Si dice che il tempo conservi i fatti e renda vere le nostre falsità. A me accadde proprio questo. Avevo mentito dicendo che amavo la corporazione… che non volevo altro che restare nel suo seno. In quei giorni mi accorsi che quelle bugie erano diventate realtà. La vita di un artigiano e persino quella di un apprendista mi apparivano estremamente affascinanti. Non solo perché certamente stavo per morire, ma mi parevano affascinanti in se stesse, perché le avevo perdute. Vedevo i confratelli dal punto di vista di un cliente, perciò li vedevo come i potenti principi attivi di una macchina nemica e quasi perfetta.
Imparai a mie spese quello che il Maestro Malrubius mi aveva insegnato quando ero bambino: che la speranza è un meccanismo psicologico non influenzato dalla realtà esterna. Ero giovane e sufficientemente nutrito; avevo il tempo per dormire, e perciò speravo. Spesso, durante il sonno o nella veglia, sognavo che in punto di morte sarebbe arrivato Vodalus. Non da solo, come l'avevo visto nella necropoli, ma alla testa di un esercito che avrebbe spazzato via la putredine dei secoli e ci avrebbe fatti ridiventare i signori delle stelle. A volte mi sembrava di sentire i passi di quell'esercito riecheggiare per i corridoi e qualche volta portai la candela vicino alla feritoia della porta perché mi era parso di aver visto il volto di Vodalus là fuori nell'oscurità.
Come ho detto, credevo che mi avrebbero ucciso. L'interrogativo che mi assillava riguardava solo i mezzi che avrebbero usato. Conoscevo tutte le arti dei torturatori e le rammentavo… a volte una a una, a volte tutte insieme, in una rivelazione di sofferenza. Trascorrere un giorno dopo l'altro in una cella sotterranea è un tormento di per sé.
L'undicesimo giorno venni convocato dal Maestro Palaemon. Rividi la luce rossa del sole e respirai il vento umido che in inverno annuncia la primavera. Ma oh, quanto mi costò passare davanti alla porta aperta della torre e vedere all'esterno la porta dei cadaveri nel muro del bastione, e il vecchio confratello Portinaio in ozio!
Lo studio del Maestro Palaemon mi apparve immenso, immenso e prezioso… come se i libri ricoperti di polvere e le carte fossero mie. Mi fece sedere. Non portava la maschera e mi parve più vecchio di quanto lo ricordassi. — Abbiamo discusso il tuo caso — disse. — Io e il Maestro Gurloes. Abbiamo dovuto convocare anche gli artigiani e gli apprendisti. È meglio che sappiano la verità. Quasi tutti concordano nel dire che meriti la morte.
Aspettò, ma io non parlai.
— Eppure c'era molto da dire a tua discolpa. Molti artigiani hanno insistito in privato perché ti sia concessa una morte indolore.
Non saprei dire il motivo, ma in quel momento mi parve importantissimo sapere quanti amici avessi, così lo chiesi.
— Più di due, più di tre. Il numero esatto non ha importanza. Non pensi di meritare una morte dolorosa?
— Con il rivoluzionario — dissi, sperando che se l'avessi chiesto come favore mi sarebbe stato negato.
— Sì, sarebbe giusto, ma…
Fece una pausa. La prima mosca bronzea dell'estate ronzava contro l'oblò. Avrei voluto schiacciarla, avrei voluto prenderla e lasciarla andare, urlare al Maestro Palaemon di parlare, fuggire dalla stanza… ma non potevo fare niente. Rimasi seduto sulla vecchia sedia di legno vicino al tavolo pensando che ero già morto pur dovendo ancora morire.
— Non ti possiamo uccidere, vedi. È stato difficile convincere Gurloes, ma è così. Se ti uccidessimo senza un ordine giudiziario, ci abbasseremmo al tuo livello; tu ci hai traditi, ma noi non tradiremo la legge. Inoltre la corporazione ne potrebbe venire irreparabilmente danneggiata… un Inquisitore lo giudicherebbe assassinio…
Aspettò che parlassi e io dissi: — Ma per quello che ho fatto…
— Sarebbe una giusta sentenza, è vero. Tuttavia noi non abbiamo il diritto, secondo la legge, di decidere in proposito. E quelli che detengono questo diritto ne sono molto gelosi. Se ci rivolgessimo a loro, il verdetto sarebbe certo, ma la nostra reputazione sarebbe pubblicamente e irrevocabilmente macchiata. Certamente d'ora in poi i nostri affari verrebbero condotti da altri. Ti piacerebbe vedere i nostri clienti sorvegliati dai soldati, Severian?
