— Per lo meno — commentai, — facevi bene ad aver fiducia in quella donna. Si rifaceva a una fonte valida.
Come se non avesse ascoltato le mie parole continuò: — Ma è tutto vero, Severian. Nessuno sa che cosa possono fare. Potrei anche essere liberata domani. È possibile. Ormai sapranno che mi trovo qui. Non guardarmi in questo modo. I miei amici parleranno con Padre Inire o forse qualcuno ne farà cenno all'Autarca. Tu sai perché sono stata catturata, vero?
— Ha a che fare con tua sorella.
— La mia sorellastra. Thea è insieme a Vodalus. Pare che sia diventata la sua amante. Io lo credo.
Rammentai la bella donna in cima alla scala della Casa Azzurra e dissi: — Penso di aver visto tua sorella, una volta. Nella necropoli. Era insieme a un esultante di bell'aspetto che portava la spada nascosta in un bastone. Mi disse di chiamarsi Vodalus. La donna aveva il volto ovale e una voce che mi fece pensare alle colombe. Era lei?
— Penso di sì. Vogliono che lo tradisca per salvare me, ma io so che non lo farà. Quando se ne renderanno conto, perché non dovrebbero liberarmi?
Cambiai argomento fino a quando riuscii a farla ridere. — Sei talmente intellettuale, Severian. Quando diventerai artigiano, sarai il torturatore più cerebrale della storia… terrificante.
— Mi sembrava che ti piacessero queste discussioni, Castellana.
— Solamente adesso, perché non posso uscire. Potrà sorprenderti, ma da piccola dedicavo ben poco tempo alla metafisica. Andavo a ballare e a caccia di pecari con i limer pardini. L'istruzione che ammiri tanto l'ho acquisita da bambina quando ascoltavo il mio insegnante sotto la minaccia del bastone.
— Non è necessario che parliamo di queste cose, se non ti fa piacere, Castellana.
Si levò in piedi e avvicinò al volto i fiori che le avevo portato. I fiori sono una teologia migliore dei grossi volumi, Severian. È bello il posto dove li hai raccolti? Non li hai presi sulle tombe, vero? Intendo fiori recisi portati là da altri.
— No. Questi furono piantati molto tempo fa e ogni anno sbocciano.
Dalla feritoia della porta, Drotte annunciò: — È ora di andare. — Mi alzai.
— Credi di poterla rivedere? La Castellana Thea, mia sorella?
— Non penso, Castellana.
— Se per caso la rivedessi, Severian, le parlerai di me? Forse non sono riusciti a mettersi in contatto con lei. Non sarà un tradimento… farai solo il volere dell'Autarca.
— Lo farò, Castellana — le promisi uscendo.
— Lei non tradirà mai Vodalus, questo lo so, ma forse si potrebbe raggiungere un compromesso.
Drotte chiuse la porta e girò la chiave. Avevo notato che Thecla non si era chiesta che cosa ci facessero sua sorella e Vodalus nella necropoli antica e generalmente dimenticata da gente come loro. Il corridoio, con le sue porte metalliche e le pareti sgocciolanti d'acqua, pareva buio, dopo la cella rischiarata dalla lampada. Drotte iniziò a parlare di una spedizione compiuta da lui e da Roche oltre il Gyoll, in una fossa dei leoni. E mischiate alle sue parole mi giunse la voce di Thecla: — Ricordale quella volta che cucimmo la bambola di Josepha.
Il momento dei gigli passò e fiorirono le rose scure della morte. Le raccolsi e le portai a Thecla: erano color porpora scuro, screziate di scarlatto. Lei sorrise e recitò:
«Qui Rosa la Bella, non Rosa la Casta, riposa.
E il profumo che si innalza non è profumo di rosa».
— Se il loro odore ti infastidisce, Castellana…
— Per niente, è dolcissimo. Stavo solo ricordando qualcosa che raccontava mia nonna. Diceva che quella donna da giovane era malvista e che quando morì tutti i bambini canticchiavano questa strofetta. A dire il vero ho il sospetto che sia molto più antica, che si perda nelle nebbie del tempo, come il principio di tutte le cose belle e di tutte le cose brutte. Si dice che gli uomini desiderano le donne. Ma allora perché disprezzano le donne che ottengono?
