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Infilò la mano nella macchina della dogana e sentì la sonda graffiarle la pelle secca del palmo. L’apparecchiatura emise qualche gorgoglio e si convinse che lei era qualcun altro. Peccato che non potesse tenere la nuova mano, rifletté. Avrebbe avuto un valore incalcolabile. Ma il rigetto dei tessuti lo impediva. In meno di una settimana sarebbe morta.

Panavision era una città di artisti, piena di attori e di registi. L’aspetto di molti era stato modificato in funzione di un ruolo; era un posto bizzarro. Si misero in fila ad aspettare il treno gravitazionale per Archimede. Salirono tutti e quattro, la vettura fu chiusa ermeticamente, e il peso di Lilo cominciò a diminuire mentre il treno scendeva per circa quattrocento chilometri lungo la galleria inclinata. A un certo punto, sotto gli Appennini, il treno cominciò a risalire, rallentando via via fino ad avanzare a passo d’uomo allorché la vettura entrò nell’ascensore che li riportò ai livelli abitati. Quando Lilo cominciò a stare comoda a sedere, il viaggio terminò.

Il Gran Concorso di Archimede era terrificante. Aveva dimenticato che ci fossero tante persone e tanto rumore. Non vi fu tempo per preoccuparsene; venne spinta attraverso la folla fino a una metropolitana privata. Appena ebbe riacquistato il controllo di sé, vide che nella capsula a otto posti era di nuovo sola con Mari.

«E adesso dove andiamo?»

«Non sono autorizzata a dirlo,» rispose Mari alzando le spalle.

Lilo non ci mise molto a capirlo. La maggior parte dei Lunari ha qualche nozione di selenografia. Spesso non escono in superficie più di una volta o due in diversi anni, probabilmente per un viaggio come quello che Lilo e Mari stavano facendo in quel momento: chiuse in una capsula, su una rotaia a induzione mentre il paesaggio sfrecciava davanti ai finestrini. Ma Lilo conosceva piuttosto bene le carte della superficie. Andavano a nord, attraverso le piane dell’Imbrium, e quando vide dei picchi ergersi all’orizzonte, sapeva che erano i monti Spitzbergen. Così il Capo viveva lì. Quell’informazione non era proprio un segreto di stato, però non veniva reclamizzata per il pericolo costante di un omicidio.

La casa di Tweed era in superficie — com’era logico, notò Lilo, per permettergli di vedere sempre la Terra. Tweed era ossessionato dalla Terra, e dagli Invasori. C’era un’enorme cupola geodetica, circondata da gruppetti di cupole più piccole. All’ombra di una di esse si levava un intricato telescopio con uno specchio di venti metri. Era puntato sulla Terra.

Mari recise l’avambraccio e lo sostituì con quello originale, poi disse che Tweed stava aspettando Lilo nella cupola principale. Le indicò il tragitto. Lilo fece con calma, guardando al di là delle porte aperte che incontrava. Ci doveva essere solo una stazione della metropolitana e le tute dovevano essere ben custodite. Si rendeva perfettamente conto che quella era una prigione così come lo era stato l’Istituto: era il momento di cominciare a mettere a punto un piano di fuga.

La strada di accesso era invasa dall’acqua. Ci passò in mezzo, finché il viottolo non diventò un ruscello che scorreva fra gli alberi, un’artistica, perfetta combinazione di olografie e piante reali. Il letto del ruscello era pavimentato di sassi levigati e di cristalli variopinti e i punti più profondi erano pieni di pesci. Dalla riva, una pantera la stava studiando; le venne vicino appena fu uscita dall’acqua, e le si strofinò contro dopo averle annusato i peli dei polpacci. Lilo la carezzò per un poco, poi la mandò via con una pacca sulla testa.

Il sentiero portava a uno spiazzo, e lì c’era Tweed, seduto su una poltrona con una donna nuda in piedi accanto. Fra gli alberi ai bordi dello spiazzo, vide un uomo, anch’esso nudo.

Lilo aveva cercato di non lasciarsi impressionare, ma era inutile. Non aveva idea di quanto denaro ci volesse per mantenere una disneyland tascabile come quella, ma sapeva che doveva essere molto.

