— Chi è? — domandò una voce. Risuonava innaturalmente, come una campana in una caverna.
VI
IL MAESTRO DEI CURATORI
— Chi è? — la voce riecheggiò nella tenebra. Facendomi coraggio risposi: — Porto un messaggio.
— Allora riferiscimelo.
I miei occhi si stavano solo allora abituando all'oscurità e riuscivo a stento a distinguere una sagoma molto alta in movimento tra forme ancora più alte. — Si tratta di una lettera, sieur — dissi. — Sto parlando con il Maestro Ultan, il curatore?
— Esattamente. — Adesso mi stava davanti. Quello che dapprima mi era sembrato un abito bianchiccio era in realtà una barba che gli scendeva fino alla vita. Già a quel tempo io ero alto più della media degli uomini, ma lui era ancora di una testa e mezza più alto di me, un vero esultante.
— Ecco, sieur — dissi, porgendo la lettera.
Non la prese. — Chi è il tuo maestro? — Mi sembrò nuovamente di udire uno squillo bronzeo e di colpo ebbi la sensazione che fossimo entrambi morti e che il buio che ci avvolgeva fosse il suolo della tomba premuto contro i nostri occhi, suolo attraverso il quale la campana ci chiamava al culto di un santuario sotterraneo. La donna livida che avevo visto riesumare dalla tomba si erse dinnanzi a me talmente nitida che mi sembrò di distinguere il suo viso nel biancore quasi luminoso della sagoma che mi stava parlando. — Chi è il tuo maestro? — domandò nuovamente.
— Nessuno. Ossia, sono apprendista nella nostra corporazione. È stato il Maestro Gurloes a inviarmi qui, sieur, ma generalmente è il Maestro Palaemon che insegna a noi ragazzi.
— Certamente non la grammatica. — Adagio, la mano di quell'uomo altissimo si allungò verso la lettera.
— Oh, sì, invece, anche la grammatica. — Mi sentivo come un bambino di fronte a quell'uomo che era già vecchio all'epoca della mia nascita. — Il Maestro Palaemon sostiene che noi dobbiamo essere in grado di leggere e scrivere e fare i conti, perché se diventeremo maestri dovremo inviare lettere e ricevere le istruzioni dei tribunali e saper tenere i registri e la contabilità.
— Così — recitò la sagoma dinnanzi a me. — Lettere simili a questa.
— Esattamente, sieur. Così.
— E questa cosa dice?
— Non lo so. È sigillata, sieur.
— Se la apro… — (udii la fragile ceralacca spaccarsi sotto la pressione delle sue dita) — … me la leggerai?
— Qui è buio, sieur — dissi, esitante.
— Allora bisogna chiamare Cyby. Scusami. — Nell'oscurità stentai a vederlo mentre si voltava e si portava le mani intorno alla bocca. — Cy-by! Cy-by! — Il nome riecheggiò nei corridoi tenebrosi che avvertivo snodarsi intorno a me, come se un battaglio di ferro colpisse il bronzo echeggiante prima da un lato e poi dall'altro.
Si udì una risposta lontana. Attendemmo per alcuni istanti in silenzio.
Poi notai una luce in fondo a uno stretto corridoio costeggiato — mi sembrò — da pareti dirupate di pietra irregolare. La luce si avvicinò: si trattava di un candeliere a cinque bracci, sorretto da un uomo massiccio molto eretto, sulla quarantina, con il volto piatto e livido.
Il vecchio con la barba disse: — Eccoti, finalmente, Cyby. Hai portato una luce?
— Sì, Maestro. E questo chi è?
— Un messaggero con una lettera. — Quindi, con un tono più manieroso, il Maestro Ultan si rivolse a me. — Questo è il mio apprendista, Cyby. Abbiamo una corporazione anche noi curatori e i bibliotecari ne costituiscono un livello. Io qui sono l'unico maestro bibliotecario e le nostre usanze prescrivono l'assegnamento di un apprendista ai membri anziani. Cyby è alle mie dipendenze ormai da diversi anni.
Dissi a Cyby che ero onorato di conoscerlo e domandai, con evidente imbarazzo, quale fosse la festività principale dei curatori… una domanda nata dalla constatazione che dovevano esserne trascorse parecchie senza che Cyby venisse elevato al rango di artigiano.
