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— Capisco — risposi. In realtà possedevo del denaro, il pezzo d'oro che mi aveva donato Vodalus e che era ben nascosto nella necropoli, ma significava troppo per poterne approfittare. La corporazione intendeva inviarmi lontano senza altre ricchezze all'infuori dei soldi che un giovane artigiano poteva avere, e così sarebbe stato, per onore e per prudenza.

Eppure sapevo che non era giusto. Se non avessi visto la donna dal viso ovale e non avessi ricevuto quella piccola moneta d'oro, forse non avrei dato il coltello a Thecla e non mi sarei venuto a trovare in quella situazione. In un certo senso, con quella moneta Vodalus aveva comprato la mia vita.

E allora… avrei lasciato la mia vecchia esistenza dietro di me…

— Severian! — esclamò il Maestro Palaemon. — Non mi stai ascoltando. Non sei mai stato distratto durante le lezioni.

— Ti chiedo scusa. Stavo pensando a molte cose.

— Senza dubbio. — Per la prima volta sorrise e per un istante tornò a essere il maestro della mia infanzia. — Eppure ti stavo dando dei buoni consigli per il viaggio. Adesso ne dovrai fare a meno, ma sono sicuro che li avresti dimenticati comunque. Conosci le strade?

— So che sono chiuse e basta.

— Fu l'Autarca Maruthas a volerlo. Io allora avevo la tua età. I viaggi favoriscono le rivolte e inoltre lui pretendeva che le merci passassero solo sul fiume, in modo da poterle tassare più facilmente. Quella legge è rimasta in vigore ed è stata creata una ridotta ogni cinquanta leghe, così ho sentito dire. Comunque le strade restano e nonostante siano in cattive condizioni pare che di notte qualcuno le percorra.

— Capisco — dissi. Chiuse o meno, le strade permettevano di viaggiare più comodamente che i campi, come invece voleva la legge.

— Ne dubito. È mia intenzione metterti in guardia contro le strade. Sono pattugliate da ulani che hanno l'ordine di ammazzare chiunque incontrino, e dal momento che possono depredare i cadaveri, non sono molto inclini ad accettare spiegazioni.

— Capisco — dissi ancora, mentre mi domandavo come facesse a essere tanto informato.

— Bene. La giornata è già passata per metà. Se vuoi, puoi restare qui per la notte e metterti in viaggio domani mattina.

— Restare nella mia cella, vuoi dire.

Annuì. Nonostante sapessi che riusciva appena a distinguere il mio volto, capivo che mi stava studiando.

— Allora me ne vado. — Mi sforzai di trovare qualcosa da dire prima di voltare definitivamente le spalle alla nostra torre, ma non mi venne in mente nulla. Eppure qualcosa doveva esserci. — Posso avere un turno di guardia per prepararmi? Quando sarà finito me ne andrò.

— Te lo permetto. Ma prima che tu te ne vada, torna da me… Ho qualcosa da darti. Verrai?

— Naturalmente, Maestro. Se lo desideri.

— Severian, fai attenzione. Nella corporazione hai molti amici… e loro vorrebbero che tutto questo non fosse mai accaduto. Ma ce ne sono altri che parlano di tradimento da parte tua e per i quali tu meriteresti sofferenze e morte.

— Grazie, Maestro — risposi. — Hanno ragione questi ultimi.

I miei pochi averi erano già stati portati nella cella. Li riunii tutti e mi resi conto che il fardello era talmente piccolo da poter essere messo nella borsa appesa alla cintura. Spinto dall'amore e dal rimpianto andai fino alla cella di Thecla.

Era ancora vuota. Il sangue sul pavimento era stato lavato, ma era rimasta una grande macchia scura color ruggine. I suoi vestiti e i cosmetici non c'erano più, invece i libri che le avevo portato l'anno prima erano ancora ammucchiati sul tavolino. Non seppi resistere alla tentazione di prenderne uno. Ce n'erano talmente tanti nella biblioteca che uno in meno non avrebbe fatto nessuna differenza. La mia mano si era allungata prima ancora che io decidessi quale scegliere. Il libro d'araldica era il più bello, ma era troppo ingombrante per portarlo con me. Il più piccolo era quello di teologia, ma anche il volume rilegato in pelle marrone non era molto più grande. Alla fine presi quello, con le sue storie dei mondi perduti.

