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Le dissi che quella era veramente una favola.

— I tempi gloriosi di quella torre per me sono leggendari — mi spiegò Valeria. — Adesso nessuno della mia stirpe sguaina la spada contro i nemici della Repubblica o viene trattenuto in ostaggio al Pozzo delle Orchidee.

— Probabilmente presto verrà chiamata qualcuna delle tue sorelle — dissi io, non riuscendo a pensare che potesse capitare a lei.

— Io sono tutte le mie sorelle — mi rispose — e tutti i miei fratelli.

Un vecchio cameriere ci portò del tè e piccoli pasticcini duri. Non si trattava veramente di tè, bensì del maté del nord che talvolta offriamo ai nostri clienti per il suo basso costo.

Valeria sorrise. — Vedi, tu stesso qui hai trovato qualche conforto. Sei in ansia per il tuo cane perché è zoppo, ma forse anche lui ha trovato ospitalità. Tu lo ami, perciò anche un altro può amarlo. Tu lo ami, perciò puoi anche amarne un altro.

Le diedi ragione, ma dentro di me pensai che non avrei più avuto un altro cane. E infatti fu così.

Non trovai Triskele per quasi una settimana. Poi un giorno, mentre portavo una lettera al barbacane, mi venne incontro saltellando. Aveva imparato a correre utilizzando l'unica zampa anteriore come un acrobata che si tiene in equilibrio con una sola mano sulla sfera dorata.

Lo rividi un paio di volte ogni mese finché ci fu la neve. Non riuscii mai a scoprire chi lo avesse preso con sé, lo sfamasse e si prendesse cura di lui, ma mi piace credere che fosse qualcuno che in primavera se lo portò verso il nord, verso le città di tende e le battaglie tra i monti.

V

L'UOMO CHE PULIVA I QUADRI E ALTRI

La Festa di Santa Katharine per la nostra corporazione è la più importante, è la festa che ricorda la nostra eredità, il giorno nel quale gli artigiani diventano maestri (se lo diventano) e gli apprendisti diventano artigiani. Rimando la descrizione delle cerimonie fino a quando non parlerò della mia elevazione; comunque, nell'anno di cui sto parlando, quello dello scontro accanto alla tomba, Drotte e Roche vennero nominati artigiani e io diventai il capitano degli apprendisti.

L'importanza di tale carica non mi colpì fino al termine del rito. Ero seduto nella cappella in rovina a gustarmi lo spettacolo e non pensavo molto al fatto che alla fine delle cerimonie io sarei stato il più anziano degli apprendisti.

Ma a poco a poco fui colto da un senso di inquietudine. Ero infelice ancora prima di rendermi conto che non ero più felice e mi sentivo oppresso da responsabilità che ancora non mi erano ben chiare. Mi sovvenni delle difficoltà che aveva incontrato Drotte nel farci mantenere l'ordine. Io avrei dovuto fare altrettanto ma senza la sua forza, e senza nessuno accanto a me come era stato per lui Roche… un luogotenente della sua stessa età. Quando l'ultimo canto si spense, il Maestro Gurloes e il Maestro Palaemon, nascosti dietro le maschere venate d'oro, oltrepassarono lentamente la soglia mentre i vecchi artigiani si issavano sulle spalle i loro nuovi colleghi, Drotte e Roche, ed estraevano dalle borse appese alle cinture i fuochi artificiali da lanciare all'aperto; a quel punto ero finalmente riuscito a farmi coraggio e ad abbozzare un piano rudimentale.

Era compito degli apprendisti quello di servire a tavola e prima di assolverlo dovevamo levarci i vestiti puliti e relativamente nuovi che ci erano stati dati per la cerimonia. Quando l'ultimo mortaretto fu fatto esplodere e i matrossi ebbero squassato il cielo con il cannone più grosso della Grande Fortezza in segno di amicizia, accompagnai i miei pupilli nel dormitorio (e mi pareva che già tutti mi guardassero con aria scocciata), chiusi la porta e la sbarrai con una branda.

