— Solamente un apprendista, sieur.
— Non mi stupisce più che il mio amico voglia allontanarti. Segui la galleria fino alla terza porta, quindi svolta e vai avanti per un centinaio di passi, sali la scala fino al secondo piano e prendi il corridoio a sud che conduce alla doppia porta in fondo.
— Grazie — dissi, incamminandomi nella direzione indicatami.
— Aspetta un istante. Se vai adesso, saremmo costretti a guardarti.
— Preferisco averlo davanti che alle nostre spalle — disse Racho.
Aspettai, con una mano appoggiata alla scala, finché i due non furono scomparsi dietro un angolo.
Simile a uno di quegli amici per metà invisibili che nei sogni ci parlano dalle nuvole, il vecchio disse: — Così sei un torturatore, vero? Sai, non sono mai entrato nella vostra sede. — Aveva gli occhi stanchi e mi faceva venire in mente le tartarughe che talvolta mettevamo in fuga lungo le rive del Gyoll; il naso e il mento si sfioravano.
— Mi auguro di non doverti mai incontrare là — dissi, educatamente.
— Non devi preoccuparti. Cosa potreste fare a uno come me? Il mio cuore si fermerebbe subito, così! — Lasciò cadere la spugna nel secchio e si sforzò di far schioccare le dita bagnate ma senza riuscirvi. — Comunque, so dove si trova. Dietro la Fortezza delle Streghe, vero?
— Infatti — dissi io, un po' sorpreso del fatto che le streghe fossero più conosciute di noi.
— Mi sembrava. Ma non ne parla mai nessuno. Sei infastidito per quegli armigeri e hai ragione; comunque dovresti conoscere come sono fatti, quelli. Vorrebbero essere uguali agli esultanti e non ci riescono. Hanno paura della morte, paura di fare del male e paura di darlo a vedere. Per loro è difficile.
— Dovrebbero levarli di mezzo — dissi. — Vodalus li metterebbe in fuga. Sono solo un relitto del passato… che giovamento possono dare al mondo?
Il vecchio inclinò il capo. — Perché, che giovamento dovrebbero dare? Tu lo sai?
Quando ammisi di non saperlo scese dalla saletta come una vecchia scimmia. Pareva tutto braccia, gambe e collo rugoso; le sue mani erano lunghe quanto i miei piedi, con le dita artritiche venate d'azzurro. — Il mio nome è Rudesind il curatore. Conosci il vecchio Ultan? No, naturalmente. Se lo conoscessi saresti stato in grado di trovare la strada verso la biblioteca.
— Non ero mai stato in questa parte della Cittadella — dissi.
— Mai stato qui? Oh, questa è la parte più bella. Arte, musica e libri. Possediamo un Fechin con tre ragazze che si adornano di fiori e quei fiori sembrano talmente veri che non ti stupiresti di vederne uscire le api. Abbiamo anche un Quartillosa, ma non è più molto popolare, diversamente non sarebbe qui. Comunque ai suoi tempi era un disegnatore molto più in gamba di quei pasticcioni che furoreggiano al giorno d'oggi. Noi raccogliamo quello che viene rifiutato dalla Casa Assoluta, comprendi? Significa che riceviamo i quadri vecchi, che generalmente sono anche i più belli. Arrivano qui insozzati, dopo tanto tempo in esposizione, e io li ripulisco. E talvolta li ripasso nuovamente dopo che sono rimasti in mostra per qualche anno. Possediamo un Fechin, davvero. Oppure, guarda questo. Ti piace?
Risposi che era bello.
— È la terza volta che lo pulisco. Quando giunsi qui, ero un apprendista del vecchio Branwallader e fu lui a insegnarmi. Si servì di questo quadro che a suo dire non valeva niente: iniziò da questo angolo e dopo averne pulito una spanna lo passò a me e io feci il resto. Lo ripulii quando mia moglie era ancora in vita, dopo la nascita della nostra seconda figlia. Non che si fosse sporcato molto, ma avevo tanti pensieri per il capo e volevo tenermi occupato. Oggi mi è venuta voglia di lavorarci ancora sopra. Adesso ne ha bisogno… vedi come riprende bene i colori? Ecco l'azzurra Urth che spunta nuovamente sopra la sua spalla, fresca come il pesce dell'Autarca.
