— Non è importante.
— Già. Ma qualcosa lo è.
— Sì.
— Forse dovresti dirmi che cos’è. Forse puoi rispondere all’interrogativo che è rimasto in fondo alla mia mente per venticinque anni, da quando scoprii che quello che mi avevi dato era un’incrostazione di un motore d’astronave.
— Non era altro? — chiese lui guardandola negli occhi. — Non fraintendermi. Non sto dicendo che era qualcosa di più. Sto chiedendo a te se non lo era.
— Sì, credo che fosse qualcosa di più — rispose lei, alla fine.
— Ne sono contento.
— Ho creduto appassionatamente a quella storia per… oh, per anni e anni. Poi ho smesso di crederci.
— All’improvviso?
— No. Gradualmente. Non mi ha fatto soffrire molto. Credo facesse parte del fatto di diventare adulta.
— E ti sei ricordata di me.
— Ecco, questo ha richiesto un certo impegno. Andai da un ipnotista, quando avevo venticinque anni, e ricordai il tuo nome e il nome della tua nave. Sapevi…?
— Sì. Te li avevo detti di proposito.
Lei annuì. Tacquero di nuovo. Quando lei tornò a guardarlo, Ian vide una maggiore comprensione, un atteggiamento meno difensivo. Ma c’era ancora una domanda.
— Perché? — chiese lei.
Ian annuì, e distolse gli occhi, guardò le astronavi. Si augurò d’essere a nordo d’una di esse, a spacciare la gravità. Ma non serviva. Sapeva che non serviva a niente. Per lei era un problema bizzarro, qualcosa da chiarire, una questione in sospeso nella sua vita che l’avrebbe irritata fino a quando non avesse potuto spiegarselo, per dimenticarla.
Al diavolo.
— La speranza di un’avventura sentimentale — disse Ian. Quando la guardò, lei stava scuotendo lentamente la testa.
— Non scherzare con me, Haise. Non sei stupido come sembri. Sapevi che mi sarei sposata, che avrei avuto la mia vita. Sapevi che non avrei abbandonato tutto a causa di una favola semidimenticata di trent’anni fa. Perché?
E come poteva spiegarglielo?
— Che cosa fai? — Ian rammentò qualcosa e formulò la domanda in modo diverso. — Chi sei?
Lei lo guardò, sorpresa. — Sono mistellologa.
Ian allargò le mani. — Non so neppure che cosa sia.
— Ora che ci penso, quando partisti tu la professione non esisteva.
— Ecco, è questo, in un certo senso — disse lui. Si sentiva di nuovo frastornato. — Ovviamente, non avevo modo di sapere che cosa avresti fatto, che cosa saresti diventata, cosa sarebbe stato di te. Puntavo tutto sulla possibilità che mi ricordassi. Perché così… — Ian vide ancora una volta il pianeta Terra che giganteggiava nello spazio, oltre l’oblò. Tanti, tanti anni, eppure erano trascorsi appena sei mesi. Un pianeta pieno di sconosciuti. Non aveva nessuna importanza che Amity fosse pieno di sconosciuti. Ma la Terra era la patria, se pure quella parola aveva ancora un significato per lui.
— Volevo qualcuno della mia età con cui parlare — disse. — Ecco tutto. Non voglio altro che un amico.
Si accorse che lei si stava sforzando di capire. Non poteva capirlo, ma forse ci sarebbe arrivata abbastanza vicina da illudersi di aver compreso.
— Forse ne hai trovata una — disse lei, e sorrise. — Almeno, voglio imparare a conoscerti meglio, considerando tutto lo sforzo e l’impegno che ci hai messo.
— Non è stato un grande sforzo. A te sembra una cosa a lungo termine, ma per me non lo è stata. Ti ho tenuta sulle ginocchia appena sei mesi fa.
— Quanto dura la tua licenza? — chiese lei.
— Due mesi.
— Ti piacerebbe venire a stare per un po’ con noi? In casa nostra c’è posto.
— A tuo marito non dispiacerà?
— Né a mio marito né a mia moglie. Eccoli seduti laggiù: fanno finta di non vederci. — Ian guardò, e incontrò lo sguardo di una donna sulla trentina. Era seduta di fronte a un uomo che aveva l’età di Ian, e che si voltò a guardarlo con un certo sospetto ma senza ostilità. La donna sorrideva; l’uomo si riservava il giudizio.
— Radiant aveva una moglie. Be’, i tempi cambiano.
— Quelle due con le gonne rosse sono della polizia — stava dicendo Radiant. — E anche l’uomo vicino al muro, e l’altro in fondo al bar.
— Ne avevo riconosciuti due — disse Ian. Quando lei lo guardò sorpresa, soggiunse: — I poliziotti hanno sempre quella certa aria. È una delle cose che non cambiano mai.
— Hai incominciato molto tempo fa, non è vero? Scommetto che hai tante storie interessanti da raccontare.
Ian rifletté e annui. — Sì, qualcuna. Credo.
— Dovrei dire a quelli della polizia che possono andarsene. Spero che non ti sia offeso se li avevamo chiamati.
— No, naturalmente.
— Glielo dirò, e poi potremo andare. Oh, e penso che dovrei chiamare i bambini e avvertirli che presto arriveremo a casa. — Lei rise, e gli sfiorò la mano. — Hai visto quante cose possono succedere in sei mesi? Io ho tre figli, e Gillian ne ha due.
Ian alzò la testa, interessato.
— E qualcuna è una bambina?