Il più vecchio dei ragazzi dopo di me era Eata e fortunatamente in passato eravamo stati abbastanza amici da non farlo sospettare di nulla prima che gli fosse impossibile opporsi in maniera efficace. Lo afferrai per la gola e gli feci sbattere la testa contro la paratia per cinque o sei volte, quindi lo feci cadere con un calcio. E ora — gli domandai, — vuoi essere il mio vice? Rispondi!

Non riusciva a parlare ma annuì.

— Bene. Allora io penso a Timon. Tu veditela con quello più forte dopo di lui.

Nel tempo di cento respiri (cento respiri molto veloci) i ragazzi accettarono la mia autorità e trascorsero tre settimane prima che qualcuno di loro avesse il coraggio di disubbidirmi, e anche allora non ci furono mai rivolte collettive, soltanto episodi individuali.

In qualità di capitano degli apprendisti avevo nuove mansioni e godevo di maggiore libertà. Dovevo assicurarmi che gli artigiani in servizio ricevessero i pasti caldi e guidavo i ragazzi che trasportavano i vassoi destinati ai clienti. In cucina incitavo i miei ragazzi perché si dessero da fare, in classe li facevo studiare. Frequentemente mi veniva dato l'incarico di portare messaggi in parti lontane della Cittadella e talvolta anche di trattare qualche affare per conto della corporazione.

In tal modo arrivai a conoscere tutte le strade principali e diversi angoli non molto frequentati: granai abitati da enormi bidoni e da gatti dall'aria demoniaca; bastioni spazzati dal vento e affacciati su catapecchie in rovina; le pinacoteche, con la grande galleria sovrastata dal tetto a volta di mattoni e il pavimento di pietre ricoperto da tappeti, e fiancheggiata da pareti nelle quali si aprivano arcate scure che lasciavano vedere le sale laterali, colme di quadri quanto la galleria stessa.

Molti quadri erano talmente vecchi e rovinati dal fumo che non riuscivo nemmeno a distinguerne il soggetto, di altri invece non comprendevo il significato: un ballerino con due ali che parevano sanguisughe, una donna che teneva in mano un pugnale e sedeva sotto una maschera funebre. Un giorno, dopo aver percorso quasi una lega in mezzo a quei dipinti enigmatici, mi imbattei in un vecchio appollaiato in cima a un'alta scala. Avrei voluto domandargli delle informazioni, ma mi sembrava tanto assorto nel suo lavoro che mi dispiaceva disturbarlo.

Il quadro che stava pulendo raffigurava un personaggio in armatura immerso in un panorama desolante. Non si vedevano armi, ma l'uomo reggeva un'asta con una strana bandiera rigida. La visiera dell'elmo era interamente d'oro, priva di aperture per gli occhi e per la ventilazione, e sulla sua superficie levigata si rifletteva il deserto senza vita.

Quel guerriero mi colpì profondamente, anche se non riuscii a capire il perché né quale sentimento mi ispirasse. Istintivamente provavo l'impulso di prendere quel quadro e trasportarlo… non nella necropoli, ma inuna delle foreste montane delle quali la necropoli era (e lo sapevo già a quell'epoca) un'immagine idealizzata e falsata. Il posto di quel dipinto era tra le piante, con la cornice posata sull'erba novella.

— … e così — udii una voce alle mie spalle, — sono scappati tutti. Vodalus ha ottenuto quello che voleva, vedi.

— Tu — scattò l'altro, — cosa stai facendo qui?

Mi voltai e vidi due armigeri che indossavano vesti colorate molto simili a quelle degli esultanti. — Ho una comunicazione per l'archivista — spiegai, mostrando la busta.

— Va bene — disse quello che mi aveva interrogato. — Sai dove si trovano gli archivi?

— Stavo per domandarlo, sieur.

— Allora non sei il messaggero più indicato per portare la lettera. Dalla a me e la affiderò a un paggio.

— Spiacente, sieur, ma la devo consegnare di persona.

— Non te la prendere tanto con questo giovanotto, Racho — intervenne l'altro armigero.

— Tu non l'hai riconosciuto vero?

— E tu?

L'uomo chiamato Racho annuì. — Da che zona della Cittadella provieni, messaggero?

— Dalla Torre di Matachin. Il Maestro Gurloes mi ha inviato dall'archivista.

L'espressione dell'altro armigero si rabbuiò. — Allora sei un torturatore.