— Ormai è passata — rispose il Maestro Ultan. Mentre parlava, guardò nella mia direzione e mi resi conto che i suoi occhi avevano il colore del latte annacquato. — È in primavera inoltrata. Una bella giornata. Generalmente gli alberi hanno già messo le nuove foglie.
Non esistevano alberi nel Grande Cortile, ma io assentii e poi, resomi conto che non poteva vedermi, commentai: — Sì, è bellissimo, con le brezze tiepide.
— Esattamente. Sei un ragazzo che piace al mio cuore. — Mi appoggiò una mano sulla spalla e vidi che le dita erano impolverate. — Anche Cyby piace al mio cuore. Quando sarò morto, lui diventerà il capo bibliotecario. Sai, noi curatori facciamo una processione lungo via Iubar e noi due procediamo affiancati con indosso le vesti grigie. Qual è il colore della tua corporazione?
— Fuliggine — risposi. — Il colore più scuro del nero.
— Alcune piante… sicomori e querce, aceri delle rocce e altre ancora, che pare siano le più vecchie su Urth, spandono la loro ombra lungo i due lati della via Iubar, e crescono nelle spianate in centro. I negozianti si fanno sulla porta per vedere i bizzarri curatori, sai, e logicamente i librai e gli antiquari ci applaudono. Penso che, nel suo piccolo, la nostra sfilata sia uno degli spettacoli più importanti di Nessus in primavera.
— Deve essere davvero imponente — suggerii.
— Infatti, infatti. Anche la cattedrale è splendida, quando vi arriviamo. File di candele nel vetro azzurro, quasi un sole che risplenda sul mare notturno, simboleggiano l'Artiglio. Inondati da quella luce, celebriamo la nostra cerimonia di fronte al grande altare. Dimmi, anche la tua corporazione va alla cattedrale?
Gli spiegai che possedevamo la nostra cappella all'interno della Cittadella e mi stupii del fatto che i bibliotecari e gli altri curatori lasciassero le sue mura.
— Ne abbiamo il diritto, sai? Lo ha la biblioteca… vero Cyby?
— Esatto, Maestro. — La fronte di Cyby era alta e squadrata e i suoi capelli erano grigi e oramai radi, ma il suo volto sembrava piccolo e piuttosto infantile. Riuscivo a comprendere perché Ultan, che doveva aver passato le dita su quel viso come soleva fare il Maestro Palaemon con me, lo considerasse un ragazzo.
— Così siete in stretto contatto con i vostri colleghi della città — dissi.
Il vecchio mosse la barba. — Strettissimo contatto dal momento che siamo noi. Questa è la biblioteca della città e anche della Casa Assoluta e di altro ancora.
— Intendi dire che la gentaglia della città ha il permesso di entrare nella Cittadella per servirsi della vostra biblioteca?
— No — rispose Ultan. — Intendo dire che la biblioteca si allarga oltre le mura della Cittadella e sono convinto che non sia l'unica istituzione a farlo. È per questo motivo che il contenuto della nostra fortezza è molto più grande del suo contenitore.
Mentre parlava mi prese per una spalla e ci incamminammo lungo una delle strette corsie fiancheggiate da torreggianti scaffali. Cyby ci seguiva reggendo il candeliere… penso più per illuminare la strada a se stesso che a me, ma per lo meno riuscivo a non urtare contro quegli scaffali di quercia scura. — Gli occhi non ti hanno ancora ingannato — disse dopo un po' il Maestro Ultan. — Riesci a vedere la fine di questa corsia?
— No, sieur — risposi. Infatti non ci riuscivo. Tutto lo spazio illuminato dal candeliere era occupato da file e file di libri che dal pavimento arrivavano all'altissimo soffitto. Alcuni scaffali erano in disordine, altri no; un paio di volte notai le tracce dei ratti che si erano creati un nido ammucchiando due o tre volumi e avevano plasmato di sterco le copertine per formare i rozzi caratteri del loro linguaggio.
Ma ovunque c'erano libri, sempre libri, file di dorsi rilegati di vitello, marocchino, tela, carta e cento altri materiali che non riuscivo a riconoscere; alcuni luccicavano d'oro, molti presentavano delle scritte nere, altri possedevano delle etichette di carta talmente vecchie e ingiallite da essere ormai brune come foglie morte.