«Si sieda, Lilo,» disse Tweed, e dall’erba alta apparve una poltrona. Lei lo fece, mettendo un piede sul sedile. Si frugò nelle tasche della tunica, trovò una spazzola, e cominciò a pettinarsi i riccioli dei peli bagnati sulle gambe.

«Ha già incontrato Vaffa,» disse Tweed, indicando la donna in piedi. Lilo la guardò, ne notò la posa e l’atteggiamento delle mani. Quella donna poteva ucciderla in un secondo, e l’avrebbe fatto. Le era sembrato che i suoi occhi avessero qualcosa di familiare.

«Quante ne ha?» chiese. C’era un boa constrictor, lungo almeno venti metri, avvolto nell’erba ai piedi della donna. «È uno strano animale da casa.»

«Non le piacciono i serpenti?»

«Non parlavo del serpente.»

Tweed fece una risatina. «Vaffa è molto utile, fedele, intelligente come può, e del tutto spietata. Vero, Vaffa?»

«Se lo dice lei, signore.» I suoi occhi non abbandonavano Lilo neppure per un attimo.

«Per rispondere alla sua domanda, ci sono molte Vaffa. Una qui, l’altra che l’ha aiutata a fuggire qualche ora fa. Altre in altri posti.» Lilo non aveva bisogno di chiedere perché Vaffa fosse tanto utile. Sebbene le due che aveva visto avessero corpo e faccia del tutto diversi, la sensazione era la stessa. Era un’assassina. Era possibile che fosse un soldato, sebbene Lilo non fosse esperta di malattie mentali.

«Mi parli degli Anelli,» disse Tweed, inaspettatamente.

«Se ne è discusso al processo,» balbettò Lilo. «Credevo che lo sapesse.»

«Lo sapevo, ma non sono convinto che abbia detto la verità Dov’è la capsula vitale?»

«Non lo so.»

«Abbiamo il modo di farla parlare.»

«Non dica sciocchezze.» Tweed aveva l’abitudine di parlare in quella maniera, come un attore di un giallo scadente. «Non è questione di non volerlo dire,» spiegò lei. «Ho ammesso di averla costruita. Se sapessi dov’è, non mi sarebbe molto utile, no?»

In quel momento Lilo capiva che avrebbe potuto esserle» dannoso, non certo utile. Tweed non appariva contento, e la cosa era spiacevole. Renderlo contento era improvvisamente diventato molto importante.

Cinque anni prima, allorché le sue ricerche l’avevano condotta in campi nei quali avrebbe incontrato problemi con la legge, aveva deciso di costruire la capsula. Aveva contatti con gli abitanti degli Anelli e il denaro per fare attuare il progetto. L’idea — le era parsa buona al momento — era stata questa: se fosse stata presa e imprigionata, il suo lavoro sarebbe continuato senza interruzioni. Ora non era sicura che le sue motivazioni fossero state così altruistiche. L’impulso a vivere era forte, come aveva appena scoperto.

«Mi hanno interrogato servendosi di droghe,» disse. «Ho un’amica laggiù. Quando lasciai la capsula, lei la spostò. Non posso portarci nessuno. Non so dove sia.»

«Questa complice,» disse lui. «Ha modo di mettersi in contatto con lei?»

«È mai stato laggiù?»

«No, non ne ho mai avuto il tempo.» Scrollò le spalle. Lilo gliel’aveva già visto fare, al cubo. Tweed era abile nel mettersi in disparte, nel mostrarsi sempre preso dagli interessi del popolo.

«Be’, gli Anelli sono grandi. Se non c’è mai stato, non può immaginarsi quanto. Potrei cercare di rintracciarla via radio, ma non riusciremmo mai a darle la certezza assoluta che non ci sono pericoli. Voglio dire, con la droga mi si potrebbe estorcere tutto, e lei non avrebbe nessun modo di sapere se c’è qualche tranello. È già stato abbastanza difficile convincerla ad aiutarmi. Agli abitanti degli Anelli piace la solitudine. Non si interessano molto dei problemi degli altri.»