Va bene. Nella mia lista dei più probabili c’era rimasta ancora una persona su cui, per altro, non osavo riporre nessuna particolare speranza. In fin dei conti, dopo una separazione di un quarto di secolo, gli uomini si incontrano volentieri con i genitori, molto spesso con il proprio insegnante, a volte con i compagni di scuola, ma solo in casi particolari, particolarissimi, con il medico della scuola. A maggior ragione se il medico della scuola partecipa a una spedizione in un posto lontanissimo, dall’altra parte del pianeta, e il sistema di trasporto-zero, come risultava dal bollettino, già da due giorni funzionava male a causa della fluttuazione del polo del neutrino.
Ma non mi rimaneva niente altro. Adesso a Manaos era giorno e, se dovevo telefonare, era il caso di farlo ora.
Ebbi fortuna. Jadwiga Michailovna Lekanova era sul posto e potei parlarle subito, cosa su cui non contavo affatto. Jadwiga Michailovna aveva la faccia grassa ed abbronzatissima, delle fossette civettuole sulle guance, splendenti occhi azzurri e un folto colbacco di capelli d’argento. Aveva un piccolo difetto di pronuncia, peraltro molto simpatico, e una voce profonda e vellutata, che suscitava pensieri frivoli, assolutamente fuori luogo, come, per esempio, che fino a poco tempo prima la signora avrebbe potuto far girare la testa a chiunque avesse voluto. E, con ogni probabilità, l’aveva fatta girare.
Mi scusai, mi presentai e raccontai la mia storiella. Lei socchiuse gli occhi, cercando di ricordare, aggrottò le sopracciglia nere e folte.
— Lev Abalkin?… Lev Abalkin… Scusi, lei come si chiama?
— Maksim Kammerer.
— Scusi, Maksim, non ho ben capito. Lei parla a livello personale o rappresenta un’organizzazione?
— Come dirle… Ho degli accordi con una casa editrice, che si è dimostrata interessata…
— Ma lei è proprio un giornalista o lavora da qualche parte? Non esiste di per sé la professione di giornalista…
Annuii deferente, cercando febbrilmente di decidere come comportarmi.
— Vede, Jadwiga Michailovna, è piuttosto difficile da spiegare… La mia professione… dunque, faccio il Progressore… veramente, quando ho cominciato a lavorare, questa professione non c’era ancora. Fino a poco tempo fa ero collaboratore del COMCON… e anche ora, in certo qual modo…
— Lo ha lasciato per fare il libero professionista? — chiese Jadwiga Michailovna.
Sorrise di nuovo, ma ora nel suo sorriso mancava qualcosa di importante, e nello stesso tempo di molto comune.
— Senta, Maksim, — disse, — parlerò volentieri con lei di Lev Abalkin, ma, se permette, solo fra un po’. Le telefono io, fra un’ora, un’ora e mezzo…
Continuava a sorridere, e ora capii cosa mancava nel suo sorriso: la benevolenza.
— Certamente, — dissi. — Come preferisce…
— Mi scusi, per favore.
— Ma no, sono io che devo scusarmi…
Prese nota del numero del mio canale, e ci separammo. Che strana conversazione! Chiaramente lei si era accorta, per qualche ragione, che mentivo. Mi strofinai le orecchie. Le orecchie mi bruciavano. Maledetta professione… «E cominciò la più appassionante delle cacce, la caccia all’uomo…» O tempora, o mores![12] Quante volte si sono sbagliati questi classici! Va bene, aspettiamo. E vedrai che mi toccherà andare fino a Manaos. Ascoltai il bollettino. Il sistema di trasporto-zero continuava ad essere poco affidabile. Allora prenotai il viaplano, aprii la cartella e mi misi a leggere il rapporto di Lev Abalkin sull’operazione “Mondo morto”.
Feci in tempo a leggere cinque pagine, non di più. Bussarono alla porta e sulla soglia comparve Sua Eccellenza. Mi alzai.
Capita raramente di vedere Sua Eccellenza in modo diverso che seduto alla scrivania, e ci si dimentica sempre di come sia alto e ossuto. Un impeccabile camice bianco gli penzolava addosso, come sulla stampella, e aveva, nel complesso, qualcosa dell’attore da circo che cammina sui trampoli, sebbene i suoi movimenti non fossero affatto rigidi.
— Siediti, — disse, piegandosi a metà e accomodandosi nella poltrona davanti a me.