Improvvisamente mi tornò in mente la visione che avevo avuto nel Gyoll quando rischiai di affogare. E, proprio come allora, possedeva una sua cupa attrazione. — Potrei togliermi la vita — proposi. — Andrò nel canale e annegherò, lontano dalla riva e da ogni aiuto.
Un sorriso acido sfiorò il volto devastato del Maestro Palaemon. — Sono contento che tu abbia fatto questa proposta a me solo. Il Maestro Gurloes si sarebbe divertito immensamente a farti notare che dovrebbe passare almeno un mese perché possa diventare plausibile una nuotata.
— Sono sincero. Sto cercando una morte indolore, sì, ma soprattutto sto cercando la morte, non un prolungamento della vita.
— Anche se fossimo in piena estate, la tua proposta non potrebbe essere accolta. Un Inquisitore potrebbe arrivare alla conclusione che la tua morte sia dipesa da noi. Fortunatamente per te, siamo arrivati di comune accordo a una soluzione meno incriminante. Sei al corrente delle nostre strutture nelle città di provincia?
Scossi il capo.
— Sono in decadenza e da nessuna parte al di fuori di Nessus e della Cittadella esiste un capitolo della nostra corporazione. Nelle città più piccole c'è solamente un carnefice, che viene incaricato dai giudici di eseguire le torture o di uccidere. È un uomo odiato e temuto da tutti. Capisci?
— Un incarico simile è troppo elevato per me — risposi. Ed era vero: in quel frangente disprezzavo me stesso più ancora della corporazione. Quelle parole mi sono tornate in mente molte volte da allora, e mi sono state di aiuto in diverse ambascie.
— Esiste una città chiamata Thrax, la Città delle Camere senza Finestre — spiegò il Maestro Palaemon. — L'arconte… Abdiesus… ha scritto alla Casa Assoluta. Un maresciallo ha consegnato la lettera al Castellano il quale a sua volta l'ha consegnata a me. A Thrax hanno bisogno di un carnefice. In passato hanno graziato diversi condannati a patto che accettassero quell'incarico. Ma adesso la campagna è piena di traditori e l'arconte preferirebbe non doversi rivolgere a loro, perché il ruolo in questione comporta una certa fiducia.
— Capisco — dissi.
— È già capitato due volte che membri della corporazione venissero inviati tanto lontano, anche se le cronache non ne spiegano il motivo. Comunque quei casi costituiscono un precedente e una via d'uscita per la nostra situazione. Tu andrai a Thrax, Severian. Ho già scritto una lettera di presentazione che consegnerai all'arconte e ai suoi magistrati. Ti ho descritto come molto esperto e, per un luogo come quello, non sarà una menzogna.
Annuii, già rassegnato. Eppure, mentre me ne stavo lì seduto con l'espressione impassibile dell'artigiano che desidera solo obbedire, dentro di me mi sentivo ardere di una nuova vergogna. Non era violenta come quella provocata dal disonore che avevo inflitto alla corporazione, ma mi faceva soffrire ugualmente perché era nuova e non mi ero ancora abituato a provarla: ero felice di andare… i miei piedi agognavano il contatto con l'erba, i miei occhi bramavano scenari sconosciuti, i polmoni aria nuova e limpida di luoghi lontani.
Domandai al Maestro Palaemon dove si trovasse la città di Thrax.
— Lungo il Gyoll — rispose. — Vicino al mare. — Poi si interruppe, alla maniera dei vecchi e si corresse. — No, no, cosa sto dicendo? Lungo il Gyoll ma a monte, naturalmente. — E nella mia mente svanirono le onde, la sabbia e le grida degli uccelli marini. Il Maestro Palaemon tirò fuori una mappa e la srotolò, piegandosi fino a quando la lente sfiorò la pergamena. — Là — disse e mi indicò un punto vicino al fiume giovane, presso le cateratte inferiori. — Se tu avessi del denaro, potresti fare il viaggio in barca, ma dal momento che non ne hai, sarai costretto ad andare a piedi.