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Lo scarabeo nel formicaio, l’ultimo in ordine di tempo dei romanzi del ciclo “futuro”, iniziato dagli Strugackij con Mezzogiorno — XXII secolo (1967), si riallaccia anche ai romanzi a tematica “storico-sociologica” come Tentativo di fuga, attraverso L’isola abitata, prima parte di una trilogia su Maksim Kammerer, di cui Lo scarabeo costituisce il seguito. Dal primo romanzo proviene non solo Kammerer, ma anche l’altro protagonista, Rudolf Sikorski, Sua Eccellenza, entrambi con venti anni in più e ora non Progressori (specialisti per l’accelerazione dello sviluppo di civiltà arretrate di altri pianeti), ma collaboratori della Commissione di Controllo, il COMCON, che vigila perché la scienza, nel suo sviluppo, non rechi danno all’umanità della Terra. I due autori riprendono qui il tema del progresso già affrontato in altre opere (La lumaca sul pendio, I brutti cigni) e approfondiscono la loro posizione: si oppongono apertamente al progresso obiettivo e necessario e fanno della morale il criterio supremo della storia. Il romanzo verte su una dicotomia: da una parte c’è il diritto del protagonista, Lev Abalkin, ad una vita normale, dall’altra il bene della civiltà terrestre. Per Arkadij e Boris Strugackij, anche nella società comunista del XXII secolo, è fondamentale la salvaguardia della singola vita umana. E a questo proposito i due autori formulano nel romanzo tutta una serie di interrogativi non meno attuali per noi che per gli uomini del futuro. È sempre un vantaggio per l’umanità la realizzazione di tutte le idee scientifiche? Come esercitare la funzione di controllo in un assetto sociale di autogoverno? Come si possono infine conciliare nella pratica gli interessi della società con i diritti e le libertà del singolo individuo? Contrariamente ad altre opere, Lo scarabeo non offre risposte precise, apre piuttosto il campo alla discussione e al dibattito.

Il romanzo ruota intorno alla figura di Lev Abalkin e al segreto della sua personalità. Nato da un’ovocellula abbandonata dai Nomadi dello Spazio, Abalkin potrebbe essere un automa, o, per lo meno, avere in sé un programma che si metterà in moto in un momento imprecisato. La minaccia rappresentata dai Nomadi risulta tanto più inquietante quanto più incomprensibili sono i loro scopi: la rovina o il bene dell’umanità o proprio l’uccisione di Abalkin!

Maksim Kammerer nega il diritto di uccidere in nome del progresso, mentre Rudolf Sikorski Sostiene la necessità di eliminare ogni pericolo, anche se potenziale. Per lui, la sicurezza della Terra è al di sopra di tutto, per cui l’uomo Abalkin passa in secondo piano rispetto al pericolo che può rappresentare. Inoltre, Sikorski odia i Nomadi dello Spazio e non sopporta di non poter sapere quali sono i fini che questa ultra-civiltà si propone. Il senso ultimo del romanzo è forse proprio nella situazione di Sikorski, nel suo vivere da quaranta anni come una formica terrorizzata perché nel formicaio è entrato uno scarabeo. La sua unica possibilità di tornare ad essere una persona libera sarebbe di accettare il suo ruolo di formica e di convincersi dell’innocuità dello scarabeo.

In questo romanzo i fratelli Strugackij riversano le inquietudini e le incertezze degli anni Ottanta, lasciando al lettore ogni possibile interpretazione. Non si sa se Abalkin sia veramente un automa programmato dai Nomadi, o semplicemente un uomo esasperato cui sia stata coscientemente rovinata la vita. Certo, potrebbe non essere solo un uomo, ma è indubbiamente anche un uomo. Non ha dubbi in questo senso Maja Glumova, che lo conosce dall’infanzia, non ha dubbi Maksim Kammerer, che ha letto i suoi rapporti sull’operazione “Il mondo morto”, non ne ha nemmeno Rudolf Sjkorski, anche se ciò è per lui di secondaria importanza rispetto al bene dell’umanità.

Lev Abalkin è il fattore risolutivo e, in ultima analisi, la vittima di una tragedia di cui è osservatore, narratore e commentatore Maksim Kammerer. Il ruolo del detective non sufficientemente informato è preso in prestito dagli Strugackij dalla letteratura poliziesca, e Kammerer lo esegue puntualmente, arrivando alla verità solo appena prima della catastrofe, e non riuscendo perciò a scongiurarla. Rudolf Sikorski è l’eroe di questo dramma che inizia nel momento stesso in cui egli accetta le regole del gioco dei Nomadi, nel momento in cui decide di lasciare i “trovatelli” all’oscuro delle loro origini e di manipolare il loro destino, allo stesso modo in cui ritiene che i Nomadi manipolino il destino degli uomini. In realtà Sikorski diffida non tanto dei “trovatelli” e dei Nomadi, quanto dei suoi stessi conterranei, della loro capacità decisionale, della loro lungimiranza, e perciò assume su di sé la maggior parte di responsabilità — un peso sotto cui è destinato a soccombere — per cui non gli rimane altro da fare che liberarsi di una parte del fardello, nella fattispecie, di Abalkin. Tutta la lunga catena di compromessi per evitare di giungere a una soluzione drastica (fin dall’inizio il Consiglio Mondiale aveva infatti escluso decisamente la possibilità di distruggere le cellule) porta alla fine proprio a un atto irreversibile. L’uccisione di Abalkin è in realtà una non-soluzione, che ha un carattere liberatorio per la vittima e non per l’assassino. Abalkin potrebbe essere stato spinto proprio dalle circostanze create da Sikorski a cercare di impadronirsi del detonatore, oppure potrebbe essere effettivamente un automa azionato dai Nomadi. È il lettore che deve scegliere la spiegazione che più gli piace: vedere i due eroi del dramma come un giustiziere e un emissario dell’ignoto oppure come una formica ed un innocuo scarabeo.

LO SCARABEO NEL FORMICAIO

1° giugno dell’anno 78. Il collaboratore del COMCON-2 Maksim Kammerer

Alle 13.17 Sua Eccellenza mi ha chiamato. Non ha alzato gli occhi su di me, perciò ho visto soltanto il suo cranio calvo, coperto di lentiggini di vecchiaia. Quest’accoglienza denotava grande preoccupazione e scontentezza. La cosa, comunque, non mi riguardava.

— Siediti.

Mi sono seduto.

— Bisogna trovare una persona, — ha detto, e ha fatto una pausa. Lunga. Ha corrugato la fronte con rabbia, formando delle grosse pieghe. Ha sbuffato. Si poteva pensare che non gli fossero piaciute le sue stesse parole. O la forma o il contenuto. Sua Eccellenza ama la precisione assoluta nelle formulazioni.

— Chi, precisamente? — ho chiesto, per tirarlo fuori dal suo torpore filologico.

— Lev Vjačeslavovič Abalkin. Progressore. È atterrato l’altro ieri sulla Terra proveniente dalla base polare di Sarakš. Ma sulla Terra non è stato registrato. Bisogna trovarlo.