Poi salii la scala della torre e mi recai nella sala dei cannoni dove i pezzi da assedio erano riposti sulle culle di energia pura. Andai ancora più in alto, nella camera dal tetto di vetro, con gli schermi grigi e le sedie stranamente deformi, mi arrampicai su per una scaletta e infine mi trovai sopra i vetri sdrucciolevoli, dove la mia presenza mise in fuga i merli del cielo. Il vessillo di fuliggine garriva sopra la mia testa.

Sotto di me, il Vecchio Cortile appariva piccolo e soffocante, ma infinitamente famigliare. La breccia nel bastione era più larga di quanto avessi mai notato, nonostante la Torre Rossa e la Torre dell'Orso si ergessero ai suoi lati ancora forti e rigogliose. Il vento mi portò una folata di risa folli e per un istante provai la vecchia paura, per quanto noi torturatori fossimo in buoni rapporti con le streghe nostre sorelle.

Oltre il muro, la grande necropoli declinava in un lungo pendio verso il Gyoll, che si intravvedeva tra gli edifici imputriditi delle rive. Al di là del fiume, la cupola rotonda del khan sembrava un ciottolo e la città circostante una distesa di sabbia colorata e calpestata dai maestri torturatori del passato.

Un caicco dalla prua alta e appuntita stava navigando verso sud, seguendo la corrente scura, e contro la mia volontà mi ritrovai a seguirlo con lo sguardo e con il pensiero… fino al delta e alle paludi, fino al mare scintillante nel quale la grande bestia Abaia, giunta dalle sponde più lontane dell'universo in tempi antecedenti la glaciazione, sguazzerà fino a quando divorerà i continenti insieme ai suoi simili.

Poi mi staccai con la mente dal sud e dai suoi mari per volgermi a nord, verso le montagne e il corso del fiume. Rimasi a lungo a guardare il settentrione. Con gli occhi della mente oltrepassavo la distesa ondulata della città con il suo milione di tetti. Le grandi colonne argentee del Forte e delle guglie circostanti ostacolavano per metà la visuale, ma io quasi non le vedevo. A Nord c'erano la Casa Assoluta e le cateratte, e Thrax, la Città delle Camere senza Finestre. A nord si allargavano le immense pampas, cento foreste senza sentieri, e le giungle marcescenti che circondano il mondo.

Quando ebbi pensato a tutto questo fino a impazzire, mi recai di nuovo nello studio del Maestro Palaemon e gli dissi che ero pronto a partire.

XIV

TERMINUS EST

— Ho un regalo per te — disse il Maestro Palaemon. — Considerando la tua età e la tua forza, non penso che ti peserà troppo.

— Io non merito nessun dono.

— Infatti. Ma considera, Severian, che quando un regalo è meritato, non è più un regalo, ma un pagamento. I veri doni sono solo come quello che stai per ricevere. Non posso perdonare quello che hai fatto, ma non posso dimenticare quello che eri. Da quando il Maestro Gurloes divenne artigiano, non ho mai avuto un allievo migliore. — Si alzò e si diresse a passo rigido verso l'alcova. Lo sentii commentare: — Ah, non è ancora troppo pesante, per me.

Stava sollevando qualcosa di talmente scuro che veniva inghiottito dall'ombra. — Lascia che ti aiuti, Maestro.

— Non è necessario. È leggera da sollevare; è pesante solo quando la si abbassa. È la caratteristica delle migliori.

Appoggiò sul tavolo una custodia nera come la notte lunga quasi quanto una bara ma molto più sottile. Quando l'aprì, i fermagli d'argento tintinnarono come campanelli.

— Non ti lascio la custodia: ti sarebbe solo d'impaccio. Ecco la spada, il fodero per proteggerla quando sei in viaggio e una bandoliera.