Nel frattempo, continuava a ronzarmi nella testa il nome di Vodalus. Ero sicuro che il vecchio fosse sceso dalla scaletta solo perché l'avevo pronunciato e mi sarebbe piaciuto fargli delle domande al riguardo ma, sebbene mi sforzassi, non riuscivo a trovare il giusto appiglio. Quando il mio silenzio si iniziò a protrarre troppo e temetti che il vecchio risalisse e riprendesse il suo lavoro di ripulitura, riuscii a farfugliare: — Quella è la luna? Ho sentito dire che è diventata più fertile.
— Ora sì. Ma questo quadro fu dipinto prima che venisse irrigata. Vedi quel grigio-bruno? Allora non appariva come la vediamo noi. Non era verde e non pareva nemmeno tanto grande, perché era più lontana… così sosteneva Branwallader. Adesso ci sono abbastanza piante da nascondere Nilammon, come dice il proverbio.
Colsi al volo l'occasione. — E Vodalus.
Rudesind sogghignò. — E lui, infatti. Voialtri dovrete fregarvi le mani a lungo prima di averlo a vostra disposizione. Avete progettato qualcosa di particolare?
Se la corporazione disponesse di tormenti speciali da riservare a determinati individui, non lo sapevo, ma cercai di darmi un'aria scaltra e dissi: — Qualcosa inventeremo.
— Immagino. Prima, però, credevo che fossi dalla sua parte. Comunque, dovrete attendere, se veramente si è nascosto nelle Foreste della Luna. — Sollevò gli occhi verso il quadro con aria soddisfatta, quindi si volse di nuovo verso di me. — Mi ero dimenticato. Tu devi andare dal nostro Maestro Ultan. Torna all'arco dal quale sei entrato…
— Adesso conosco la strada — dissi. — Me l'ha spiegata l'armigero.
Il vecchio curatore sbuffò, come per vanificare quelle indicazioni. — In quel modo arriveresti soltanto alla Sala di Lettura, poi ti occorrerebbe un intero turno di guardia per giungere da Ultan, se mai ce la facessi. No, torna a quell'arco, e arriva in fondo a quella grande sala, poi passa per la scala. Vedrai una porta chiusa… bussa fino a quando qualcuno ti apre. In fondo alla scala c'è lo studio di Ultan.
Dal momento che Rudesind mi guardava, seguii le sue indicazioni, nonostante l'idea della porta chiusa mi disturbasse e la scala volesse forse dire che mi sarei avvicinato agli antichi corridoi nei quali mi ero perso quando cercavo Triskele.
A dire il vero, lì mi sentivo molto meno sicuro che nelle zone a me più famigliari della Cittadella. Successivamente, avrei scoperto che gli stranieri che la visitano restano stupefatti dalle sue dimensioni, mentre in realtà essa non è che una briciola in confronto alla città che la circonda. E noi stessi che siamo cresciuti all'interno delle mura grigie e abbiamo imparato i nomi e le posizioni delle centinaia di punti di riferimento necessari per muoversi, restiamo confusi dalle nostre stesse conoscenze quando ci allontaniamo dalle zone più famigliari.
Successe anche a me, quando passai sotto l'arcata indicatami dal vecchio. Era fatta di mattoni rosso scuro come il resto della galleria, ma era sorretta da due colonne sui cui capitelli spiccavano dei volti dormienti, e per me le labbra silenziose e gli occhi chiusi di quelle figure apparivano più terrificanti delle maschere sofferenti dipinte sul metallo della nostra torre.
Nella sala successiva ogni quadro conteneva un libro. Talvolta erano tanti, o bene in vista; talora, invece, dovevo osservare a lungo prima di individuare l'angolo di una rilegatura che spuntava dalla tasca di una gonna o prima di rendermi conto che una spoletta stranamente lavorata conteneva parole filate come un refe.
La scala era angusta e ripida e senza ringhiera; scendeva tortuosamente e dopo una ventina di scalini la luce della sala sovrastante era del tutto sparita. Verso il fondo fui costretto ad allungare in avanti le mani e ad avanzare a tentoni, per il timore di sbattere la testa contro la porta.
Ma le mie dita ansiose non la trovarono. La scala invece terminò (e per poco non caddi, cercando di fare uno scalino che non c'era), così dovetti procedere brancolando nell'oscurità più totale, su un pavimento sconnesso.