Forse il motivo è che non sanno cosa sia un sensale d’ipoteche. Molta gente non lo sa. È uno che intervista i clienti, li aiuta a scegliere l’acquisto che si possono permettere), o che si possono quasi permettere) esamina i loro introiti, le tasse, li guida nella compilazione delle domande e dei moduli, e li illumina su ciò che riguarda i permessi e gli obblighi relativi al fatto di possedere una casa.
È un lavoro che offre di che vivere. Ha i suoi lati interessanti… so che forse lo dico solo per convincere me stesso. E quando non me lo dico abbastanza spesso a ripetermelo ci pensa Greta, la mia ragazza, che ha fede in due principi di vita: un lavoro sicuro, e un conto in banca, prima di convolare a nozze. Perché un giorno o l’altro finiremo per sposarci, visto che il lavoro ce lo permette.
Un giorno o l’altro.
Nel frattempo è un’occupazione interessante, lo dico per la terza volta, e mi lascia il modo di scegliere i miei momenti liberi. Il momento in cui voglio avere dei momenti liberi è, di solito, quando posso dividerli con Greta. La regola dell’agenzia è che ognuno di noi venditori deve fare ogni settimana cinque ore di «tempo-interno», il che significa stare negli uffici per il disbrigo di pratiche o prendere le telefonate dei clienti. Fuori sono io a disporre del mio tempo. Così quando Greta è in viaggio — fa la stewardess — lavoro dalla mattina alla sera. Quando è in sosta cerco di stare con lei il più possibile. Il suo lavoro mi va a pennello… no, questa è una bugia. Non mi va per niente. Sto sempre a rodermi il fegato al pensiero dei tipi che le mettono gli occhi addosso quando fa avanti e indietro fra Chicago e New York, e di come occupa le serate quando dorme a New York. Naturalmente tutte le stewardess sono sorvegliate dalle Piccole Fatima, ma le sorveglianti possono essere raggirate. Sappiamo tutto su questa tecnica, Greta e io. Detesto a morte l’idea che possa usare con qualcun altro, a New York, gli espedienti che io le ho insegnato a Chicago. Questo è un pensiero che mi dà ai nervi.
Così cerco di non pensarci.
Tuttavia quella sera finì che andammo in piscina assieme. Appena giunto a casa mi spogliai, abbassai le luci, chiusi bene le finestre, e scesi a prendere una bottiglia di birra nel mio sottoscala segreto. Mentre tremavo nel compartimento refrigerato ripensai a quella misteriosa chiamata. Ma era inutile lambiccarsi il cervello. Quella scheda doveva essere ormai sepolta sotto chissà quante altre. Fu mentre sedevo a palpeggiare dolcemente la bottiglia fredda, imperlata di brina, che il telefono suonò. Greta. — Nicky, tesoro? Ti va di fare una nuotata a quest’ora?
Mi andava, naturalmente. Buttai giù la birra così in fretta che mi congelò i denti e infilai il costume da bagno. Ero già beatamente immerso nell’acqua, quando lei comparve per calarsi dentro accanto a me.
Non c’era molta gente in piscina a quell’ora così tarda, ma gli occhi di tutti i maschi le si appiccicarono addosso quando oltrepassò il lato riservato ai tuffi. Greta è uno spettacolo notevole. Poche bionde alte 1,70, flessuose e con gli occhi verdi non lo sono. Non guardarla è impossibile. Perfino nel costume completo di gonnellino che per i sorveglianti della piscina è obbligatorio, faceva perder le bave agli uomini. Lo sapevo bene. Aveva lo stesso effetto su di me.
La trascinai a nuoto fino all’estremità in penombra della piscina per baciarla. Avevano abbassato le luci, per risparmiare elettricità, e soltanto il lato dei tuffi era illuminato. Ci fermammo dove l’acqua mi arrivava alla spalla, con Greta che in punta di piedi si bilanciava per tenerne fuori la bocca, e mi piegai in cerca delle sue labbra. Poi cominciai a baciarla sul serio.
