Per un momento la bambina restò dubbiosa, e Ian si chiese se aveva sbagliato nel giudicarla. Forse, in realtà, era Mizz Radiant Faintingheart Belle, o Mrs. Radiant Motherhood. Ma aveva le unghie un po’ sporche, per esserlo.
La bambina gli puntò contro l’indice ed emise uno squittio muovendo il pollice avanti e indietro. Ian si portò una mano sul cuore e si lasciò cadere di traverso sulla panchina, e lei scoppiò a ridere. Ma continuava a tenergli puntata contro l’arma.
— E fai in fretta a darmi la caramella, o ti sparo ancora.
Nel campo giochi era un po’ più buio, adesso, e c’era meno folla. La bambina gli stava seduta accanto sulla panchina e faceva dondolare le gambe. I piedi nudi non toccavano terra.
Sarebbe diventata molto bella. Glielo vedeva in viso, chiaramente. In quanto al corpo… chi poteva saperlo?
A lui, comunque, non importava niente.
Era vestita un po’ di questo e un po’ di quello, portati addosso qua e là senza molti riguardi per i concetti di pudore che Ian nutriva ancora. Molti bambini non avevano addosso nulla. Era stato un po’ uno shock, quand’era arrivato. Adesso s’era quasi abituato, ma pensava ancora che fosse un’imprudenza, da parte dei genitori. Credevano davvero che il mondo fosse tanto sicuro, per permettere che una ragazzina undicenne frequentasse un luogo pubblico praticamente nuda?
Rimase ad ascoltarla mentre gli parlava dei suoi amici, quelli che detestava e quei pochi, uno o due, che adorava letteralmente; ma l’ascoltava soltanto con una parte dell’attenzione.
E interveniva soltanto con «uhm» e «uh-uh» al momento giusto.
Era carina, non si poteva negarlo. Sembrava dolce come lo è sempre una bambina di quell’età, che può essere dolcissima e velenosa come un serpente a sonagli, quasi nello stesso momento. Aveva la capacità di mostrare calore umano, ma soltanto in superficie. Sotto sotto, si curava soprattutto di se stessa. La sua fedeltà doveva essere qualcosa di transitorio, concesso facilmente e dimenticato con la stessa facilità.
E perché no? Era giovanissima. Era perfettamente normale che fosse così.
Ma lui avrebbe osato toccarla?
Era pazzesco. Era demenziale come gli dicevano tutti. Funzionava così di rado. Perché doveva funzionare con lei? Ian si sentiva oppresso dal peso della sconfitta.
— Ti senti bene?
— Uh? Io? Oh, sicuro. Mi sento benissimo. La tua mamma non sarà in pensiero per te?
— Non devo rientrare ancora per ore ed ore. — Per un momento, lei assunse un’aria così da adulta che Ian quasi credette alla bugia.
— Bene, mi sono stancato di stare qui seduto. E non ci sono più dolci. — Ian la guardò. Quasi tutta la cioccolata le era finita in un grande cerchio intorno alla bocca, tranne nei punti dove s’era pulita graziosamente sulla spalla o sul braccio. — Cos’è, quello laggiù?
Lei si voltò.
— Quella? È la piscina.
— Perché non andiamo là? Ti racconterò una bella storia.
La promessa di una bella storia non bastò per impedirle di immergersi nell’acqua. Ian non sapeva se era un bene o un male. Sapeva che era una ragazzina sveglia, e leggeva, e aveva una forte immaginazione. Ma era anche attiva. L’attrazione era troppo forte, per lui. Sedette lontano dall’acqua, sotto un cespuglio, e la guardò nuotare in compagnia degli altri tre bambini che erano rimasti nel parco nonostante l’ora tarda.
Forse sarebbe tornata da lui, e forse no. Non avrebbe cambiato in alcun modo la sua vita, ma forse avrebbe cambiato la vita di lei.
La bambina emerse, sgocciolante e infinitamente più pulita, dall’acqua torbida. Indossò di nuovo i suoi straccetti, per quel che potevano servire, e tornò da lui rabbrividendo.
— Ho freddo — gli disse.
— Ecco. — Ian si tolse la giacca. La bambina gli guardò le mani mentre gliel’avvolgeva addosso, e si tese a toccargli la spalla.