Mi affrettai a sedermi.
— Riferisci, — ordinò.
Riferii.
— Tutto qui? — chiese con un’espressione sgradevole.
— Tutto per ora.
— Male, disse.
— Ma, Eccellenza… — dissi.
— Male! L’istruttore è morto! E i compagni di scuola? Vedo che non li hai proprio presi in considerazione! E i suoi compagni di classe alla scuola dei Progressori?
— Purtroppo, Eccellenza, non aveva amici. Per lo meno all’internato, ma per quanto riguarda i Progressori…
— Per favore, risparmiami queste divagazioni. Controlla tutto. E non ti distrarre. Che c’entra, per esempio, il pediatra della scuola?
— Mi sforzo di controllare tutto, — dissi, cominciando ad arrabbiarmi.
— Non hai tempo per andartene in giro in viaplano. Studia gli archivi e non i voli.
— Mi occuperò anche degli archivi. Non lascerò da parte nemmeno il Testone Ščekn. Ma ho stabilito un certo ordine… Non mi pare che il pediatra sia una perdita di tempo…
— Zitto, — disse. — Dammi il tuo elenco.
Prese il foglio e lo studiò a lungo, di tanto in tanto arricciando il naso ossuto. Scommetterei la testa che si era soffermato su una riga e la guardava senza aprire gli occhi. Poi mi restituì il foglietto e disse:
— Ščekn, non è una cattiva idea. E anche la tua storiella mi piace. Tutto il resto non va. Hai creduto che non avesse amici. Non è vero. Tristan era suo amico, anche se nella cartella non hai trovato niente a questo proposito. Cerca. E anche questa… Glumova… è una buona idea. Se ci fosse di mezzo l’amore, sarebbe una possibilità. La Lekanova lasciala perdere. Non ti serve.
— Ma tanto mi deve telefonare!
— Non ti telefonerà, — disse.
Lo fissai. I rotondi occhi verdi non vacillarono, e io capii che la Lekanova non avrebbe telefonato.
— Senta, Eccellenza, — dissi. — Non le pare che lavorerei tre volte più in fretta se sapessi di che si tratta?
Ero sicuro che avrebbe ribattuto: «No, non mi pare». La mia era una domanda retorica. Volevo semplicemente fargli capire che l’atmosfera di mistero che circondava Lev Abalkin non mi era sfuggita e che mi infastidiva.
Ma lui rispose diversamente:
— Non so. Penso di no. Comunque ora non posso dirti nulla. E non voglio, anche.
— Segreto professionale? — chiesi.
— Sì, — disse. — Segreto professionale.
Dal rapporto di Lev Abalkin (operazione “Mondo morto”)
Alle dieci l’ordine di movimento viene fissato in modo definitivo. Camminiamo in mezzo alla strada: Ščekn avanti, al centro della strada, a sinistra, dietro di lui, io. Avevamo dovuto abbandonare il solito ordine di marcia — a ridosso dei muri — perché i marciapiedi erano invasi da calcinacci, mattoni rotti, schegge di vetro delle finestre, lamiere arrugginite, e per ben due volte dei pezzi di cornicione, senza una ragione apparente, per poco non ci erano caduti sulla testa.
Il tempo non era cambiato, il cielo come prima era coperto di nuvole. A tratti soffiava un vento caldo che faceva svolazzare sul lastricato sconnesso rifiuti imprecisati, e increspava l’acqua puzzolente nelle pozzanghere nere stagnanti. Si alzavano in volo, si abbassavano e di nuovo si alzavano miriadi di zanzare. Orde di zanzare. Veri e propri turbini di zanzare. Moltissimi ratti. Frusciano fra le immondizie, a branchi color rossiccio sporco corrono per la strada da un portone all’altro, a colonne sbucano fuori dalle cornici vuote delle finestre. Hanno occhi grossi come i grani di una collana che lampeggiano trepidanti. Non si capisce di che cosa si nutrano, in questo deserto di pietra. Forse di serpenti. Anche serpenti ce ne sono molti, specialmente nelle vicinanze dei tombini, dove si radunano e formano degli aggrovigliati cerchi semoventi. Non si capisce anche di cosa si nutrano i serpenti. Forse di ratti. I serpenti, inoltre, sono apatici, niente affatto aggressivi, ma nemmeno timorosi. Si occupano delle loro cose, e non prestano attenzione a niente altro.