— È il più sacro di tutti — rispose il Maestro Gurloes. Aspettò che Thecla dicesse qualcos'altro e quando lei tacque continuò le sue spiegazioni. — Sono sicuro che conoscerai già il nibbio… lo conoscono tutti. È lì dietro… se fai un passo da questa parte lo vedrai meglio… è quello che noi definiamo l'apparato. Serve per scrivere nella carne del cliente lo slogan richiesto, ma funziona raramente. Noto che stai osservando questo vecchio palo. Si tratta semplicemente di un palo per immobilizzare le mani e di una frusta a tredici code per la correzione. Una volta lo tenevamo nel Cortile Vecchio, ma le streghe si lamentavano e il castellano ce l'ha fatto spostare quaggiù. E successo circa un secolo fa.
— Chi sono le streghe?
— Ho paura che adesso non ci sia il tempo di parlarne. Te lo spiegherà Severian quando tornerai nella tua cella.
Lei mi guardò come per domandarmi: — Veramente ci tornerò? — Io approfittai della mia posizione, dalla parte opposta del Maestro Gurloes, per stringerle la mano gelida.
— Là dietro…
— Aspetta. Posso scegliere? È possibile convincerti a… fare una cosa piuttosto che un'altra? — La sua voce era sempre coraggiosa ma più debole.
Gurloes scosse il capo. — Non tocca a noi decidere, Castellana. E nemmeno a te. Noi eseguiamo le sentenze che ci vengono consegnate e facciamo solo quello che ci viene detto, né più né meno, senza cambiare niente. — Si schiarì la gola, imbarazzato. — Questo è interessante, credo. Lo chiamano la Collana di Allowin. Il cliente viene fatto sedere su quella sedia con l'imbottitura sullo sterno. Ogni respiro stringe la catena, in modo che più respira e meno riesce a farlo. Teoricamente potrebbe continuare all'infinito con respiri brevissimi e restringimenti infinitesimali.
— Terribile. E quello là dietro? Quel groviglio di fili e quella sfera di vetro sul tavolo?
— Ah — rispose il Maestro Gurloes. — Il rivoluzionario. Il soggetto si sdraia lì. Vuoi accomodarti, Castellana?
Per un lungo istante Thecla rimase immobile. Era più alta di noi, ma con quella terribile paura dipinta sul volto non sembrava più tanto imponente.
— Se non lo farai — continuò il Maestro Gurloes, — i nostri artigiani dovranno obbligarti. Non sarebbe piacevole, Castellana.
— Pensavo che me li avresti fatti vedere tutti — mormorò Thecla.
— Solo quelli che abbiamo oltrepassato per arrivare qui, Castellana. È consigliabile che la mente del cliente sia occupata. Adesso sdraiati, per favore, non te lo chiederò più.
Lei obbedì subito, con grazia, come l'avevo vista stendersi sul letto tante volte. Le cinghie che io e Roche allacciammo erano talmente vecchie che mi chiesi se avrebbero tenuto.
Bisognava stendere cavi da una parte all'altra della sala, regolare reostati e amplificatori magnetici. Lampade antiche, simili a occhi rosso-sangue, brillavano sul quadro dei comandi, mentre un ronzio simile al canto di un insetto riempiva l'intera stanza. Per alcuni istanti l'antico motore della torre riprese a vivere. Un cavo era staccato e scintille azzurre come la fiamma del brandy scherzavano sui morsetti di bronzo.
— Fulmine — spiegò il Maestro Gurloes, fissando il cavo staccato. — Ha un altro nome ma non me lo ricordo. Comunque, il rivoluzionario funziona grazie al fulmine. Non ne sarai colpita, Castellana, naturalmente, ma è il fulmine che lo fa funzionare.
— Severian, spingi quella maniglia fino a quando quest'ago non arriverà qui. — Una spirale che un momento prima era fredda come un serpente adesso era diventata calda.
— Che cosa fa?
— Non te lo saprei dire, Castellana. Non l'ho mai fatto, vedi. — Le dita di Gurloes toccarono una manopola posta sul quadro dei comandi e subito Thecla venne avvolta da una luce bianca che scoloriva tutto ciò che toccava. La Castellana urlò; ho sentito grida per tutta la mia vita, ma quello fu l'urlo più terrificante, anche se non il più forte, e parve protrarsi come lo stridio d'una ruota.