— Devi essere molto forte — commentò.
— Abbastanza. Lavoro parecchio, perché sono uno spacciatore.
— Cos’è esattamente uno spacciatore? — chiese lei, soffocando uno sbadiglio.
— Siediti sulle mie ginocchia e te lo dirò.
Glielo disse, ed era una storia bellissima alla quale nessuna bambina dotata di spirito avventuroso poteva resistere. Ian aveva studiato bene quella storia, l’aveva perfezionata, l’aveva ripetuta molte volte al registratore fino a quando aveva trovato i ritmi e le cadenze più adatti, fino a quando aveva trovato le parole giuste… parole non troppo difficili, ma piene di sostanza e di fuoco.
Ancora una volta si sentì incoraggiato. La bambina era stanca, quando lui aveva incominciato, ma poco a poco la sua attenzione s’era ridestata. Poteva darsi che nessuno le avesse mai raccontato una storia in quel modo. Era abituata a sedersi davanti a uno schermo, mentre una storia veniva imposta ai suoi occhi e ai suoi orecchi. Era una novità, poter interrompere per fare domande, e ottenere le risposte. Persino la lettura non era così. Era la tradizione orale dei narratori di storie, e poteva ancora ipnotizzare l’ennesima generazione dell’era elettronica.
— È magnifica — disse lei, quando fu sicura che era finita.
— Ti è piaciuta?
— Sì, moltissimo. Credo che anch’io vorrò diventare una spacciatrice, quando sarò grande. È una storia bellissima.
— Be’, non è proprio la storia che volevo raccontarti. Ti ho solo spiegato cosa significa essere uno spacciatore.
— Vuoi dire che hai un’altra storia da raccontare?
— Sicuro. — Ian guardò l’orologio. — Ma ho paura che si stia facendo tardi. È quasi buio e tutti sono andati a casa. Forse è meglio che vada anche tu.
La bambina era incerta, tra ciò che doveva e ciò che voleva fare. Il risultato non doveva essere in dubbio, se era veramente ciò che pensava Ian.
— Bene… ma… ma domani tornerò e tu…
Lui stava scuotendo la testa.
— La mia nave riparte domattina — disse. — Non c’è tempo.
— Allora raccontamela adesso! Posso restare fuori fino a tardi. Raccontamela. Ti prego ti prego ti prego.
Ian resistette, astutamente, tossicchiò, protestò, ma alla fine si lasciò convincere. Era molto piacevole. L’aveva presa all’amo come una trota da due chili con una lenza da dieci. Non era sportivo. Ma del resto lui non stava giocando.
E così, finalmente, Ian arrivò alla sua specialità.
Qualche volta avrebbe desiderato che quella storia fosse davvero sua; ma in realtà non sapeva inventarle. Non tentava più di farlo. Invece, plagiava tutte le fiabe e le storie fantastiche che riusciva a trovare. Se possedeva una dote geniale, consisteva nell’adattare alcuni degli elementi perché si adeguassero al mondo che lei conosceva, pur mantenendo la storia su un piano di stranezza sufficiente per affascinarla, e nel modificare il finale per personalizzarlo.
Era una storia meravigliosa. C’erano castelli incantati in vetta a montagne di vetro, caverne sottomarine, flotte di astronavi e cavalieri splendenti in groppa a cavalli che volavano attraverso la galassia. C’erano alieni malvagi, e c’erano alieni buoni. C’erano pozioni drogate. E c’erano mostri squamosi che si avventavano dall’iperspazio per divorare i pianeti.
E in quel turbine giganteggiavano il Principe e la Principessa. Si cacciavano in situazioni terribili e si aiutavano l’un l’altra a venirne fuori.
La storia non era mai la stessa. Ian le osservava gli occhi. Quando vagavano, scartava interi episodi della vicenda. Quando si sgranavano, sapeva quali parti doveva inserire più tardi. La confezionava a misura delle reazioni della bambina.
La bambina era insonnolita. Prima o poi si sarebbe arresa. Ian aveva bisogno che entrasse in uno stato di trance, né sveglia né addormentata. E allora la storia sarebbe finita.