché non avete cominciato a dargli noia. Adesso vi offrono un’altra possibilità di diffondervi fra le stelle; non credo che gli interessi che la sfruttiate, ma la possibilità ve la offrono.

«Quindi si preoccupano per gli esseri umani…»

William aggrottò le sopracciglia. «Chi lo sa di cosa si preoccupano? Non sembrarono particolarmente toccati dalle difficoltà incontrate dalla mia razza. Quella singolarità può sembrare miracolosa a voi e a me. Per loro è probabilmente sullo stesso piano tecnologico di una pietra levigata.

Cathay continuava a spostare lo sguardo da una Lilo all’altra.

«Mi vuol dire qualcuno che diavolo sta succedendo?» esclamò. «Chi è lei? E da dove viene?»

«Non mi riconosci?» domandò Diana. «Sono cambiata fino a questo punto? L’ultima volta che mi hai visto stavo cadendo su Giove.»

«Ma dove sei stata… voglio dire, come hai…»

«È stata restituita dagli Invasori,» spiegò William. «Hanno semplicemente ripercorso la sua linea vitale. In base alle nostre indicazioni preliminari, è andata diverse migliaia di anni nel futuro, ha passato dieci anni sulla Terra ed è stata riportata qui. Per loro è stato facile come sarebbe per voi unire due punti con una linea.»

Lilo cominciava a essere impaziente.

«Possiamo andare, adesso? Sulla nave potrò rispondere a tutte le vostre domande.»

«Sì, sì,» disse William. «Se volete andarvene, andate pure. Dovremo modificare i nostri piani, naturalmente. Ci aspettavamo una cosa del genere, sì, ma non così presto. E non nel giardino di casa nostra. È molto irritante. Pensate a quello che vi abbiamo detto. Vale sempre, ma non avete più il tempo che credevamo…»