Logicamente non dissi niente di tutto questo al Maestro Palaemon, anche se forse l'avrei fatto in privato. Così, sebbene mi sembrasse impossibile, la mia dichiarazione di fedeltà venne presa sul serio.
— Indipendentemente dalla scelta che farai — disse il Maestro Palaemon, — è una possibilità che ti viene offerta. Molti affermano che solamente uno stupido si sottoporrebbe ai duri anni dell'apprendistato per poi rifiutare di diventare artigiano nella propria corporazione. Ma se lo desideri tu puoi farlo.
— E dove potrei andare? — Quella, anche se non potevo ammetterlo, era l'unica ragione che mi tratteneva lì. Sapevo che oltre le mura della Cittadella esisteva un mondo immenso… anzi, oltre le mura della nostra torre. Ma non credevo che ci sarebbe stato posto anche per me. Dinnanzi alla scelta tra la schiavitù e il vuoto della libertà aggiunsi: — Sono cresciuto nella nostra corporazione.
— Sì — disse il Maestro Gurloes, formale. — Ma non sei ancora un torturatore. Non hai ancora indossato la fuliggine.
La mano del Maestro Palaemon, secca e rugosa come quella di una mummia, cercò la mia. — Tra gli iniziati alla religione si dice: Sarai un epopte per sempre. E si riferiscono non solo alla conoscenza acquisita, ma anche al loro crisma, il cui simbolo, essendo invisibile, è incancellabile. Tu conosci il nostro crisma.
Annuii di nuovo.
— È ancora più impossibile cancellarlo. Se te ne andassi ora, di te si direbbe solamente: È stato cresciuto dai torturatori. Ma una volta consacrato, si dirà: È un torturatore. Potrai seguire l'aratro o il tamburo, però agli occhi degli altri sarai sempre un torturatore. Lo capisci?
— Non voglio ascoltare altro.
— Va bene — disse il Maestro Gurloes. Entrambi sorrisero. — Allora è giunto il momento di svelarti il segreto finale. — Mi sembra di sentire ancora adesso, mentre scrivo, l'enfasi della sua voce. — Farai bene a meditarlo prima della cerimonia.
Quindi i due Maestri mi spiegarono il segreto che costituisce il cuore della nostra corporazione ed è ancora più sacro per il fatto che non è celebrato da nessuna liturgia: è nudo nel grembo del Pancreatore.
Dovetti giurare di non rivelarlo mai a nessuno che non fosse in procinto di addentrarsi nei misteri della corporazione, come stavano facendo loro con me. Ho infranto quel giuramento, e ne ho infranti molti altri.
XI
LA FESTA
La festa della nostra patrona cade al termine dell'inverno. Quel giorno gli artigiani eseguono la danza delle spade in processione; i maestri illuminano la cappella in rovina che si trova nel Grande Cortile con mille candele profumate; infine, si allestisce il banchetto.
Il rito viene detto alto quando si festeggia un artigiano che diventa maestro, minore per un apprendista che viene nominato artigiano o infimo quando non ci sono innalzamenti di grado. Dal momento che nessun artigiano venne eletto maestro, quell'anno in cui venni nominato artigiano la cerimonia fu una festa minore. Ma non c'era da stupirsi, perché potevano passare anche dieci anni o più senza che nessuno passasse al rango supremo.
Comunque, i preparativi richiesero settimane intere. Mi è stato detto che all'interno della Cittadella sono attive non meno di centotrentacinque corporazioni. Alcune di queste, come per esempio i curatori, hanno troppo pochi adepti per poter celebrare la propria festa nella cappella e sono costrette a unirsi ai confratelli della città. Quelle più numerose invece festeggiano con grande sfarzo, per accrescere la stima agli occhi degli altri. Così fanno i soldati il giorno di Hadrian, i matrossi nella ricorrenza di Santa Barbara, le streghe durante la festa di Mag e così via. Cortei, meraviglie, distribuzione di cibo e bevande gratuiti hanno lo scopo di attirare alla cerimonia il maggior numero possibile di esterni.
Per i torturatori invece è tutto diverso. Nessuno che non faccia parte della corporazione ha partecipato al banchetto il giorno di Santa Katharine da più di trecento anni, quando pare che un tenente della guardia osò farlo per scommessa. Circolano molte dicerie su quello che gli capitò… per esempio che lo facemmo accomodare alla nostra tavola su un seggio di ferro arroventato. Ma sono tutte false. La storia della corporazione dice che venne ben accolto e ben trattato; ma dal momento che durante il banchetto non si parlò delle sofferenze che infliggevamo né di nuovi metodi di tortura e non imprecavamo contro coloro che erano morti troppo in fretta durante i nostri trattamenti, si preoccupò sempre di più, convincendosi che stavamo solo cercando di allentare la sua vigilanza per meglio farlo cadere in trappola. Così mangiò poco e bevve molto e una volta tornato nel suo alloggio cadde e batté la testa tanto malamente che in seguito gli capitò più volte di perdere la ragione e di soffrire terribilmente. Infine, si sparò un colpo in bocca: ma noi non c'entravamo affatto.
Così, solo i torturatori partecipano alla Festa di Santa Katharine. Ma, sapendo di essere spiati dalle finestre, ci prepariamo più grandiosamente possibile, come succede in tutte le altre corporazioni. I nostri vini luccicano come gemme alla luce di cento fiaccole davanti alla cappella; i manzi fumano immersi nel sugo; i capibara e gli aguti, disposti in pose viventi e coperti di un cocco tostato che si mescola alla loro pelle, si arrampicano su tronchi di prosciutto e scalano massi di pane appena sfornato.
I maestri, che allora erano solo due, arrivano in portantine abbellite da tende intessute di fiori e camminano su tappeti di sabbia colorata, che raccontano le tradizioni della corporazione e vengono creati granello dopo granello dagli artigiani in lunghi e faticosi giorni di lavoro.
Nella cappella vengono posti in bella mostra una ruota uncinata, una fanciulla e una spada. Conoscevo bene la ruota, perché da apprendista avevo aiutato molte volte a spostarla. Era conservata nella parte più alta della torre, sotto la sala dei cannoni. La spada, per quanto a un passo di distanza apparisse una vera arma da carnefice, era fatta di legno, rivestita di stagnola e con un'impugnatura molto vecchia.
Della fanciulla non saprei dirvi niente. Quando ero molto giovane non ci facevo nemmeno caso. Poi, quando Gildas, che all'epoca del mio racconto era già artigiano da diversi anni, divenne capitano degli apprendisti, credevo che si trattasse di una delle streghe. L'anno seguente compresi che una simile mancanza di rispetto non sarebbe stata tollerata.
Poteva trattarsi di una serva proveniente da qualche parte remota della Cittadella, oppure poteva essere un'abitante della città che accettava quel compito per denaro o in virtù di qualche antico legame con la corporazione. Non saprei dirlo. So solamente che ogni volta la rivedevo al suo posto, sempre uguale. Era alta e snella, ma non quanto Thecla, scura di carnagione, con gli occhi neri e i capelli corvini. Il suo volto era unico, simile a un laghetto d'acqua pura nella foresta.
Stava tra la ruota e la spada mentre il Maestro Palaemon parlava della corporazione e dei tempi precedenti la venuta del ghiaccio… ogni anno il racconto variava, come gli dettava la sua erudizione. La ragazza rimaneva in silenzio mentre intonavamo il Canto Spaventoso, il nostro inno, che tutti gli apprendisti imparano a memoria e che viene cantato solo durante quella festa. Restava zitta mentre noi ci inginocchiavamo tra i banchi rotti per pregare.