— Non penso che tutti lo facciano, Castellana.
— La bella Rosa si donava e venne derisa. Ed è così ancora adesso, io lo so, nonostante i suoi sogni siano diventati polvere da tanto tempo, insieme al suo corpo. Vieni, siedi accanto a me.
Obbedii. Lei prese l'orlo della mia consunta camicia e lo sollevò. Protestai, ma non riuscii a oppormi.
— Di cosa ti vergogni? Non hai un seno da nascondere. Non ho mai visto una carnagione tanto bianca in una persona dai capelli così scuri… Pensi che la mia pelle sia bianca?
— Bianchissima, Castellana.
— Lo dicono tutti, ma in confronto alla tua è scura. Dovrai fare molta attenzione al sole, quando diventerai torturatore, Severian. Altrimenti ti scotterai terribilmente.
I suoi capelli, che portava spesso sciolti, quel giorno erano avvolti come un'aureola scura intorno al suo volto. Non l'avevo mai vista tanto simile a sua sorella, Thea, e il mio desiderio era tanto intenso che mi pareva di dissanguarmi sul pavimento, di indebolirmi a ogni respiro.
— Perché bussi? — Il suo sorriso mi disse che aveva capito.
— Devo andare.
— Rimettiti la camicia, prima di uscire… non vorrai che ti vedano così…
Quella notte, pur sapendo che era inutile, vagai nella necropoli per parecchi turni di guardia. E così feci anche la notte seguente e quella dopo, ma la quarta sera Roche mi condusse in una locanda e lì sentii dire che Vodalus era lontano, nel nord, e si nascondeva tra le foreste gelide e gli scorridori kafila.
I giorni passavano. Thecla, essendo rimasta al sicuro tanto a lungo, era ormai convinta che non sarebbe stata torturata e si era fatta portare da Drotte l'occorrente per scrivere e disegnare; faceva progetti per una villa che intendeva edificare sulla riva meridionale del lago Diuturna, che pareva fosse la zona più bella e più remota della Repubblica. Io accompagnavo gli apprendisti a nuotare, convinto che fosse mio dovere, ma non riuscii più a tuffarmi senza paura nell'acqua alta.
Poi, di colpo, fu troppo freddo per nuotare e una mattina il Vecchio Cortile scintillò di brina. Quel giorno a cena venne servito il maiale appena macellato, segno inconfondibile che il freddo aveva raggiunto le colline sottostanti la città. Fui convocato dal Maestro Gurloes e dal Maestro Palaemon.
Il Maestro Gurloes disse: — Sappiamo che ti sei comportato bene, Severian, e il tuo apprendistato è quasi al termine.
Sottovoce, il Maestro Palaemon aggiunse: — La tua infanzia è ormai alle spalle e ti aspetta la vita da adulto. — Nella sua voce c'era affetto.
— Esattamente — continuò il Maestro Gurloes. — La festa della nostra patrona si sta approssimando. Immagino che ci avrai pensato.
Annuii. — Eata diventerà capitano al mio posto.
— E tu?
Non riuscivo a capire che cosa volesse dire. Il Maestro Palaemon lo notò e mi chiese, gentilmente: — Cosa farai, Severian? Diventerai un torturatore? Sai che puoi lasciare la corporazione, se lo desideri.
Risposi fermamente, fingendomi quasi scandalizzato, che non ci avevo mai riflettuto sopra. Era una bugia. Come a tutti gli apprendisti, mi era stato detto che non si era ammessi definitivamente nella corporazione fino a quando non si dava il proprio consenso, una volta diventati adulti. Oltretutto, nonostante amassi la corporazione, la detestavo… non per le sofferenze che a volte infliggeva a clienti innocenti o che venivano puniti in maniera eccessiva rispetto alle loro colpe. La detestavo perché mi sembrava inutile servire un potere tanto remoto. Non saprei esprimere i miei sentimenti al riguardo se non dicendo che la odiavo perché mi affamava e mi umiliava e contemporaneamente la amavo perché era la mia casa; l'amavo e l'odiavo perché era vecchia e debole e tuttavia indistruttibile.