Quando la luce bianca si spense era priva di sensi. I suoi occhi erano aperti, fissi in alto, ma parve non vedere la mia mano e non si accorse nemmeno quando la toccai. Il respiro era veloce e leggero.
— Dobbiamo aspettare che riesca a camminare? — domandò Roche. Evidentemente pensava che sarebbe stato difficile trasportare una donna tanto alta.
— Portatela via subito — rispose il Maestro Gurloes. Uscimmo.
Dopo aver terminato i miei doveri, mi recai nella sua cella. Aveva ripreso i sensi, ma non era riuscita ad alzarsi. — Dovrei odiarti — disse.
Mi dovetti piegare su di lei per sentire le sue parole. — È giusto — risposi.
— Ma non ci riesco. Non per te… se odiassi il mio ultimo amico, cosa mi resterebbe?
Non c'era niente da commentare, perciò rimasi in silenzio.
— Sai cos'è successo? Ci è voluto molto tempo prima che riuscissi a pensarci.
Stava per alzare la mano sugli occhi, ma la trattenni.
— Pensavo di avere davanti il mio peggior nemico, una sorta di demone, e invece ero io.
La testa le sanguinava. Le misi delle bende pulite e le fissai con un cerotto, sebbene sapessi che ben presto sarebbero state strappate. Fra le sue dita erano aggrovigliati lunghi capelli scuri.
— Da allora non riesco più a controllare le mani… Ce la faccio se ci penso, se so che cosa stanno facendo. Ma è talmente difficile, e mi sento stanca. — Voltò la testa e sputò sangue. — Mi mordo l'interno delle guance, la lingua e le labbra. A un certo punto le mie mani hanno cercato di strangolarmi e io ho pensato: bene, adesso morirò. Invece devo solo aver perso i sensi e le mie mani si sono indebolite, perché sono rinvenuta. È come quella macchina, giusto?
— La collana di Allowin — risposi.
— Ma c'è di peggio, perché adesso le mie mani stanno cercando di accecarmi, di strapparmi le palpebre. Diventerò cieca?
— Sì.
— Ci vorrà molto prima che muoia?
— Forse un mese. La cosa avversa dentro di te si indebolirà, proprio come farai tu. Il rivoluzionario le ha dato vita, ma la sua energia è la tua energia, e alla fine morirete entrambe.
— Severian…
— Sì?
— Capisco — disse. — È una cosa uscita dall'Erebo, da Abaia, una mia degna compagna. Vodalus…
Mi piegai di più, ma non udii. Alla fine dissi: — Ho cercato di salvarti. Lo desideravo. Ho rubato un coltello e ho trascorso la notte attendendo l'occasione giusta. Ma soltanto un maestro può far uscire un prigioniero dalla cella, io avrei dovuto uccidere…
— I tuoi amici.
— Sì, i miei amici.
Le sue mani avevano ripreso a muoversi e dalla bocca le colava il sangue. — Mi porterai il coltello?
— Ce l'ho qui — dissi, e lo tolsi dal mantello. Era un comune coltello da cuoco con la lama lunga una spanna.
— Pare affilato.
— Lo è — assicurai. — So come affilarlo e l'ho fatto scrupolosamente. — Furono le ultime parole che le dissi. Le posi il coltello nella mano destra e uscii.
Per qualche tempo, ne ero certo, la sua volontà avrebbe resistito. Venni assalito mille volte da un pensiero: se fossi rientrato nella sua cella e avessi ripreso il coltello nessuno se ne sarebbe mai accorto. Avrei potuto trascorrere tutta la vita nella corporazione.
Se rantolò, non me ne accorsi; ma dopo essere rimasto a lungo a fissare la porta della sua cella, vidi uscire un rivoletto cremisi. Allora mi recai dal Maestro Gurloes e gli rivelai cosa avevo fatto.
XIII
IL LITTORE DI THRAX
I dieci giorni successivi, vissi la vita di un cliente, segregato in una cella del primo livello non lontana da quella in cui era stata tenuta Thecla. Per evitare che la corporazione venisse accusata di avermi recluso senza processo, la porta non venne chiusa a chiave; ma fuori c'erano sempre due artigiani armati di spada, e io non ne uscii mai, a parte il secondo giorno quando venni condotto dal Maestro Palaemon e dovetti raccontare anche a lui la mia storia. Quello fu il mio processo, diciamo. Per tutti gli altri giorni, la corporazione meditò sulla sentenza.