Lei mi restituì il bacio per un tempo ragionevolmente lungo, poi si spinse via con una risatina e mise un po’ d’acqua fredda fra noi. Quando la riacciuffai disse: — Uh — uh, tesoro. Tu vuoi portarmi troppo su di giri.
Dissi: — Vorrei proprio… — Mi mise un dito sulle labbra.
— So benissimo cosa vorresti. Forse lo voglio anch’io, ma non possiamo farlo.
— Non c’è nessuno da questa parte della piscina…
— Oh, Nicky, sai che non è per questo. Cosa succederebbe se io, sai cosa voglio dire… se, be’, ci restassi?
— Questo non è molto probabile. — Non volle rispondermi. — Comunque ci sono cosette che possiamo fare, se occorresse un rimedio.
— No che non possiamo, Nicky caro. Non se stai alludendo a quella parola che comincia per «A». Io non potrei mai distruggere la vita di mio figlio. E poi quei posti non si trovano facilmente, e una rischia d’essere ammazzata o rovinata per sempre.
Il guaio era che aveva ragione, e lo sapevamo tutti e due. Non passava giorno senza che ci fosse un raid della polizia nel covo di qualche abortista, col criminale trascinato via e i clienti che cercavano di nascondere la faccia davanti alle cineprese dei giornalisti. Non volevamo certo rischiare una cosa del genere.
In piscina erano rimaste solo cinque o sei persone. Nessuno sembrava far caso al fatto che non stavamo nuotando. Greta si lasciò sollevare a mezzo fuori dell’acqua e non fece resistenza quando la baciai ancora.
— Nicky? — mi mormorò in un orecchio.
— Sì, dolcezza?
Una risatina, poi un sussurro così basso che potei a stento udire le sue parole: — Che ne dici del topless, adesso?
Mi guardai intorno. A parte due uomini in piedi accanto al trampolino, l’unico in grado di vederci in quel momento era il bagnino. E stava leggendo una rivista sotto una lampada, presso l’uscita.
— Perché no? — dissi.
Abbassai le mani fra i nostri due corpi, tirai pian piano la cerniera lampo, e poi mi tolsi la parte superiore del costume.
Ora, voi sapete che stare in topless non è realmente considerato un crimine. Il regolamento comunale lo definisce un reato di Classe 3, dunque uno di quelli per cui non vi arrestano. C’è soltanto la contravvenzione, tipo quella che prendereste per aver parcheggiato in un’area proibita. Di solito uno se la cava con cinque o dieci dollari, e difficilmente il giudice decreta una pena detentiva. Spesso un uomo che si mostra in topless rimedia solo un avvertimento, se è la prima volta che lo beccano.
Cosi non mi aspettavo quel che successe poi.
Non mi aspettavo che tutte le luci della piscina s’accendessero di colpo. I due uomini al trampolino furono scaraventati da parte da un individuo che passò di corsa in mezzo a loro. E costui non era solo, perché nello stesso istante altri fecero irruzione da direzioni diverse: sbucarono fuori dallo spogliatoio degli uomini, da quello delle donne, perfino da alcune finestre, e tutti conversero su di me. Due tipi corpulenti si tuffarono nella piscina, vestiti e tutto, mi agguantarono e mi trascinarono fuori a viva forza.
Immersa nell’acqua fino al mento, Greta li fissò a occhi sbarrati. Era terrorizzata e sbigottita. E lo ero anch’io.
Il mondo era un groviglio d’immagini che mi roteavano attorno, e non smisero di roteare finché i due individui non mi ebbero sbattuto contro il cofano di un’auto, giusto fuori della porta della piscina. Il metallo scottava: quella macchina era appena arrivata lì, e doveva esserci arrivata senza alcun risparmio di carburante. Fui costretto ad allargare i piedi a terra, chino in avanti, mentre le mani ostili di un poliziotto palpavano la stoffa bagnata del mio costume… bontà di Dio, stava cercando un’arma? C’erano altre due auto, con gli abbaglianti puntati su di me, oltre a mezza dozzina di agenti… tutti con le pistole in mano, e al centro della loro attenzione c’ero io.